lunedì 13 ottobre 2025

L’Agenda del cuore

Gent.mi,

come ogni anno torniamo da voi con l’appuntamento del cuore, chiedendo di rinnovare l’adesione alla nostra iniziativa attraverso la pubblicazione gratuita della locandina dell’Agenda del Cuore 2026 sulle vostre testate, nel formato che vorrete richiederci, cartaceo e/o digitale, di cui alleghiamo una bozza. Sarà nostra cura provvedere a inviarvi, qualora fosse necessario, il formato che vorrete richiederci considerando un anticipo di 24h.
 
Questa 30esima edizione dell’Agenda di ALT sarà la compagna di un nuovo anno all’insegna della salute, con approfondimenti, curiosità e consigli per il cuore, il cervello, le vene e le arterie.
Dal formato settimanale, aiuterà mensilmente a riconoscere sintomi e ridurre i fattori di rischio della Trombosi, meglio conosciuta con il nome di: Infarto, Ictus, Embolia polmonare, Trombosi delle vene e delle arterie.
Un’amica al nostro fianco pronta a valutare il nostro stile di vita e ad invitarci a intraprendere scelte sane e intelligenti.
 
I fondi raccolti aiuteranno ALT a sostenere progetti di Ricerca multidisciplinare nel campo della Trombosi.
La campagna partirà dal 1° novembre 2025 e durerà fino al 28 febbraio 2026.
In attesa di riscontro, grazie di cuore fin da ora per l’attenzione e lo spazio che dedicherete ad ALT per il bene di molti.
 
Cordiali saluti.

 




Richiedi la tua copia dell’Agenda del Cuore 2026 per te e per le persone che ti stanno a cuore

Ordinala ora e Sostieni la Ricerca sulla Trombosi





Associazione per la Lotta alla Trombosi e alle malattie cardiovascolari – Ente Filantropico

Via Lanzone, 27 - 20123 Milano Tel. +39 02 58 32 50 28

Uffici aperti dal lunedì al giovedì, dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 18.00.

www.trombosi.org


 In ottemperanza agli art. 13 e 14 del Regolamento Europeo n. 679/2016, Le ricordiamo che i Suoi dati anagrafici sono registrati all’interno dei nostri database a seguito di un Suo esplicito consenso. La nostra Informativa Privacy, insieme all’elenco aggiornato dei responsabili e ai diritti di accesso dell’interessato, è pubblicata sul nostro sito www.trombosi.org  nella sezione “Privacy”.


giovedì 9 ottobre 2025

La porta socchiusa

Il potere della porta socchiusa


di Sandro Serreri



Sempre e comunque, è bene lasciare la porta socchiusa. Né aperta, né chiusa. Socchiusa, per comunicare un solo messaggio: Se vuoi, vieni! Nessuna chiave occorre, e non serve bussare. Se… basta solo un lieve movimento e la porta si apre e si può entrare varcando la soglia. Una porta chiusa e chiusa a chiave respinge, non offre speranza, lascia fuori. 

Una porta socchiusa induce al pur poco coraggio a spingerla, al dubbio di aprirla, alla disperazione di trovare luce e calore. Sono le troppe porte chiuse a doppia mandata a rendere gli uomini diffidenti e lontani. Sono le porte socchiuse a far si che gli uomini trovino pace.

Una porta socchiusa può mutare un cuore notturno in un volto sorridente, una paura in un rifugio accogliente e sicuro. Quando si è corso è bussato e ribussato a quella porta e a quell’altra porta e nessuno ha aperto, una porta socchiusa ridona fiducia nel valore della fraternità che sa aprire e ospitare con generosità. Una porta socchiusa è uno spiraglio, una fenditura, un taglio di luce, un segno che dice: VIENI! Quando la notte devasta tutti gli umani sentimenti e la morte stritola il cuore, una porta socchiusa può diventare una rinascita, una risurrezione. A ogni uomo è data la possibilità di avere porte chiuse o porte socchiuse. La scelta può cambiare il corso di una intera vita. 

