venerdì 18 luglio 2014

Vincitori del concorso Insanamente 2014

I giurati  Alessandra Pederzoli, Alessandro Chiarini, 
Daniela Mena, Elisabetta Sala, Luciano Palumbo, 
Paolo Lunardi, Simona Mulazzani
e Fara Editore
sono lieti di proclamare vincitori per la

Sez. B Racconto
del concorso Insanamente 2014 con inserimento nell'antologia  
Siamo tutti un po' matti
 i seguenti Autori
(per la Sez. A Poesia v. qui)
Cerimonia di premiazione la sera del 3 settembre 2014 a Viserba di Rimini nell'ambito della manifestazione Esportiamoci


1. Tratto da una storia vera di Marco Bottoni (Castelmassa, RO) 


Io non sono matto.
Sono solo stanco.
Dio, che caldo!
Fa un caldo insopportabile, e io non dormo, la notte.
Il fatto è che lei mi ha lasciato, e io resto qui a domandarmi se sono io che ho sbagliato qualcosa oppure se sono io che ho sbagliato tutto.
Quale che sia la risposta, non dormo.

Le notti e i giorni si susseguono, uno più torrido dell’altro, dicono in TV che è l’Anticiclone delle Azzorre, gli amici mi dicono che è tutta una serie di concause, io dico che è lei che è una stronza; comunque sia, mi sono ridotto a una specie di relitto umano.
Ho perso quasi dieci chili di peso, ho le congiuntive iniettate di sangue e due borse paurose sotto gli occhi; trascuro spesso di radermi e quando mi rado mi riempio la faccia di tagli, dice un mio amico psicologo che è il desiderio inconscio di infliggermi una punizione perché mi sento in colpa per non essere riuscito a tenerla con me.
Io dico che il motivo vero è che lei è una stronza, ma anche dirlo non serve a niente.

Il guaio è che anche il lavoro ne risente.
A inizio giornata sono già stanchissimo, faccio fatica a concentrarmi, non passa ora che non avverta il desiderio di trovarmi in qualsiasi altro posto.
Non me ne frega più niente di quelli che hanno la pressione alta né di quelli che hanno la pressione bassa e, quel che è peggio, non riesco a concentrarmi: proprio oggi doveva montargli un febbrone così alto, a questo qui?
Andando avanti così, va a finire che, anche senza volerlo, ne ammazzo qualcuno.
Certo che, anche lei, lasciarmi con questo caldo…






 

Marco Bottoni nato a Castelmassa (RO) il 30/09/1958. Esercita dal 1986 l’attività di Medico di Medicina Generale. Scrive per passione dal 1999, soprattutto racconti e poesie. Ha pubblicato: L’Altro e altre storie (Montedit 2004); Sullo stesso treno (Fara 2006); Vita (sei racconti nella raccolta Storie di Vita, Fara 2007); Prosecco e Prolegomeni – memorie di un Filosofo da bar (Montedit 2007); Luna – Quattro storie di scacchi e di mistero (Tindari Edizioni 2009); Mi siete mancati (Fara 2009). Un suo romanzo breve dal titolo Ore è inserito in Creare mondi (Fara 2011). Nel 2011 esce Regno: Animalia con Tindari Edizioni; nel 2013 pubblica con Edizioni Progetto Cultura la raccolta di racconti Buoni e cattivi e con Montedit il romanzo Io e Marcellino. Per il Teatro ha scritto Biglietto, prego! (2008), Dio lo faccio io! (2010), Con il titolo in coda (2011), Ciao G – omaggio a Giorgio Gaber (2013) e Buoni o Cattivi? (2013). Ha corso come tedoforo per il Viaggio della Fiamma Olimpica di Torino 2006. È fra i Soci Fondatori della Associazione Amici di Gianni per il Patì che sostiene progetti di alfabetizzazione e recupero sociale dei meninos de rua di Salvador de Bahía (Brasile), in favore della quale tiene corsi di Educazione Sanitaria, Educazione Alimentare e Educazione all’ascolto della Musica. È fondatore degli Amici di Marcellino che finanzia una borsa di studio per giovani studenti universitari.
Giudizi

«Racconto semplice nella costruzione abile e coinvolgente nell’alternanza di fatti e voci interiori del protagonista che, nell’avanzare dei pensieri, si trova a rovesciare completamente ruoli e immaginari. Il paziente e il medico. La follia e la stanchezza. Leggendo ci si lascia intrappolare da questa fitta rete introspettiva e se ne esce sollevati, quasi, da questa umanità che tutto avvolge e riconduce alla fragilità dell’essere uomo.» (Alessandra Pederzoli)

