NIENTE MEDUSE OGGI POMERIGGIO
La bambina avanzava di malavoglia saltellando sulla
sabbia.
- Scotta.
- Dai, solo due passi e siamo arrivati.
- Era meglio là.
- Là dove? al bagno Tripoli?
- Sì. Ci sono le patatine e gli scivoli.
- Ma qui l'acqua è più bella.
- Però ci sono i sassi.
- Ma che sassi! solo un po' di sassolini. Piccoli
piccoli.
- Hai una gomma?
- No, non ce l'ho.
- Perché non ce l'hai?
- Io non ne mastico, di gomme. Rovinano i denti.
- Ma io sì.
- Beh, oggi dovrai farne a meno.
- Lo sapevo che era una palla.
L'uomo si fermò, fece per dire qualcosa, ma tacque.
Poi, timidamente:
- Però oggi ti farò vedere qualcosa che non hai mai
visto prima.
La bambina si girò verso di lui con aria di
sufficienza e sottile disprezzo.
- Qua?
E prese a guardarsi intorno. La baietta sassosa,
divisa dalla spiaggia da una fila di dune e da una macchia di pini marittimi,
digradava dolcemente verso il mare
- E qua, che cosa facciamo?
- Ecco, dei castelli con la sabbia.
- Non sono mica così piccola.
- Lo so, ma vedrai che come li faccio io non li sa
fare nessuno.
- E perché non me li facevi quando ero piccola?
- Non lo so. Stavi sempre con la mamma, credo. Ma
oggi ci sono io con te.
- Bella fatica. Solo un sabato ogni quindici
giorni.
- Non sono io che ho deciso così.
Mentre egli tracciava sulla sabbia granulosa della
battigia i contorni delle fondamenta, la bambina lo guardò di sottecchi, poi
stese in terra l'asciugamano e si sedette compostamente inforcando gli occhiali
neri a forma di cuore.
L'uomo sospirò, prese il secchiello e andò a
riempirlo d'acqua. Tornò, si accoccolò a terra, immerse un pugno di sabbia nell'acqua
strizzandola per bene. Ne fece una polpetta soda e cominciò a porre i primi
basamenti del castello.
La bambina posò gli occhiali e si sporse verso di
lui. – Adesso che ci penso, è da quando sono finite le scuole che non ti fai
vedere.
- Ma se eri andata via con tua madre!
- Eravamo dai nonni, in montagna. Lei diceva che tu
non avevi tempo.
- Questo diceva?
- Beh. Insomma. Te comunque non ci sei mai.
L'uomo fece per ribattere, ma tacque.
La bambina si sdraiò a pancia sotto, i gomiti a
terra, le gote sulle palme delle mani. Poi, condiscendente: - Vabbé. Se vuoi
giocare coi castelli, gioca pure.
- Veramente io pensavo di farli assieme a te. Per
esempio, potresti portarmi l'acqua col secchiello.
- Ma allora mi tocca lavorare!
- Se vuoi un castello, sì. Qualunque castello.
La bambina restò a guardarlo per un po' mentre egli
completava il primo giro di mattoncini di sabbia. – Che cosa sono quei tondi
agli angoli?
- Le basi per le torri di guardia.
- A guardia di che?
- Dei lupi. Dei barbari.
- Chi sono i barbari?
- Gente cattiva, feroce.
- E che cosa vogliono?
- Rubare tutto quello che abbiamo, e farci del male
se non glielo diamo.
- Ah. E tu ne conosci?
- Oh, sì. Tanti.
- E come sono?
- Mica tanto diversi da noi. Puoi confonderti.
- E quella striscia che cos'è?
- La traccia per il ponte levatoio.
- Ma lo possiamo chiudere se vengono i barbari?
- Certo. Però qualche volta non si fa in tempo. E
delle volte sono già dentro.
La bambina alla fine si era alzata da terra ed era
venuta a guardare da sopra la schiena dell'uomo. – Vuoi che ti vada a prendere
dell'acqua?
- Brava. Ecco il secchiello.
La bambina zampettò fino alla riva e ne tornò col
recipiente sgocciolante, si accucciò e cominciò anche lei a impastare polpette
di sabbia, passandole man mano all'uomo.
- E lì, in quel quadrato grande, che cosa ci fai?
- La sala delle feste.
- Perché non alzi le mura?
- Vedi, prima dobbiamo fare quello che c’è dentro,
tutte le stanze. Le mura le tiriamo su dopo.
Apparivano all'esterno camminamenti, mastii e
contrafforti; gli ambienti man mano prendevano forma: corridoi, saloni, accenni
di scale, bugigattoli.
- Ecco, queste sono le cucine. E questa è la camera
da letto della regina.
- Così grande?
- Per la regina, questo e altro.
- C'è una stanza per la principessa?
- Come no? eccola. Guarda verso il mare.
La bambina smise per un momento di strizzare la
sabbia bagnata; l'acqua le gocciolò lungo il magro braccino. Valutò la distanza
dal mare strizzando gli occhi.
– Così se arriva il principe con la sua nave lei lo
vede subito!
- Proprio così.
Lei sorrise, persa in un suo pensiero. Anche l'uomo
sorrise, brevemente.
- E dove sta la stanza delle torture?