MODE DEI TEMPI ANDATI: LE SARTORIE DELLA NONNA STELLA

di Vincenzo Capodiferro


Vogliamo ricordare la nonna Stella, detta di “Cicerino”. Era una bella donna e tutti la chiamavano per le cerimonie, soprattutto i matrimoni. Il matrimonio era anche l’occasione per lo sfoggio dei migliori abiti. Parliamo di un paesello appollaiato sugli Appennini, versante lucano: Castelsaraceno.  

Castelsaraceno è un paesello allegro, come un bambino cullato da due monti della Lucania: l’Alpi ed il Raparo. È come una pietra preziosa incastonata nella corona delle cime dell’Appennino. Il primo ad occidente e il secondo a settentrione proteggono il paese in modo che l’orizzonte si allarga solo ad oriente, verso un’amena vallata. Tanto è vero che l’erudito di Latronico Gaetano Arcieri, nel descrivere il borgo usava questi termini: «Di angusto orizzonte, di orrendevole aspetto». Diceva un proverbio antico: «Nu pinnineddu e nu pitticeddu, tirituppiti inta Casteddu» (Una salitella e una discesa ed eccoti a Castello!).

Allora i vestiti venivano preparati tutti a mano, non c’erano negozi di abbigliamento. I genitori si mettevano d’accordo: la donna portava la dote e soprattutto il corredo. Il corredo era tutto il patrimonio, fatto di lenzuola, coperte, cuscini, preparato dalle brave donne del paese. Tutte le ragazze sapevano cucire e ricamare, oltre a fare tutto. Nella tradizione era famoso il puntino ad ago di Latronico. Poi il pranzo nuziale era organizzato dai parenti: ammazzavano le pecore, cucinavano e fittavano una sala, o mangiavano nelle case dei palazzi nobiliari. C’era una storia antica che raccontava dello ius primae noctis. Castello si vide conteso e oltraggiato da tre padroni, i quali per diritto tutti ne pretendevano la giurisdizione e soprattutto vessavano il popolo di tasse. Sia il duca Ugone che l’abate Antonio Sanseverino, nonché il Principe di Stigliano, che avanzava pretese nel feudo, imposero un potere intollerabile. Il Principe di Stigliano, con la forza, pretendeva in eguale misura «tutto quanto sopra ed, oltre a ciò, estese i diritti feudali a cose di onore di estrema delicatezza». In pratica esercitava lo ius primae noctis. Probabilmente furono questi soprusi che sollecitarono molti cittadini ad allontanarsi da Castelsaraceno e trasferirsi alle falde del Pollino, dando origine al paese di San Severino Lucano. La leggenda vuole che un marito travestito da moglie picchiasse il signore feudale.

Padre Giuseppe da Campora, cappuccino, si lamentava di questa situazione, traducendo un distico latino, nostalgico del governo dei monaci di Sant’Angelo al Raparo: 


Quanti padroni mi diè barbara sorte, tutti mi diede ad oltraggi, ad infamia, a morte; addio prisca moral, bei giorni aviti quando mi ebbi a signori i cenobiti. 


Stella di Cicerino aveva sposato un allevatore abbiente, Giovanni di Cacoscia. I padrini e le madrine dei matrimoni godevano di uno status sociale importante: il compare di san Giovanni, o la comare di san Giovanni, venivano chiamati. Come vediamo in queste foto la nonna Stella era ambita in più matrimoni e di solito compare a latere agli sposi o appena dietro: 


  


Questa foto risale al matrimonio di Comare Maria di “Repole”. Anche in questa altra: 


al matrimonio di compare Cesare. E poi mangiavano e bevevano nelle case. 



