Conosco
Domenico Segna da diversi anni, in specie per la sua attività di giornalista
sulle riviste Il Regno e I martedì di San Domenico, apprezzando il suo punto di
vista su molte delle questioni trattate nei suoi articoli. Quando mi ha
invitata alla presentazione del libro di cui a breve parleremo, Le chiese scomparse, mi sono incuriosita
rispetto alla sua vocazione poetica e sono andata ad ascoltarlo. Pensavo di
trovare un lavoro che parlasse di quelle chiese di cui ormai si è persa la
sacralità in quanto dismesse, sconsacrate, relegate ad altri usi - se va bene,
culturali - e delle quali si ricordano con tristezza i tempi degli albori,
delle frequentazioni per l’uso per cui gli edifici erano stati creati, in cui
le comunità si riconoscevano. Invece, proprio com’è successo anche a Guido
Armellini, prefatore del libro, mi sono dovuta ricredere sul contenuto – che
pure sarebbe stato un legittimo argomento su cui esprimere la propria poetica
-. Domenico Segna, in realtà, intende collocare nelle Chiese scomparse quella dimensione affettiva che ha a che vedere
con la ricerca di un tempo perduto che si cala nel privato e nell’intimo
dell’autore pur creando ponti con l’universale.
Le chiese scomparse
In questo
libro dal sapore dolcemente struggente di ceri e incensi, di acque benedette e
rose votive, l’ambientazione simbolica raffigurante le costruzioni religiose
con tutti i loro annessi e connessi, trova conforto nel raffronto tra le più
moderne e quotidiane ambientazioni di vita del lettore, dove i rimandi e le
similitudini appaiono inevitabili, e comunque necessari, per addentrarsi nella
comprensione del testo. L’autore non senza un certo timore e una possibilità di
silenzio che ci offre, sfiorando il pragmatismo, si addentra - e ci addentra –
in una funzione di sacralità del tempo che non si pone come fine a se stessa ma
detta, al contrario, le regole di un modus vivendi per accogliere la parola,
farla propria, tornare all’ascolto. E’ così, infatti, che ricordi ed esperienze
si intessono in trame di vissuti comuni; è così che lo stile raccolto e farcito
di elementi surrealisti e modernisti, diventa uno stile concreto, in cui
l’esperienza poetica del Novecento accompagna il cammino di Segna e il nostro
in sentieri dove, tra poesia e prosa, si rischia di perdere le rotte fra ritmi
lirici e narrazioni, memorie del passato secolo e del proprio vissuto,
incursioni nell’io profondo e nei miraggi visionari della poetica dei luoghi, rovesciamenti
temporali in contrasto con sensazioni a più livelli. Tuttavia, un lettore
attento, è capace di rimettersi in carreggiata all’istante, riafferrando le
redini della comunicazione dell’autore: il percorso è, infatti, ben tracciato
da tanti segni che impediscono lo smarrimento. Sono le icone che riproducono la
terminologia sacra, le ispirazioni di una vocazione profetica (in quanto
poetica), i riflessi dalla mitologia classica, le aperture al meticciato
sacro-metropolita. Del resto non è un caso che un Gesù foriero di estraniamenti
e doti quotidiane si affacci, in conclusione del libro, a restituirci
epifaniche resurrezioni per concederci la possibilità di esplorare nuove
assonanze, nuovi orizzonti di senso, nuove visoni più profane che sacre di
comandamenti in una misura di confine, di soglia immaginifica e reale che
rimanda alla ricerca di un’esperienza di fede che necessità sempre di
sostentamento e cure per poter resistere all’indifferenza o all’abbandono.
Alcuni testi da: Le
chiese scomparse
Chiesa del milite ignoto
Sospinti verso le foci del Po
i ragazzi del ‘99 traslocavano dal
Vittoriano
passando per via dell'Amba Aradam.
Sapevo quando nella culla bagnavo
l'Altare della Patria.
Aurelio era lì che dormiva. Lo
salutavo ad alta voce.
Sognava, fingeva di dormire.
La notte, però, veniva a trovarmi
prendendo l'ultimo tram.
Non era molto alto.
Le sue piccole mani avrebbero
contenuto
tutto il chiarore del nuovo mondo.
Voleva andarsene in America.
Se credevo morti mio padre e mia
madre si slacciava l'elmetto,
lo riempiva di neve elettrica del
porto di Nuova York.
Non aveva armi.
Solo un buco nella tempia da cui
uscivano tulipani e quadri.
Aveva una bella voce.
Respirava ancora quando
lo vollero seppellire nel marmo.
*****
Chiesa di Giuliano l'apostata
Pioggia di mattini in questa festa che sa di pane e d'incenso.