«Il racconto ha il pregio di sfumare, di rendere meno netto, il confine fra normalità e pazzia, infatti è il medico curante ha vivere in prima persona la situazione “difficile” in cui spesso si trovano i suoi pazienti. In questo scambio di parti e di ruoli, il curante accarezza la possibilità di passare dall’altra parte, dalla parte di colui che riceve l’aiuto, più che da quella dell’aiutante. Il lettore, coinvolto dal racconto, andrebbe volentieri con lui.» (Alessandro Chiarini


«Follia e normalità non sono distanti. Ben scritto, divertente, con leggerezza questo racconto ci porta dentro una storia che sa di quotidiano e in questo ci fa trovare le tracce di quella follia che spesso tendiamo a vedere solo in chi ci sta attorno.» (Daniela Mena)
 

Interessante la sovrapposizione, e parziale identificazione, tra medico e paziente. (Elisabetta Sala)

«È un racconto verosimile e divertente. Spesso tra paziente e dottore si crea una certa empatia e questo racconto, in maniera molto abile nello svolgersi della storia, descrive le vicende di entrambi: il dottore e il signor Chiarelli avrebbero potuto benissimo scambiarsi i ruoli e nessuno si sarebbe accorto di nulla. Per fortuna c’è Maura che, seppure causa di tanta sofferenza, impedisce all’imparziale Walter di commettere un errore.» (Paolo Lunardi)

«Racconto ironico, divertente, in cui cominci a sudare per “il caldo insopportabile” e a sentirti stanco, per le notti insonni trascorse pensando ad un amore andato. Eppure nella confusione interiore e destabilizzante che vive il protagonista, e noi con lui, c’è un signor Chiarelli che fa rialzare la testa e permette di tendere la mano verso l’altro. Per sentirsi meno matti abbiamo tutti bisogno di un Chiarelli. Una scrittura che cattura, dove l’uso della prima persona porta dentro la storia e strappa un sorriso.» (Simona Mulazzani)


Secondi classificati ex aequo

2. Pentimento di Subhaga Gaetano Failla (Massa Marittima, GR) 


Tutta l'America Latina è disseminata
delle ossa di quei giovani dimenticati.
(Roberto Bolaño)


Lieve il cielo di Santiago prolungava i sogni azzurri dell’alba. Il dicembre del 1996 offriva i suoi giorni all’esordio d’una nuova estate cilena.
Era l’ora buona per evitare il traffico della metropoli. Victor raggiunse in macchina il piccolo aeroporto. Il suo biplano era lì, sembrava una creatura animata, già sveglia in attesa del padrone. Il rosso delle ali si accese ai primi raggi del sole.
Il giovane pilota entrò nell’aereo a due posti. Guardò il sedile posteriore. Parve incuriosirsi sulla struttura della cintura di sicurezza, poi armeggiò intorno a essa e alla portiera accanto. Il biplano apparteneva a un vecchio modello, con l’abitacolo scoperto. Victor poteva sentire in volo lo sferzare dell’aria oltre il piccolo parabrezza.
Tornò a casa. Fumò una sigaretta e subito dopo un’altra. Compose un numero di telefono, chiese ancora informazioni su alcuni nomi, gli stessi che andava ripetendo negli ultimi mesi.
Guardò la città, finalmente desta, nel frastuono e nella luce.
 

Un fascicolo voluminoso, con le pagine accartocciate dall’uso, spuntava da un arcipelago di libri sparsi sul tavolino. In ogni foglio appariva in alto a destra la sigla HIJOS. Victor cerchiò l’ennesimo numero di telefono. Ma era pressoché inutile. Le sue ipotesi erano divenute certezza. Le tessere del puzzle combaciavano ormai tutte. Il disegno che ne era scaturito lo aveva ferito come una coltellata, togliendogli il fiato e il sonno. (…)



Subhaga Gaetano Failla è nato a Scalea (CS) nel 1955. Laureato in Sociologia a Urbino, ha pubblicato saggistica sociologica. Ha fatto parte di gruppi teatrali. Libri di racconti: Logorare i sandali (Aletti 2002), Il coltello e il pane (Aletti 2003), La signora Irma e le nuvole (Fara 2007). Suoi testi sono presenti in numerose riviste e altre pubblicazioni, in e-book, siti online italiani ed esteri e in antologie dei seguenti editori: Perrone, Azimut, Aletti, Morrone, Opposto.net, Historica. Ha pubblicato racconti con Delos Books in diverse antologie e nella rivista WMI. Altri suoi testi con Fara in: 3x2 (con il racconto lungo Il seminario di Vinastra), Lo spirito della poesia, Storie e versi, Salvezza e impegno, Chi scrive ha fede?, Scrittura felice, Letteratura… con i piedi. Poesie nelle antologie in lingua inglese, tradotte in francese e tedesco, Zen poems (Londra, 2002) e Haiku for lovers (Londra, 2003). Ha collaborato con «Orizzonti», con la rivista inglese «Hazy moon» e con il blog Letteratitudine. Collabora con «La Masnada» e i blog di Fara. Vive in Toscana.
Giudizi