I soprannomi erano tutto: si riconoscevano le persone solo da quelli. Parliamo di moda: pur in un paesello abitato soprattutto da contadini e pastori, però c’era tutto un fermento intorno alla lavorazione dei tessuti. La lana era tutto, perché c’erano tanti allevatori. C’erano i cardatori, coloro che lavoravano questo prezioso tessuto, facevano materassi, cuscini. Le donne, le anziane soprattutto, con i ferri facevano calze, maglie, mutande, mutandoni, sottane. Tra le penelopi, tessitrici che avevano il telaio, c’erano Elena di Falamita, Sabella di Sabelluccia, Angiolina di Ciruzzo, Egidia di Milano, Carmela la Bisiera. Oltre alla lana si usava molto il cotone, importato, tessuto dei poveri. Poi il terital, che veniva chiamato “tiritallo”. Tessuto più pregiato era il castorino, il velluto, usato dai nobili, il lino ed anche la seta. C’erano degli allevamenti serici, come è attestato dalla tradizione e della coltivazione dei gelsi. Comare Gelsomina allevava i bachi da seta. Producevano una seta grezza che poi rivendevano, ma riuscivano anche a realizzare capi delicati. Abbiamo una serie di pregiate casule nel museo della Chiesa, fatte dalle operose mani delle nonne sarte. Poi c’erano dei telati, con cui lavoravano sia il cotone che la lana, la canapa e soprattutto un tessuto resistentissimo che veniva tratto dalla ginestra. La procedura per ricavare il filo di ginestra era lunghissima. Si mettevano a macerare per tanti giorni e poi si sfilacciavano. Con la ginestra si producevano sia capi grossolani, come sacchi, stoffe per materassi, ma anche lenzuola che sfidano i secoli. I materassi dei più poveri erano riempiti con foglie secche di mais, o altro. Ancora abbiamo delle lenzuola di ginestra con le iniziali di nonna Stella Candia - SC. I materassi dei più ricchi erano di lana e tessuti doc come il Sassonia. I cardatori delle lane emigravano e portavano quest’arte fin oltreoceano, in Argentina, ad esempio, la seconda Italia. La canapa era coltivata fin dai tempi antichi, ma dagli anni Settanta in poi, ne venivano usata le foglie per scopi diversi e quindi molte piantagioni furono estirpate. Anche per le calzature facevano tutto i calzolai che ce n’erano tanti. I più poveri andavano a piedi o usavano degli zoccoli con pianta di legname e un pezzo di cuoio. Possedevano solo un paio di scarpe più decenti che indossavano per le occasioni. La nonna ci raccontava che gli stessi vestiti se li passavano tra fratelli o tra parenti e duravano anni e anni. C’erano nel paese tanti laboratori sartoriali, trai più noti c’era la sartoria Lampo, che si trovava in Via Leopardi, in cui lavoravano Ferrante, Minuccio di Calabria, mio zio, Antonio e Felice di Tredici. Poi c’era un’altra sartoria di Attilio in piazza Sant’Antonio. Trai sarti più precisi c’era Generoso il Collegatore. Le stoffe li portavano i moliternesi. Moliterno era un paese di abili mercanti: andavano dappertutto. 

Trai negozi del paese c’era quello di Luigi Natale: 



Poi con il boom economico degli anni Cinquanta cominciarono a sorgere i negozi di abbigliamento. Abbiamo una testimonianza della sorella della nonna Stella, Angelina, che era emig
rata a Milano insieme a zio Minuccio di Calabria, che era diplomato da sarto e poi lavorava presso la Garzanti. Mio zio mi voleva tanto bene e da bambino mi ha inondato di libri. Debbo a lui tanto amore per la cultura e per la letteratura e lo ricordo sempre con affetto. Ad un Natale, la sorella della nonna invia un completino da Milano, affinché lo indossasse, come è riportato in questo stralcio di lettera: 



E così arriva il tempo delle mamme e della generazione nostra, degli anni Settanta. Allora la moda aveva fatto pass
i da gigante. Ma ricordiamo sempre con affetto la moda dei nonni. Le nonne erano avvolte da sottane e recavano lunghi scialli neri, che li portavano a vita, soprattutto dopo i lutti. 