S'è fatto giorno. La perfezione dell'acqua disseta la corsa dei corpi celesti.
Odisseo naviga con le armi di Achille. Calipso le riduce a mormorio, cancella
il mondo sullo scudo. Trovo un senso che somiglia ad un fanciullo non ancora
addomesticato, quando l'ala del pettirosso traccia d'un salto l'alfabeto.
Screziata di porpora e d'arancio la sillaba è un'evidenza. Solo l'azzurro
rimane schiacciato nell'otre dove si lodano le parole. Conchiglia di vento
ascolta il mare senza principio né fine, agli dèi immolo la tua immortalità, il
corpo sulla croce sarà riarso ulivo,
giunco d'eco.
*****
Chiesa della nonna cattiva
I lasciti testamentari hanno sempre
qualcosa di ridicolo.
Le ultime volontà di una donna che
aveva quattro figlie,
diversi nipoti, un certo numero di
generi sopravvissuti
ricorda l'impero romano al suo
crepuscolo.
Oppure una telenovela orchestrata
da un avvocato
e da un notaio invisibili.
Giovani Parche burocratiche di
destini incrociati.
Quando sono vivi i morti li si
sopporta
quando sono di là li si piange per
una settimana:
né l'uno, né l'altro se la
scomparsa è una vecchia
abituata alla menzogna, al rancore,
all'invidia.
A quest'ora chi avrà conosciuto?
Cesare e Bruto riconciliati,
Achille che finalmente ha raggiunto
la tartaruga,
papa Celestino le ha rivelato di
non aver mai saputo nulla dell'elezione.
Con il suo dialetto trapiantato
nell'Urbe nell'anno XIV dell'era fascista
non capì mai chi fosse quel tale
che ogni tanto si affacciava dal balcone.
Non aveva storia, non entrò nella
storia, piuttosto pensava a far fuori
dall'eredità il fratello
puttaniere, sciarpa littorio, marcia su Roma del ‘22.
Il testamento, quando fu aperto,
scompigliò ogni previsione:
iniziò una causa che durò un quarto
di secolo (e dura tuttora).
Fu il suo modo per entrare
nell'immortalità per due o tre generazioni.
*****
Chiesa del tour operator
Con il suo equipaggio
di ombre il treno
sereno e lucente
si ferma poco oltre
il borgo.
Distesa assorta
la campagna.
Non c'è un filo di vento.
Nessuno può scendere
o salire.
È forse serenità,
morte o vanità?
*****
Dopocena
Strano a dirsi ma la cena è
riuscita.
Abbiamo spezzato il pane,
bevuto il vino, intinto nell'olio
le focacce.
Giuda è stato tranquillo, Pietro
brioso.
Quando se ne sono andati
Giovanni, il più giovane dei miei
discepoli,
mi ha ringraziato per la lieta
serata.
Dopo aver chiuso la porta ho
sgombrato la tavola,
la lavastoviglie non ha fatto
rumore.
Non avevo voglia di mondare i
piatti.
Disteso sul sofà mi sono visto la
registrazione
dell'ultima puntata di Downton
Abbey.
Tranquille appassite verità.
Di soldati che vengono ad
arrestarmi
non ce ne sono più,
di morti da resuscitare
in giacca e cravatta neppure.
Icone delle onde radio di ieri
raccontano della mia entrata a
Bruxelles.
Presso di me non c'è preferenza
di cani, locuste, sconosciuti.
Questo è il mio corpo,
questo è il mio sangue,
questo il momento di vegliare.
Così ammetteva un mio seguace
che non voleva camminare
su nuvole di chiese pallide e
inquiete.
Nato a Roma
nel 1960, vive e lavora a Bologna. Giornalista, è vice-caporedattore de I
Martedì del Centro San Domenico di Bologna, dove si occupa prevalentemente
di letteratura contemporanea. Attivamente impegnato nel dialogo ecumenico, lavora
nell’ambito della redazione della rivista Il Regno. Laureato in
Lettere all’Università “La Sapienza” di Roma e in Scienze Bibliche e Teologiche
presso la Facoltà Valdese di Teologia di Roma è docente di
Protestantesimo presso lo Studio Filosofico Domenicano, l’Università
“Primo Levi” e l’Istituto “Carlo Tincani” di Bologna. Ha pubblicato nel 2007,
con una nota di Roberto Roversi, Libro, testo di prose e poesie scritte
a quattro mani con Valeria Magnani e Le
chiese scomparse per la Casa Editrice Con-fine nel 2014. Sue poesie sono
state pubblicate in varie antologie. Nel 2016 ha curato l’uscita del libro Martin Lutero. Le 95 tesi, edito da Garzanti.
Bologna, 4 dicembre 2016
Cinzia Demi
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