«Il tema dei desaparecidos mi tocca molto e se ne potrebbe scrivere a lungo. Qui si è scelta una linea breve, ma intensa: il racconto, nella lotta tra padre “putativo ed usurpatore” e figlio-vittima, suscita una forte emozione, dipanandosi in maniera snella, scarna, ma precisa nel descrivere il diverbio tra i due protagonisti. Il finale è forte.» (Luciano Palumbo)

«Mi ha emozionato: ho molto letto della vicenda dei desaparecidos, una vicenda tragica e inquietante che tutti dovrebbero conoscere e ricordare. Mi sono immerso nei panni del protagonista, nell’odio e orrore che deve aver provato dopo aver letto e compreso nei fascicoli quello che gli era accaduto e chi fosse in realtà quello che lui aveva chiamato fino a quel momento padre. Mi è piaciuta anche l’ambientazione, su un biplano ad alta quota: tra cielo e terra, tra bene e male. Può esserci solo il pentimento o una tragica fine.» (Paolo Lunardi)

«Amaro, cinico, destabilizzante e per questo coinvolgente. Il Cile con la sua storia lontana in questo breve racconto emerge con tutta la sua drammaticità. Un flash potente su un passato che ha lasciato un’eredità difficile da digerire e con cui ancora fare i conti. Le bugie, i legami affettivi, costruiti ad arte nulla possono di fronte alla verità che, nonostante tutto, chiede di essere gridata. Nel gesto estremo un bisogno intimo di liberazione di un paese, di un popolo, dei suoi giovani. Frasi contratte, brevi, cariche, che offrono un incalzare crescente e appassionato.» (Simona Mulazzani)


2. Il rumore della neve di Massimiliano Bardotti (Catelfiorentino, FI) 



a Genny

E così cadde la neve.
In realtà nessuno potrebbe giurare di averla vista cadere, perché ci sorprese al risveglio, dopo una notte silenziosa, la più silenziosa che io ricordi. Eppure avevo sentito dire che la neve fa un rumore particolare quando scende dal cielo. È come un perpetuo movimento dell’atmosfera, i fiocchi che a uno a uno si cullano su ogni molecola d’aria. Non è un rumore molesto, è qualcosa di lieve, rigenerante, una cura, e chi l’ha sentito è pronto a giurare che è inconfondibile, indimenticabile.
Noi, non ci accorgemmo di nulla. Noi, ci svegliammo e basta, su un bianco manto di stupore. Il primo fu Jacopo. Le sue grida svegliarono tutto il vicinato. Provò a uscire in strada ma non ci riuscì. Si limitò a gridare dal suo balcone quasi del tutto inagibile: "Andrea, non sarà la neve a fermarmi, non sarà la neve né nient’altro!".
Jacopo era convinto che da quando Andrea aveva aperto una piadineria a pochi metri dalla sua pizzeria a taglio, i suoi clienti fossero diminuiti. Andrea si difendeva dicendo che anche lui, Cristosanto, doveva mangiare, che quel negozio era un suo diritto e che se l’aveva messo su a pochi metri da quello di Jacopo era stato per concessione del Comune, mica era colpa sua! (…)





Massimiliano Bardotti cura per la Toscana la “Collana poetica itinerante” di Thauma edizioni. Nel 2011 con Thauma è uscito il suo libro Fra le Gambe della Sopravvivenza (finalista al Premio Mario Luzi, Arezzo Poesia Sergio Manetti, Premio Sulle Orme di Ada Negri, Premio Città di Sassari e Premio di poesia Annuario Giulio Perrone ed., terzo classificato al Premio Città della Spezia e vincitore del Premio città di Manfredonia Re Manfredi). Nel febbraio del 2013 esce Ne abbiamo fin sopra i capelli dell’umano, scritto con Luca Pizzolitto e Serse Cardellini, edito da Thauma nella collana “Poethree”. Il libro è tradotto anche in polacco. Nel mese di maggio 2013 esce A Cieli Aperti (Thauma, “Collana poetica itinerante”). È vicepresidente dell’Associazione Culturale Assenzio, nata con l’intento di divulgare il linguaggio poetico e di contaminarsi con ogni forma d’arte. Con Giacomo Lazzeri (musicista) ha formato il duo La Minima Parte, la poesia che incontra la musica e diviene spettacolo, teatro, concerto. Web: www.facebook.com/la.parte.3 
 
Giudizi
 

«Una favola per i nostri giorni. Una favola intrisa di magia. A volta basterebbe poco perché gli uomini evitino di commettere grandi errori, a volta basta fermarsi. Un racconto che ci fa stare con l’orecchio teso ad ascoltare… il rumore della neve. Bello.» (Daniela Mena)

Racconto surreale che rimanda alla piccolezza dell’animo umano quando distoglie lo sguardo dalla grandezza del creato. (Elisabetta Sala)