Qui abbiamo degli esempi, anche con un costume di Pisticci: 



Nelle case non c’erano i bagni e ci lavavano così: 



Ma era bello. C’era tanta allegria, anche se non c’era niente. E noi piccolini eravamo felici con niente! 


  

martedì 7 ottobre 2025

Raccontare la scienza

pillola di Enrica Musio 


Nel libro scritto da Nino Di Paolo La stoffa dell’universo edito da Fara, troviamo una narrazione in cui si parla di scienza, di teorie scientifiche, di evoluzione, di genetica, di intelligenza artificiale.

Un libro complesso e  molto interessante per chi ha curiosità scientifiche.

lunedì 6 ottobre 2025

Con gli occhi di un bambino. Malattia e cura, cura e malattia.

di Nino Di Paolo (intervento alla kermesse di Fonte Avellana a tema Cura)



Cura di una nuova malattia, quelle malattie che ciclicamente si presentano nella storia di ogni specie, di quelle animali soprattutto, di quelle di specie “giovani” ancor di più, giovani come la nostra.
E la storia della nostra ha vissuto due ere: prima e dopo la visibilità della causa, cioè prima e dopo l’invenzione e l’utilizzo del microscopio.
E, di seguito, la storia di altre due ere: il prima e il dopo l’intuizione, la sperimentazione e l’utilizzo dei vaccini.
E poi ancora di altre due: prima e dopo la cura contro i batteri patogeni attraverso i farmaci antibiotici.
Le “nuove ere” datano un tempo infimo rispetto al manifestarsi della vita sulla Terra ma anche alla comparsa della nostra specie, con l’ultima, l’era “antibiotica”, addirittura da meno di ottant’anni.
Le scoperte che hanno aperto le nuove ere hanno anche aperto gli occhi a tutti verso la necessità della cura dell’igiene personale e ambientale, tutti fattori che hanno poi contribuito all’esplosione demografica dei sapiens propria degli ultimi settant’anni.
Un divenire, però, sotto gli occhi, tutt’altro che aperti ma, piuttosto, sempre e comunque accuratamente bendati, del caso.

Giancarlo andava a dir Messa
all’Ospizio di via dei Cinquecento
focolaio del primo sfalcio
e, sotto un casco che tentava l’impossibile,
ci lasciò
il primo giorno di primavera.

Tina ed Umberto
il loro tempo
dopo il confinamento
erano tornati ad occuparlo
nell’amore verso i nipoti
avanti e indietro da scuola.
Una settimana prima di ricevere il vaccino
passò, per loro, il secondo sfalcio
e se ne andarono
a tre giorni l’una dall’altro.

**** 

aveva iniziato
a pubblicare libri a sessant’anni
dopo una vita di lavoro, da emigrante,
per raccontarla, quella vita.
Il terzo sfalcio lo trovò nel campo
di chi il vaccino aveva evitato.

Le mie patologie
sono una lista della spesa.
Quelle giuste per lo sfalcio.
Ma il tagliaerba non rasò
quella fascia di prato.
Scegli se sentirti fortunato, saggio, furbo o in colpa.
Scegli pure che risposta pescare.
Il caso andrà avanti a far del suo.


