venerdì 1 gennaio 2016

AL DIAVOLO I FARMACISTI!


  
La diarrea iniziò a sconvolgere e disturbare il suo da sempre debole stomaco e, se invece di assecondare il suo medico Dottor Gunning, pur amico di vecchia data, avesse dato ascolto al suo istinto, oggi non si troverebbe a dormire una notte sì e tre no.
Povero signor Champion, ormai andava avanti così da quasi un anno. Aveva perso oltre dieci chili, riusciva a consumare un solo pasto completo al giorno e le sue relazioni sociali, un tempo numerose, si erano impoverite di numero e di qualità. Ma, non poteva fare diversamente: a causa del suo stomaco, doveva declinare gli inviti soprattutto quelli a cena.
Il suo medico lo aveva convinto, a dire il vero con molto impegno, a imbottirsi di farmaci: tre prima della colazione, quattro prima del pranzo e quattro prima della cena. Li buttava giù sempre mal volentieri accompagnandoli con un pranzo più o meno decente e una cena più che frugale. La colazione, all’inglese, risultò essere il pasto meno preoccupante e faticoso. L’unico vantaggio della terapia fu la diminuzione delle scariche da due o tre a una o due alla settimana al ritmo di una ogni due o tre giorni. L’odore era sempre intenso e nauseabondo. Ragion per cui, questa, doveva rifiutare anche i più graditi inviti. Andare alla toilette per evacuare era una vergogna sopportabile a casa, ma non da ospite.

Sì, il suo istinto gli aveva suggerito, sotto voce, di non ingurgitare tutte le pastiglie prescritte. Sempre il suo istinto gli aveva detto che erano tutte solo farmici e, quindi, tutte solo veleni. Dai suoi vecchi studi classici sapeva che: φαρμακον, significava: veleno.
E questi veleni agirono chimicamente su di lui, giorno dopo giorno, avvelenandolo lentamente, ma costantemente.
Dopo quasi un anno, ebbe il coraggio di dire all’amico medico con un certo tono di voce: “Sento, che questi farmaci mi stanno uccidendo!”. Ma per tutta risposta si era sentito dire che avrebbe dovuto ringraziare e benedire i farmacisti anziché imprecare contro di loro visto che, dopo quasi un anno, le scariche erano notevolmente diminuite.
Ma la diarrea non era affatto cessata e il povero signor Champion continuò a dimagrire e, fatto ancor più triste, finì col diventare un misantropo contro quella che, invece, era la sua vera natura.

I vicini di casa – viveva in una villetta a due livelli in una via borghese nell’elegante quartiere dei notai e degli avvocati, in compagnia di un bellissimo e flemmatico siamese di nome Mosè – si accorsero del suo isolamento, della sua fuga dalle relazioni sociali impegnative tranne che da quelle che la vita quotidiana costringe ad avere: il fruttivendolo, il giornalaio, il fornaio, la commessa, il postino, la governante. Ma nessuno di loro si curò di fargli visita.
Agli inviti a cena rispondeva sempre: “Non posso! Problemi, problemi di stomaco!”, e ancor prima che si avesse il tempo di insistere lui si era già allontanato mormorando: “Problemi, problemi di stomaco!”.

E mentre la fedele e devota governante, la signora Barnett, al suo servizio da quasi venti anni, non ebbe mai l’ardire di dargli un consiglio su come evitare di dimagrire ulteriormente, la sorella Mary Betty, una arcigna e zitella maestra in pensione, che lo visitava tutti i martedì all’ora del tea, tanto insistette perché al posto del classico tea bevesse una tisana composta da una miscela di piante officinali sapientemente scelte e raccolte da certi monaci camaldolesi in Toscana, che lo convinse a bere una tisana alla gramigna composta tutti i giorni all’ora del tea e la sera prima di andare a letto.
La miracolosa tisana di Mary Betty aveva questi ingredienti: Cassia obtusifolia folium, Triticum repens radix, Mentha piperita summitates, Arctium lappa radix, Parietaria officinalis planta, Matricaria chamomilla flos, Coriandrum sativum semen, Foeniculum officinale semen, Melissa officinalis summitates, Smilax officinalis radix, Illicium verum semen.
Questa tisana risultò un ottimo coadiuvante per il transito intestinale e portò il signor Champion a smettere di dimagrire, ma non di fargli evitare le sue solite sedute di evacuazione quasi liquida.