Lieve come la neve appunto. I ricordi di un’amicizia che si sciolgono a volte di fronte al calore di un luglio afoso e al rancore per presunti torti e l’amicizia sembra sparire. Qui la neve è salvifica e fa rientrare tutti i dissapori. Un racconto toccante e leggero, veramente piacevole da leggere. (Luciano Palumbo)

Bello pensare ai dissidi vinti dalla neve. Pensare che il tempo dell’ozio forzato porti ad un pensiero di bene, dove l’altro non è il nemico ma un compagno con cui costruire. Una favola moderna e irriverente, che fa riflettere. Una scrittura semplice e lineare come deve essere quella di una favola, ma capace di interrogare. La nostra vita ha bisogno di neve! (Simona Mulazzani


 



 
 
Terzi classificati ex aequo

3. Non sarà che ’sta pazzia è contagiosa? di Francesco Randazzo (Ronciglione, VT)

Andare dalla nonna, la madre di suo padre, era una specie di pellegrinaggio sacro, che si doveva fare ogni domenica. S’andava a venerare la Genitrice, l’Arca Santa dai piedi gonfi che aspettava ogni settimana che il Figlio gli rendesse omaggio, con quella ragazza che non le piaceva e che era purtroppo sua moglie, e quei bambini: la femminuccia biondissima che era bedda precisa al picciriddo che era stato suo figlio e il maschietto muto e scuro che senz’altro era figlio di sua madre. Si salivano le scale ripide di pietra grigia e s’arrivava su un pianerottolo stretto. C’erano due porte. Quella che stava proprio di fronte alla scala, dava sullo stanzino del gabinetto. A sinistra c’era quella più grande che portava direttamente in salotto. Bastava abbassare la maniglia e si entrava. Al centro della stanza c’era un grande tavolo rivestito con una coperta pesante che proteggeva il legno pregiato e aveva anche lo scopo di rendere il tutto cupo e solenne. Seduta su una sedia, accanto al tavolo stava lei, vestita, incollanata e solenne come una Santa sofferente e presuntuosa che attendeva le visite e gli omaggi dei fedeli. Era grassa e con i piedi gonfi costretti in scarpe o pantofole deformate. Doveva soffrirne certo, ma quando era bambino, questo non lo riguardava, per lui era orribile guardare quei piedi. I piedi di sua madre erano bellissimi, come quelli delle bambole di sua sorella; e persino l’altra nonna che era vecchia anche lei, aveva dei piedi che erano, non si può dire belli, ma normali, c’aveva solo qualche callo ma niente di paragonabile a quei piedi abnormi della vecchia seduta. Si entrava e mettendosi in coda, bisognava baciarla. Vedeva la mamma che lo faceva e lo faceva anche lui. Odorava di sapone alla violetta un po’ ammuffito. Sua sorella invece si rifiutava sempre, fra grida e strepiti alla fine doveva farlo, ma prima si toglieva lo sfizio di provarci. Beata lei, Tommi non ce l’avrebbe mai fatta. (…)


Francesco Randazzo è regista e scrittore. Dopo la laurea in Regia, all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” di Roma, nel 1991, è attivo in Italia e all’estero come regista e autore per importanti teatri e festival, fra i quali: Todi Festival, Teatro Stabile di Catania, Ortigia Festival, Narodno Kazaliste “I Zaic” di Rijeka, Festival di Dubrovnik, Teatro Nacional Juvenil de Venezuela, Teatro IT&D di Zagabria, Playwright Festival of New York, Festival des Films du Monde di Montréal, Festival Universcènes de Toulouse. Fondatore della Compagnia degli Ostinati – Officina Teatro, della quale è direttore artistico, ha pubblicato con vari editori, testi teatrali, poesie, racconti ed un romanzo, ed ha ottenuto numerosi riconoscimenti in premi di drammaturgia nazionali e internazionali, fra i quali: Premio Fondi La Pastora, Premio Candoni, Premio Fersen, Premio Schegge d’autore, Sonar Script, Premio Leonforte, Premio Maestrale San Marco, Premio Ugo Betti, Premio Officina Teatro. Suoi testi teatrali sono stati tradotti e rappresentati in spagnolo, francese, inglese, ceco. Parallelamente ha svolto e svolge una intensa attività didattica con corsi di recitazione, storia dello spettacolo, stages e conferenze per varie istituzioni pubbliche e private, fra le quali: Scuola di Teatro Antico dell’Istituto nazionale del Dramma Antico, Università di Venezia, Cinars Montreal, TNJV Caracas, Centro Teatro Educazione-Ente Teatrale Italiano, Centro Studi Uilt, New York University, Ostinati Open Studio e International Acting School Rome. Cono Fara a pubblicato Papier mais (2006).