Questa è la premessa, il campo dentro cui si gioca.
Poi ci sono i giocatori, noi.
Con le certezze e le angosce, le fatiche e i sollievi, e il vissuto, soprattutto.
Si può giocare a questo gioco con sano spirito di conoscenza, con pregiudizio, con empatia, con coraggio o con paura, per interesse o perfino con violenza.
Tutti questi aspetti possiamo ritrovarli manifesti nella più recente pandemia della storia umana, dove abbiamo visto enormi sviluppi della ricerca così come rifiuti aprioristici verso gli aiuti che la ricerca stessa ci ha fornito, grande aiuto sia professionale che volontaristico verso le persone colpite ma anche decisioni dettate da utilità economiche o elettoralistiche, come quelle del non “chiudere” in val Seriana, idranti da una parte ma anche minacce e parole d’odio verso i sanitari dall’altra.
Infine, sostanziale amnistia verso gli atti (e le omissioni) delle Regioni ma Commissioni parlamentari d’inchiesta verso il Governo in carica nel momento delle scelte più difficili.
Segnalo, a questo proposito, uno dei pochi libri-indagine prodotti, e uscito già nell’autunno 2020, riguardo a quanto avvenuto nella Regione Lombardia, epicentro del sisma insieme a Wuhan, New York, Londra e Madrid, e prima di New York, Londra e Madrid: “Senza Respiro – Un’inchiesta indipendente sulla pandemia Coronavirus in Lombardia, Italia, Europa. Come ripensare a un modello di sanità pubblica” di Vittorio Agnoletto, con prefazione di Luiz Inàcio Lula da Silva, attuale Presidente del Brasile che si trovava, al momento dell’uscita del libro, in libertà provvisoria per accuse che verranno poi ritenute false nell’ultimo grado di giudizio.
Il lavoro di Agnoletto parte dalle testimonianze, da parte di persone comuni e di operatori sanitari, di cosa è accaduto e di come si è o non si è affrontata la tempesta Coronavirus in Lombardia che, al 31 agosto 2020, contava il dato di 167 decessi ogni 100.000 abitanti, il più alto del mondo.
Se si disponesse del dato relativo alla sola Provincia di Bergamo il rapporto morti/abitanti sarebbe ancor più elevato.
Si trova poi la descrizione dettagliata degli atti e delle omissioni da parte di Governo Centrale e Amministrazione Regionale, dalla non chiusura dell’Ospedale di Alzano Lombardo alla non istituzione della zona rossa in val Seriana anche in seguito alle pressioni che provennero, in tal senso, dal padronato delle Aziende del settore produttivo della zona, fino alla madre di tutte le stragi: la delibera regionale n.9 dell’8 marzo 2020, che predisponeva e incoraggiava il trasferimento dei pazienti post acuti dagli Ospedali alle RSA, per ridurre la pressione sugli Ospedali stessi (“un cerino in un pagliaio” la definisce Agnoletto riportando l’espressione usata da Luca Degani dell’Unione Nazionale Istituzioni e Iniziative di Assistenza Sociale).
È dal tempo della peste di Atene (430 a.C.) che, nonostante per secoli non fosse conosciuto l’agente causale del morbo, la prima precauzione per evitare contagi sia sempre stata quella di tenere le persone ammalate ben distanziate dalle altre.
Giovanni Boccaccio ambienta il primo capolavoro in prosa della lingua italiana in un luogo isolato dove alcuni giovinetti non ammalati di peste (quella del 1348 d.c.) si ritirano, abbandonando la città, per non esserne contagiati.
Tornando ai giorni della nostra pandemia, il 22 aprile 2020 il Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, in relazione alla gestione dell’emergenza, dichiara al Corriere: “Rifarei tutto”.
La maggioranza degli elettori lombardi concordano con Fontana rieleggendolo, nel febbraio 2023, con il 54% dei voti validi.
Tutto sepolto. Tutti sepolti.
Il lavoro di ricerca di Agnoletto prosegue nel confronto tra l’approccio alla tempesta che tenne la Regione Lombardia con quello delle altre Regioni italiane e di altri Paesi Europei ed Extraeuropei.
La parte conclusiva focalizza l’attenzione alla deriva che una gestione esclusivamente economicistica della sanità sta portando e, nonostante tale deriva paia inarrestabile, cosa che ognuno può direttamente percepire, non manca di proporre soluzioni per invertire la rotta sottraendo la sanità, sia culturalmente che giuridicamente, dalla realtà di merce nella quale si sta ordinariamente inscrivendo per tornare a quella di diritto universale che, nonostante sia sancito dal testo costituzionale, è nei fatti in buona parte già svanito.
In conclusione di questa breve riflessione che ho proposto vorrei però soprattutto mettere l’accento sulla cura dal punto di vista del “curato” e di un particolare tipo di “curato”, quello del noi-bambino, ammalato o, comunque, in relazione con il nostro corpo, con la nostra salute.
Con gli occhi di un bambino, quindi.
Anche qui, almeno in Occidente e sicuramente in Italia, possiamo individuare due ere: prima e dopo il Sessantotto (e quello che la cultura ribelle del Sessantotto ha prodotto nel campo dei diritti individuali della persona).