Per timore che l’amico medico gli proibisse di bere la tisana camaldolese, non disse nulla al Dottor Gunning e, tramite l’affezionata sorella, ordinò ben dieci scatole della tisana che lo aiutava almeno a non perdere chili e a dormire qualche ora in più rispetto ai mesi precedenti. Le scatole arrivarono all’indirizzo oxfordiano dopo appena una settimana e furono messe nella prima dispensa della cucina – la seconda dispensa si trovava nel seminterrato che custodiva le marmellate e i vini italiani di annata –.
La signora Barnett provvedeva a far trovare la scatola della tisana sul tavolino tondo del soggiorno all’ora del tea e sulla scrivania dello studio la sera dopo un’ora dalla sempre frugale cena.
Dopo il primo mese il signor Champion apportò una aggiunta alla ricetta della sorella. Come dolcificante faceva sciogliere nella tisana bollente un cucchiaio di miele amaro proveniente dalla Sardegna.

Terminata la terza settimana le scariche di diarrea diminuirono al ritmo di una sola alla settimana. Non ne parlò al Dottor Gunning, ma solo alla sorella che festeggiò la buona notizia invitandolo a cena in un ristorante dove non metteva più piede da quasi tre anni.
Era solito consumare una cena molto leggera a base di passati di verdure, purea di patate, minestre di dado vegetale. Ma quella sera, convinto e incoraggiato dalla sorella Mary Betty, mangiò un antipasto, un primo, un secondo, un contorno di verdure grigliate, una fetta di torta ai frutti di bosco e bevve tre bicchieri di vino rosso italiano, un caffè e un bicchierino di acquavite austriaca. Il tutto accompagnato dalla continua ed allegra chiacchiera della sorella che finita la cena, pagato il conto – solitamente era il fratello a pagare –, disse, aiutandolo ad indossare il cappotto: “Credo, Christopher, che prima di andare a letto, dopo aver bevuto la tua solita tisana camaldolese, tu debba buttare nel cesso tutti quei schifosi veleni!”. “Credo proprio di sì!”, rispose offrendogli il braccio uscendo dal ristorante.

Rientrato a casa, dopo aver accompagnato la sorella sino al portone della sua abitazione – abitava due vie prima della sua, a due passi da un piccolo ma molto frequentato giardino pubblico –, non perse tempo. Aprì uno per uno i flaconi e versò l’intero contenuto di ognuno nel wc del piano terra. Facendo quei gesti semplici si sentì felice come non si sentiva dai primi anni della pensione quando, dopo aver lasciato il suo principale lavoro, quello di lettore e di correttore di bozze di una nota e prestigiosa Casa Editrice, si era immerso totalmente nel suo vecchio lavoro part time che amava da sempre: quello di critico letterario e di recensore.
I numerosi flaconi in plastica e in vetro furono buttati nel bidone della spazzatura, quello nel retro della casa, tra la legnaia e il box per gli attrezzi da giardino. Compiendo questa ultima operazione, chiudendo con fracasso il bidone con il coperchio metallico, disse: “Al Diavolo tutti i farmacisti!”
Quindi, si mise a letto, ma non prima di aver bevuto la sua tisana e di aver dato una ciotola di latte a Mosè, e si addormentò subito.

Quella notte ebbe un incubo. Sognò di fare colazione avendo davanti la faccia arrabbiata del suo amico medico, il Dottor Gunning, che lo obbligava ad ingoiare una dopo l’altra decine e decine di pillole di diverso colore e dimensione. Svegliatosi di soprassalto, sudato e ansimante, vide, seduto accanto a se, un monaco dal volto sereno e rubicondo, che lo guardava mentre girava e rigirava un cucchiaino d’argento dentro una tazza Delft fumigante. Il monaco, poi, scuotendo la testa e soffiando dentro la tazza alcune volte, disse con voce grave e solenne: “Ah, se avessi seguito il tuo istinto, non saresti morto!”

La sorella lo trovò riverso sul letto con Mosè raggomitolato vicino alla sua testa. Il medico legale dichiarò la morte per infarto. Mary Betty, accompagnata dalla signora Barnett piangente, prima di chiudere la porta a chiave, con in braccio Mosè, mise le restanti confezioni di tisana dentro la sua capiente borsa sicura di aver fatto tutto e solo il bene del fratello.

All’apertura del testamento, dieci giorni dopo, scoprì che il fratello Christopher aveva nominato eredi universali i monaci di Camaldoli.


(Racconto breve scritto a Tempio Pausania tra il 21 e il 28 dicembre 2015)


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