Giudizi

«Divertente l’approccio al mondo degli adulti da parte del protagonista bambino. Accurata l’ambientazione, realistici i dialoghi.» (Elisabetta Sala)

«Cosa passa nella testa di un bambino quando si trova in situazioni più grandi di lui? Quando il suo piccolo o grande “disagio” non viene compreso? Questo racconto ha la capacità di mostrarcelo, senza scadere nelle ovvietà, mettendoci di fronte ad una situazione inaspettata, per cui un’azione “giusta” e fatta in buona fede, mina gli equilibri e la serenità di una famiglia.» (Alessandro Chiarini)



3. Io so’ pazzo. racconto bilingue di Paolo Calabrò (Caserta)


Alla piccola stupenda Giulia Hoa e ai suoi incantevoli genitori, Luigi e Marina

30 secondi

Mo’ ce n’avimma ji’ sulamente. Fratemo m’aspetta in macchina. ’Na cinquecento, piccola, silenziosa, veloce. Già ce ne stammo fujenno. Mi guarda e non mi dice niente, tene ’na faccia che significa: «Tutt’a posto?» «Tutt’a posto, ’o miccio è partuto ’na bellezza». Lui guarda avanti, e io pure penso alla strada. Alla strada che corriamo adesso, e pure a quella che abbiamo fatto mo’ che teniamo vent’anni e i vurzilli nel mercato non li rubiamo più. Dicono che siamo pazzi, ma chi è più pazzo, io o loro, che lo sapevano come andava a finire, e non hanno fatto niente? Quand’è domani fanno finta che non lo sapevano. Mo’ nisciuno sape niente. E che si pensano, che queste cose si organizzano ’int’a cinque minuti? Ci vuole la scienza per fare le bombe, ce vo’ ’a pacienzia. E ce vonno ’e sorde. Per non darci diecimila euro a noi, domani mattina ce ne daranno centomila a quelli che vengono a mettere a posto. Vi è convenuto? E allora scusate: vuo’ vede’ che ’o pazzo fosse io?


25 secondi

«Qua stanno cinquecento euro, stanotte ve ne andate a dormire nel meglio albergo di Napoli». Quando un “amico” ti fa un’offerta così generosa non puoi rifiutarla; ma a volte non puoi rifiutarla nemmeno se quell’offerta te la fa uno che non è un amico. E nemmeno se non è generosa. Non mi ha detto nient’altro, ma l’ho capito subito che si tratta di una bomba. Però lui non me lo ha detto, e io non gliel’ho domandato. «Solo per stasera?» «Solo per stasera». Poi ha aggiunto: «Passiamo noi domani mattina. A mezzogiorno. State comodo a mezzogiorno?» «Sì, sto comodo» gli ho detto, mentre gli prendevo i soldi dalle mani. Solo un pazzo non li accetterebbe, mi sono detto. Se questi possono mettere una bomba qua sotto in tutta tranquillità, chi sa cosa potrebbero farmi, con la stessa tranquillità, se li contrariassi. Questa gente non ha fretta. Io invece avevo fretta di levarmelo dai piedi, non ce la facevo più a tenerlo davanti: ancora un poco e mi sarei messo a piangere, forse gli sarei saltato al collo. Forse l’avrei ucciso: il pensiero che uno ti possa dire di uscire da casa tua a suo piacimento ti rende furioso. O forse avrebbe ucciso lui me. Ma adesso, a casa di mia sorella che ci ospita per la notte, non mi domando questo. Mi domando un’altra cosa. Veramente è da stamattina che me lo domando, da quando siamo usciti: “A che ora scoppierà? (…)


Paolo Calabrò  è laureato in Scienze dell’informazione (Salerno) e in Filosofia (Napoli). Dal 2009 gestisce il dell’informazione (Salerno) e in Filosofia  dell’informazione (Salerno) e in Filosofia sito ufficiale in italiano del filosofo francese Maurice Bellet. Redattore del settimanale «Il Caffè» di Caserta e del mensile «l’Altrapagina» di Città di Castello (PG), collabora con il bimestrale «Testimonianze» e con i mensili «Lo Straniero» e «Sapere» e con le riviste online Filosofia e nuovi sentieri e Pagina3. Ha pubblicato Le cose si toccano. Raimon Panikkar e le scienze moderne (Diabasis 2011) e diversi articoli sulla filosofia di Panikkar e Bellet, gli ultimi sono: “Il pensiero è impuro. L’epistemologia relazionale di Raimon Panikkar oltre il ‘nuovo realismo’” (Filosofia e nuovi sentieri, dicembre 2013) e “Attenti al lupus. Ammalarsi di cristianesimo secondo Maurice Bellet” in Letteratura… con i piedi (Fara 2014).