Mente locale
sui miei quattro anni
sono due stanze e la stufa
che una ne scaldava,
l’altra aveva fiori
di ghiaccio di qua del vetro.
E’ una fila di bambini
seduti sugli sgabellini davanti a un lungo lavandino,
acqua dai rubinetti e sangue vivo negli scarichi,
quello delle nostre tonsille recise.


****

La porta a vetro si chiudeva alle cinque
quando arrivavano le mamme
a trovare i bambini incarcerati
nell’Ospedale delle Malattie Infettive,
a Dergano, addosso alla Bovisa.
Imponeva ancora l’isolamento
la scarlattina
nella primavera del sessantasette.
Di ventuno giorni.
Ventitrè ore senza mamma e papà
e un’ora appiccicati
al vetro di quella porta
per provare a toccarli
per scambiarsi una carezza impossibile.
Unica consolazione una radiolina a transistor
per ascoltare “tutto il calcio” la domenica pomeriggio
e la rubrica jazz di Adriano Mazzoletti la sera,
la mia ninna nanna.


****

Il digiuno diurno
a undici anni
senza averne ancora il dovere
per sentirsi grande
poi correre a bere dal rubinetto
non appena il telefonino
fa partire la litania
della preghiera della sera.

Quando le flebo
non erano ancora in uso
e il mio risveglio dall’anestesia
avvenne in una notte di assonnati infermieri
il bambino si alzò
arso dalla sete
curvo sul dolore della ferita
e guadagnò anche lui
un agognato rubinetto.


****

Colonie estive
per i figli dei dipendenti
erano anticipo di naja per i bambini
e anche per le bambine
che non avrebbero imbracciato fucili.
La grande Ditta tedesca
di armi ed elettrodomestici
le organizzava
tra il Cusio e il Verbano.
Quando le apparvero le pustole
lo disse a sua sorella
ma lei se lo lasciò sfuggire
e Giovanna, con la sua varicella,
finì rinchiusa sulla torre.
Mandava cartoline ai genitori
obbligata
a scrivere “qui tutto bene”,
lassù, dalla cella.
Raperonzolo non era solo
fiaba di un oscuro medioevo,
era ancora realtà
alla fine degli anni ’60.
Dovette arrivare il sessantotto
per spazzar via quell’oscurità.
Siamo sulla strada che la ripristinerà.

I miei ventuno giorni
nel carcere di Dergano
non erano solo
distacco corporale dai genitori
erano due penicilline al giorno
attese come la goccia dalla stalattite
erano infermiere senza dolcezza
pastasciutte con rancido ragù
un ragazzo che lo mostrava gonfiarsi
lasciandoci spaventati.
E anche lì, ma dopo, arrivò il sessantotto.


La cultura ribelle del Sessantotto con le battaglie civili e sindacali che ne seguirono figliarono, in Italia, riconoscimento di diritti nei luoghi di lavoro (Statuto dei Lavoratori nel maggio 1970), del diritto a non rimanere sposati con chi non ci si vuole più rimanere (Legge sul divorzio del dicembre 1970), dei diritti delle donne (Diritto di famiglia del maggio 1975), la riforma carceraria (luglio 1975), la chiusura dei manicomi-carcere (maggio 1978), il diritto universale alla salute e alla cura (sempre 1978, in dicembre), la riforma del processo penale (ottobre 1989).
Per una legge contro la tortura si è dovuto purtroppo attendere il 2017.
Molte di queste conquiste sono state e sono continuamente messe in discussione dal pensiero e dalle forze reazionarie, a seguito dell’egemonia culturale che tali forze detengono, in Italia, fin dagli anni ’80, in seguito alla sconfitta operaia alla Fiat dell’autunno 1980.
Noi, in quella stagione bambini, adolescenti e poi giovani, in quella cultura continuiamo a specchiarci, anche per le scelte del nostro presente.
In alcuni versi abusivamente estrapolati da una poesia di Giuseppe Carlo Airaghi tratta dalla raccolta Ora che tutto mi appare più chiaro ritrovo il senso di questo guardare ogni momento del presente.

