di Settimio Biondi (storico, saggista e narratore agrigentino)
Ci sono Opere “con cui” l’Autore o l’Autrice ci propongono il resoconto di un loro concluso viaggio e ci invitano a ripercorrerlo un passo indietro delle loro irripetibili esperienze.
E ci sono invece Opere “con cui” – ma si farebbe meglio a dire “in cui” – essi ci rapiscono e ci inducono magicamente a compiere il loro stesso itinerario: ci involano e plasmano.
Mi riferisco ad Opere tanto letterarie che pittoriche, musicali o relative alle scienze umane, senza distinzione di generi.
Chi ha inventato i “generi” si è assunto una grande responsabilità.
Da una parte si è allontanato dal mito, madre di tutte le scienze e di ogni arte, dall’altra si è riavviato al mito, per non perdersi. È il percorso di Platone, che dopo ogni dopo, nella marcia di distanziamento dal mito, sa bene che non potrà che imbattersi ancora una volta in esso, e questo perché ogni dopo possa avere un dopo da cui ricominciare; e questo per non smarrirsi. E questo per ritrovare di fronte a noi qualcosa cui avevamo volto le spalle.
E questo, in una parola, per essere, per “rimanerci”.
Ma anche il mito ha un mito: il filo di Arianna che consente di allontanarci dall’entrata per ritrovarci all’uscita.
Ho avuto la recente fortuna di leggere L’ultima dimora del re di cui è Autrice Rosamaria Rita Lombardo.
Sono stato cooptato dalla mia stessa lettura, e in certo senso sono stato letto dall’Opera, ed ho fatto il viaggio voluto dall’Autrice. Non capita spesso di imbattersi in una lettura necessaria, ove la necessità medesima sia quasi un “a priori” della lettura, in una magica, smagliante e misteriosa inversione tra causa ed effetto.
L’Opera mi ha rapito.
Il titolo dell’Opera ha un sottotitolo: Una millenaria narrazione siciliana “svela” la tomba di Minosse. Soggetto è la millenaria narrazione siciliana: il sottotitolo svela, ben prima della tomba di Minosse, il rapporto tra la narrazione dell’Autrice, che la stende come se l’avesse udita narrare dalla famiglia del tempo in sua necessità. L’aggettivo “millenario” non può che riferirsi a questa famiglia,a questo retaggio. E nel rivelare, proprio per svelarlo, questo rapporto la Lombardo “tradisce” il contenuto della narrazione, quasi come in un atto jeratico o sacerdotale: lo porta a conoscenza del grande pubblico.
E però la “narrazione” non è frutto di un tràdito racconto, né di qualcosa di arcanamente smarribile che l’Autrice ha osato salvaguardare, far trapelare e stendere (in questo sta il tradimento) nero su bianco.
No, perchè la “narrazione” è, in verità, frutto di esegesi, di duro lavoro, di acribia ed oserei dire di una “moralità” di ricerca, di preparazione e di riflessione a servizio di una grande professionalità storica e archeologica: a segreto servizio di un “sogno” e di una “istanza” ancestrale.
Figlia di succhi siciliani, l’Autrice, lontana e libera dalla Sicilia, si narra in un racconto frutto di ricerca e di risultati ma anche di introspezione culturale e di un fondamentale interrogativo sulla Sicilia, in tempi in cui l’Isola – nelle cronache, nella pubblicistica e nella saggistica torrentizia del presente – viene impinguata di innumerevoli e surrettizi miti.
Molti miti nascondono i veri grandi miti della Sicilia, o quell’unico che è sé stessa, e che ha non poche sfaccettature e riquadri di storiette.
Il mito di Minosse, della sua venuta in Sicilia, della sua morte in Camico alla ricerca di Dedalo è uno di questi specchi, e fondamentale: se non altro, per la sua antichità che sembra incignare, dopo una prima fase di frequentazioni e conoscenze commerciali, la primissima coscienza che ebbero i Greci dell’ Isola.
Il mito di Minosse, Pasifae, Camico, Cocalo etc. è il mito di un’epica impossibile, di una conoscenza drammatica. Mi piace pensare a Pasifae come ad una Elena non solo “ante litteram” o antesignana, ma ferinamente prodromica; e ad Elena come ad una Pasifae dirozzata, raffinata, rimasta con gli stessi vizi di quella, ma sdilinquita. E a Minosse come all’ archetipo di Menelao.
Dietro il mito c’è un tentativo greco di mettere piedi in Sicilia. Non essendo riuscito, il mito è rimasto spoglio, nudo, potentemente autentico: non si è cioè né rivestito né travestito in poema ed epica. La rivalsa i Greci l’ebbero con la spedizione di Troia, che fu il ricorso vincente dell’insuccesso isolano.
Molte città si contendono il nome di Camico e quindi il luogo di seppellimento di Minosse o il ricordo del suo passaggio.
La Lombardo identifica in Monte Guastanella la reggia di Cocalo, e i suoi argomenti sembrano avvolgenti e, uno ad uno, difficili o impossibili da confutare.
Tutti vengono a raggiungere concordanza, e la progressione induttivo-deduttiva scorre come un fiume che non conosce né soste né ostacoli.
Il risultato è una revisione storico-archeologica interessantissima, e prima di tutto una rivisitazione testuale delle fonti, una reinterpretazione dei passi lasciatici dagli antichi sull’argomento, una nuova luce di avvedutezza dell’insieme storico e geografico. Ed il risultato è una meravigliosa ricomposizione del mito, tributato questa volta ad una rupe di straordinario fascino e bellezza.
È comunque certo che, dal punto di vista strettamente scientifico, l’ipotesi della Lombardo risponde al maggior numero di quesiti sulla problematica, divenendo per ciò stesso l’ipotesi più avanzata e più attendibile tra le tante che son venute sorgendo in quasi un secolo. Più avanzata persino dell’ipotesi Camico-Sant’Angelo Muxaro , che si avvale, ma impropriamente di ritrovamenti archeologici ex se notevoli ma per niente probatori.
L’ultima dimora del re è un libro splendido, elegantissimo, letterariamente esaltante.
Mi commuovo di gioia al pensare che una giovane donna abbia saputo concepirlo e scriverlo, e vorrei consigliarne la lettura a chi volesse conoscere l’eternale fascino della Sicilia e l’animo di una siciliana di origine come la sua Autrice.
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