Giudizi

«Una vicenda che trasuda verità e racchiude in poche righe un mondo intero. Lo scandire del tempo che trasmette il non avere alternative, la debole forza del prendere soldi e far esplodere. Un esplosione che è anche dentro. E non lascia spazi a commenti se non al silenzio. Efficace l’alternanza della lingua, restituisce al racconto concreta vita della vita di quegli uomini.» (Alessandra Pederzoli)

«Originale nella sua stesura e nell’uso della lingua. Piacevole nella lettura e per il senso del racconto: sembra di vederlo, il protagonista, che attende lo scoppio e nel mentre gli tornano le immagini di ciò che lo ha portato a quel gesto… se ne percepisce la frustrazione e la tensione per tutti i 30 secondi. Uno scoppio finale che è anche liberatorio. Bisogna essere pazzi per scrivere così, ma la pazzia, in questo caso è bella e fa bene.» (Luciano Palumbo)

Una scrittura creativa che lascia presagire il mondo interiore che può celarsi dietro ogni notizia di cronaca. Una parola scandita dall’inesorabile trascorrere del tempo dove la follia si fa presagio. La doppia lingua porta il lettore a due modi di pensare distinti, ma contaminati. Uno fa l’eco all’altro e lo completa. Stimolante! (Simona Mulazzani)



Quarti classificati ex aequo

4. I fantasmi di Maria di Marinella Rosin Beltramini (Pordeone)


Era là quasi attaccata ad uno di quei paletti d’acciaio della luce che si trovano sui marciapiedi. Sembrava strofinare una matita che solo lei vedeva. Il paletto doveva essere per lei una grande lavagna dove poter scrivere tutto ciò che aveva in testa e nel cuore.
Laura la riconobbe. Sì,era senza dubbio Maria, quella stessa Maria che anni prima sotto le finestre del suo ufficio parlava con un immaginario Francesco,al quale raccontava tutto ciò che le era successo. Francesco era il figlio perduto,forse in un incidente. Qualcuno sapeva che abitava a Maniago.Questo era, allora, un paese abbastanza grosso della pedemontana del Friuli Occidentale in provincia di Pordenone. Di lei non si sapeva altro. Laura ripensava a quei giorni in cui Maria scendeva in città. Arrivava sempre nei giorni di mercato,forse per proseguire un’abitudine presa nel tempo, si sistemava sotto le finestre dell’ufficio dell’ente dove Laura lavorava e parlava,parlava finché ad una certa ora se ne andava via e nessuno sapeva dove. Probabilmente tornava alle sue montagne, ai suoi laghi e viottoli e là ritrovava le creature fantastiche, che da anni riempivano le sue giornate solitarie.
Ora continuava nel suo scritto. Forse quello che un giorno diceva a voce alta,visto che nessuno l’ascoltava, ora lo voleva scrivere. Aveva sempre il capo coperto da un fazzoletto come si usava nelle zone paesane nei tempi andati. Era sempre vestita,come una volta,modestamente.
Chissà di cosa viveva! A giudicare dall‘abito semplice,ma ordinato,sembrava proprio che per lei il mondo non fosse andato avanti. Dava l’impressione di una donna semplice e schiva,paurosa e timida,ma, al contrario, mentre scriveva le sue parole segrete, mostrava una grande sicurezza. Lei leggeva quelle frasi; lei sapeva,si guardava attorno quasi con paura che qualcuno potesse rubaglielo quel suo linguaggio. Se una volta parlava, ora scriveva e così in tutti questi anni aveva coltivato la sua illusione. Continuava dopo anni a raccontare al suo figlio perduto la sua sconfitta, la sua rabbia contro un mondo che probabilmente,secondo lei,glielo aveva portato via. (…)


Marinella Rosin Beltramini è nata il 25.9.1941 a Panicale (PG). Da anni vive a Pordenone. Da sempre ha espresso in versi le sue emozioni di vita, ma solo da pochi anni ha voluto condividerle con altri pubblicando le proprie poesie. Del 2002 è la prima raccolta Dal Cadere delle Perle (Campanotto Editore), mentre nel 2011 è uscita la seconda raccolta Alfabeto delle emozioni (Campanotto, con la prefazione del prof. Giuseppe Raffaelli). Con i suoi racconti “marini” partecipa alle varie edizioni della collana “Lignano ti racconto”. Ha ottenuto premi e riconoscimenti. Molte sue liriche sono inserite in antologie.