- Vediamo. Hmmm. Facciamo che è questa qui.
- Ma se hai detto che quella è la camera da letto!
- Delle volte è proprio la stessa cosa.
La bambina si alzò in piedi sfregando sul costume
le mani impiastrate di sabbia; non era facile capire i grandi. Accantonò
l'informazione nello sconfinato magazzino delle cose inquietanti e
incomprensibili e tornò ad accucciarsi.
- E il tetto quando lo facciamo?
- Quando abbiamo finito le stanze. Su, guardale
bene per l'ultima volta, perché per fare il tetto adesso dovremo riempire tutti
gli spazi all'interno, sennò, come fa a stare su?
- Oh, che peccato. Mi piaceva la stanza della
tortura.
- Possiamo farne a meno, sai. Coraggio, riempiamo
tutto.
La
bambina diligentemente versava la sabbia bagnata tra gli spazi delle mura, e vi
batteva sopra con la paletta. Le stanze così sommerse man mano sparirono, e con
esse scomparve qualunque cosa avessero significato, o ricordato.
- Ancora, ancora. Dobbiamo fare un castello molto
alto, un grande castello.
- E ci vogliono le torri! Ancora più alte!
- Certo, abbi pazienza.
- Io che cosa posso fare?
- Beh, qualcosa qui fuori, non so; il fossato, una
strada, per esempio.
- Ah, lo so. Un giardino, ecco; posso fare un
giardino?
- Certo, se sai come si fa.
- Che cosa credi? certo che lo so. Si comincia col
fare un quadrato, qui dalla parte del mare. Poi ci vanno le siepi e gli alberi.
Guarda, quegli stecchi vanno proprio bene. Ecco, mettiamoli in fila; e con
queste alghe facciamo dei cespugli. E in mezzo, in mezzo…
La
bambina si guardò intorno , trovò il guscio di una grossa patella e la piazzò
ritta nel centro del quadrato.
- Sì, sì, una bella fontana!
Poi raccolse manciate di quei microscopici
frammenti di conchiglie che ricoprono i bagnasciuga e li depose attorno alla
"fontana".
- Ecco, questa è la ghiaia; ci facciamo uno
stradello che porta fino alla panchina sotto gli alberi. Guarda, la faccio con
questo stecco di gelato.
- Una panchina? e che te ne fai?
- Non è mica per me.
- E per chi, allora?
La bambina era intenta a comporre quell'incantato
angolo di giardino, la punta della lingua appena sporgente da un lato della
bocca. Sedette sui talloni a rimirare la propria opera.
- Per te e per la mamma. La sera passeggiate in
giardino, poi vi sedete qui, sotto gli alberi, e parlate.
- Di che cosa?
- Del mare. Della luna.
L'uomo ebbe un breve singulto.
Ormai era il tramonto. Nel cielo ancora chiaro
saliva la luna, appena una pallida falce.
- Vedi, il castello è finito.
- Già, proprio finito. Non manca niente.. Guarda,
la marea sale e sta riempiendo il fossato che circonda il castello. Come un
castello vero.
- Però l'acqua coprirà anche il mio giardino.
- Diventerà un giardino fantastico sotto il mare,
per le sirene. Saranno contente.
- Però io non lo vedrò più!
- Non si può mai sapere. Ora possiamo andare a fare
il bagno. Dobbiamo toglierci di dosso tutta questa sabbia bagnata.
- Ma dicono che ci sono le meduse!
- Non ci sono meduse, oggi. Tienimi la mano.
L'acqua grigia e calma si muoveva quasi sospirando.
- Vedi, a quest'ora l'acqua non è mai fredda. Anzi,
è molto dolce, e buona. Sì, è tutto perfetto.
- Perfetto per cosa?
- Non so, mi è venuto così.
- Sì, è bello! e poi hai ragione, niente meduse! Ci
spruzziamo?
- Dai!
E l'uomo e la bambina presero a lanciarsi addosso
schizzi d'acqua tiepidi e trasparenti; immergevano le mani fino ai gomiti in
quello specchio rosa e grigio poi le sollevavano trascinando cascate perlacee
che si infrangevano sul capo o sul petto dell'altro. L'uomo si sbilanciò e
cadde all'indietro con un gran tonfo, riemerse sputacchiando e la bambina rise,
e anch'egli rise.
- Su, dammi la mano, andiamo dove si può nuotare.
- Ma io non so ancora nuotare.
- Ci sono io. Non aver paura. Io sono qui, con te.
Sempre con te.
Era l'ora quieta in cui il mare prende lo stesso
colore del cielo. Il breve arco della luna sembrava appiccicato su quello
sfondo azzurro-grigio come in un collage. Oltre la linea dei massi
frangiflutti, due piccole figure avanzavano nell'acqua, lievi, come scivolando.
Appena due virgole su di un foglio di carta increspata. Un gabbiano fendette
l'orizzonte e sparì verso terra; lontano, nella curva della costa, si accesero
le prime luci.
Il mare ansava piano, soltanto un lieve sussurro
quando le onde toccavano la spiaggia; non c'era neppure un refolo di vento che
portasse l'aroma resinoso dei pini. Comunque, i due sarebbero stati ormai
troppo lontani per sentirlo, persi nella luce pacata delle acque.
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