Giudizio
«È un obbligo sentirsi e dimostrarsi “normali”? Una esistenza regolata da farmaci e tranquillanti è meglio di una vita vissuta in compagnia dei propri fantasmi? Non è facile rispondere a queste domande. Il racconto proposto, con semplicità spende alcune parole a favore di un non interventismo terapeutico, lasciando le persone in compagnia delle proprie illusioni consolatorie. Non c’è la pretesa di instaurare una regola, o di dimostrare qualcosa, con piacevole delicatezza l’autore interroga il lettore e lo porta a riflettere, a pensare.» (Alessandro Chiarini)



4. Senno di Alberto Allamprese (Carpi, MO)

Il professor Eco, socchiudendo gli occhi a causa del fumo di sigaretta che esalava dal posacenere, tracciò le ultime linee della mappa e domandò se tutto fosse chiaro. “Non proprio tutto” risposi “Ma vedrò di arrangiarmi”. Per la bisogna, facevo affidamento su Augusto Liprandi, maresciallo elicotterista a riposo per una ferita riportata nel Golfo e attualmente gestore di un noleggio di aerei ultraleggeri. L'ultraleggero sembrava l' ideale per quel viaggio, non discostandosi di molto dal velivolo di cui parlava la Storia. Liprandi fissò la mappa sul cruscotto con quattro puntine da disegno, toccò i comandi e prendemmo il volo. Il piccolo aereo guadagnava gli strati più alti dell' atmosfera con agilità, mentre la campagna sottostante si trasformava in una macchia color senape. La mappa ci condusse ai piedi di un' alta montagna, sul cui fianco era scavata una caverna. Dall' antro si effondeva un nero fumo bituminoso, e fu allora che udimmo strida terrificanti, mentre contro di noi, con brevi voli, muovevano dei mostri orrendi. Avevano corpo d' uccello e volto di donna, e si aggiravano gridando e defecando ovunque, impestando ogni cosa e rendendo l' aria maleolente al massimo grado. Liprandi le freddò con precisi colpi della pistola d' ordinanza. Trascinammo le carcasse alla bocca della caverna, che conduceva (così diceva la Storia) giù fino all' Inferno, e turammo il foro con rami e sterpaglie. (…)


Alberto Allamprese ha 54 anni e vive a Carpi. Fa il medico di famiglia. Soffre di depressione fin dall’età infantile ed ha avuto svariate esperienze in ambito psichiatrico. Scrive racconti incentrati sulla figura del detective privato Hugo Scamozzi, uno dei quali è stato recentemente segnalato in un concorso tenutosi a Carpi.

Giudizio
«Lo stile è surreale e fantasioso: l’impresa raccontata è paragonabile alle gesta di Orlando che andò a cercare il suo senno sulla luna. E poi il co-protagonista è Umberto Eco che, secondo il mio modesto parere, potrebbe apprezzare di comparire in tale veste.» (Paolo Lunardi)


4. A nascondino con i fiori
di Stefano Redaelli (Varsavia, Polonia) 


Io non so spiegarvi che legame c’è tra me e Marta.
Mi sfugge, si nasconde, poi mi cerca. Forse gioca.
Quando la incontro, le do il buongiorno col baciamano, lei risponde con un sorriso timido e si defila. Ogni tanto, mi passa vicino, non mi accorgo mai che sta arrivando, d’un tratto appare, preceduta da una fragranza di fiori. Si ferma, mi guarda, a volte chiede qualcosa, tipo: hai scritto? oppure: hai visto le nuvole? o anche: ti piace? E io non faccio in tempo a rispondere, che lei è già andata oltre. A volte, invece, mi guarda soltanto, per un istante, non dice niente e fugge.
Io credo che sia un gioco, ma non ho capito le regole. Ho capito che le piace giocare. Allora gioco anch’io. Passo difronte alla sua stanza, mi fermo sull’uscio, la guardo mentre mette in ordine i vestiti, o è seduta sul letto senza far niente, a canticchiare, o davanti alla finestra a guardare fuori. O a parlare. La sento fare lunghi discorsi; penso ci sia qualcuno nella stanza, invece è sola. Si racconta storie, recita poesie, filastrocche. Mi piace ascoltare, guardare dall’uscio. Lei sa che ci sono, si gira un istante, sorride, fa finta di niente.
Il gioco è questo: esserci, senza farsi vedere. Percepire la presenza l’uno dell’altra in un profumo, un pensiero, una voce che inizia a parlare nella testa di punto in bianco.
Mi è capitato più volte, non l’ho detto alla dottoressa, chissà cosa penserebbe. Mentre mangio o scrivo, nella testa all’improvviso Marta inizia a parlare, con quel tono leggero, quasi cantando, racconta un ricordo di bambina, una cosa accaduta durante la giornata.
È strano, parliamo pochissimo, eppure, è la persona con cui comunico di più, in un modo diverso, intenso. Conosco Marta meglio di chiunque altro qui dentro, anche se sfugge, si nasconde, poi mi cerca, appare, scompare.
È solo un gioco.
Certi giorni, vicino al computer trovo un fiore.
Lo metto nel vaso e inizio a scrivere.
Sono le pagine migliori. (…)



Stefano Redaelli ha conseguito il Dottorato in Fisica e il Dottorato in Letteratura. Docente e ricercatore di letteratura italiana nella Facoltà di “Artes Liberales” dell’Università di Varsavia, si occupa dei rapporti tra follia, scienza, spiritualità e letteratura. Tra le sue pubblicazioni di critica letteraria e narrativa: Circoscrivere la follia. Mario Tobino, Alda Merini, Carmelo Samonà (Sub Lupa, 2013), Chilometrotrenta. Romanzo (Edizioni San Paolo, 2011), Spirabole. Racconti (Città Nuova, 2008).

Giudizio
«Poesia in prosa, riesce a farci prendere per mano da Marta e a scoprire il suo mondo. Proviamo che cosa significa “perdersi”, senza per questo perdere il gusto di vivere. Basta uno sguardo per capirsi e per capire che un rapporto significativo ha bisogno “solo” di affetto sincero e il resto è la misteriosa bellezza della vita e del mondo.» (Daniela Mena)


4. La notte in cui non accadde nulla di Alessandro Salvi (Rovigno, Croazia)
 


Me ne sto a letto a contare le zanzare sul soffitto, mentre l'estate è dappertutto: dalle bianche lenzuola pregne di attesa frammista a vischiosa solitudine, alle bianche pareti disseminate di neri schifosissimi esserini comunemente detti insetti. "Ma è l'acqua, è l'umidità?" mi chiedo ad alta voce, "a generare questo silenzio storpio, cosparso di innumerevoli cunicoli stretti e cadute nel vuoto?". Meglio star zitti e disattivare il microchip emozionale, poi assassinare il pensiero, depennarlo anzi e alzarsi. Sono le 2 del pomeriggio, cristo! Mi alzo e vado in bagno, evitando di guardarmi allo specchio prima di darmi una sciacquata per bene. Faccio le mie cose, fisiologiche intendo, e poi in fretta e furia mi vesto ed esco. È un'estate tanto afosa che a momenti si schiatta, con queste maree di passanti, attempati turisti che ondeggiano inquieti e sbuffano come vetusti catorci da rottamare. Non so più quale strada percorrere per evitarli; il teletrasporto, ahimè, non l'hanno ancora inventato, perciò mi faccio coraggio ed esausto m'infilo su una di quelle calli che si diramano dalla Carrera per proseguire salendo su su fino al convento francescano; poi, col fiatone e tutto sudato, scendo dalla scalinata di Via Augusto Ferri, intralciata da un vecchio materasso ed altra spazzatura, ed eccomi dunque svoltare a destra, per avviarmi spedito come un missile al solito posto, dove non mi conosce nessuno, così posso sbronzarmi in santa pace. Per curare le mie ferite, perchè le ferite si curano con l'alcol mica con il succo di frutta. Giungo dunque al bar, che altro non è che una modestissima scatola di vetro e cemento, un covo di lavoratori sottopagati ed amanti in nero, colmo di giurassici beoni e gioventù ustionata da utopie ed alcol, droga e promesse. Ma ci sono tanti di quegli sciroccati al bar oggi che mi vien da sospettare abbiano lasciato aperti i cancelli dei manicomi di proposito ultimamente. Quando mi siedo non occorre dica nulla alla cameriera. (…)


Alessandro Salvi (Pola, 1976) vive da sempre a Rovigno. Esordisce nel 2008 con la pubblicazione della raccolta Piovono formiche carnivore e altre inezie (Aletti); seguito nel 2011 da Eserciziario di metafisica per principianti, silloge inclusa nel volume collettivo Creare mondi (a cura di Alessandro Ramberti) per conto della casa editrice riminese Fara. Altre poesie insieme a testi vari (recensioni, traduzioni, prefazioni) sono apparsi sia su carta sia in rete: «Sovremenost» (2, maggio 2009), «La Battana», «Panorama», «La Voce del popolo», «TELLUSfolio», farapoesia, Neobar e altrove. È stato segnalato da Maurizio Cucchi su «Specchio« e “Tuttolibri” («La Stampa»). Alcuni suoi componimenti sono stati inclusi nelle antologie: La ricognizione del dolore (2007), a cura di Pietro Pancamo e Il segreto delle fragole 2010 (2009), a cura di Elio Pecora e Luca Baldoni. Risale al 2011 è la plaquette, pubblicata con la En Avant! Produzioni di Pistoia, I fori nel mare. Nello stesso anno viene pubblicata, per la Apeiron di Rovigno, la seconda edizione di Piovono formiche carnivore e altre inezie con la traduzione in croato delle poesie a fronte. È appena uscito per L'arcolaio Santuario del transitorio.


Giudizio 

«Il nulla. le parole di questo racconto riescono a raccontare il nulla riempiendolo di senso. Crudo e duro, a tratti, porta il lettore su quel tavolino a masticare il nulla che preme ed esplode a ogni riga. Un nulla fastidioso, quasi, che diventa pienezza di non senso e di riconoscimento di fatica. La fatica del contare le zanzare sul soffitto.» (Alessandra Pederzoli)

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