“A quel bambino (che sono stato) mi rivolgo…
… A lui mi confesso quando scrivo
al bimbo innocente che sono stato.
Lui il mio giudice,
il mio interlocutore.
Il mio accusatore.”


Il tutto, sempre e quindi, con gli occhi di un bambino, la nostra coscienza.
Come ci ricordava Giovanni, fanciullino di San Mauro.


Nota: i brani poetici inseriti in questo testo sono presenti nella raccolta Specchi asimmetrici, pubblicata nell’agosto 2024 da ChiareVoci Edizioni.

venerdì 12 settembre 2025

W chi ascolta! Voci Vincenti a Santarcangelo 17 ottobre 2025



W chi ascolta!
Voci Vincenti


Santarcangelo venerdì 17 ottobre 2025
polifonia fariana dalle 15:00 alle 19:00

stacchi musicali di Fabio Cecchi












15:00 saluti della responsabile Simona Lombardini e di Alessandro Ramberti

15:15 Arianna Biscotto vincitrice al Narrapoetando con Appartengo a te 

15:30 Stefano Calemme I al Faraexcelsior con Atlante delle ferite

15:45 Leonardo Colletta vincitore al Faraexcelsior con La poesia non serve a nulla

16:00 Marco Bottoni/Roby Cottoman vincitore al Narrapoetando con Diario e Noir

16:15 Alessia Boldrini I al Narrapoetando con Piccolo bestiario

16:30 William Protti vincitore al Narrapoetando con Tre racconti inquieti

16:45 anna delle crete (Anna Maria Tamburini) con non arresi

17:00 Matteo Pasqualone vincitore al Faraexcelsor con La voce del sangue

17:15 Cristiana Veneri votata al Narrapoetando con Uomo di Mondo

17:30 Gianni Marcantoni votato al Faraexcelsior con Cuoia


17:45 Interventi flash di max 3 minuti: Giuseppe Vanni, Natascia Ancarani, Alessio Zaffini, Ezio Settembri, Stefano Bianchi, Giorgio Iacomucci, Filippo Amadei, Fabio Cecchi, Franca Fabbri, Ardea Montebelli, David Aguzzi… e gran dibattito finale 


Ingresso libero fino a esaurimento dei posti

info: 0541 356299 
baldinisantarcangelo.it

biblioteca@comune.santarcangelo.rn.it

info@faraeditore.it - faraeditore.it

lunedì 1 settembre 2025

Storie ordinarie di emigrati qualsiasi

di Vincenzo Capodiferro


Questo racconto porta alla ribalta il tema della storica emigrazione che spesso si risolveva in gialli, più o meno irrisolti.


Dal Discorso del 21 dicembre del 1906, del parlamentare Napoleone Colajanni: «Vengo alle raccomandazioni e poi alle interrogazioni. La prima raccomandazione che rivolgo all’onorevole Ministro è che si voglia intendere col Ministro dell’Interno, affinché venga esercitata una più rigorosa sorveglianza, una sorveglianza rigorosissima nelle stazioni di confine, specialmente nelle stazioni di Como, di Domodossola e di Porto Ceresio, donde parte una emigrazione clandestina che appartiene a quella categoria di persone che dagli Stati Uniti vengono respinte. Questi disgraziati, dopo che hanno venduto la casetta e il campicello, dopo che si sono rovinati, ritornano in Italia in una condizione veramente squallida…». I tempi non sono cambiati. L’emigrazione si è convertita in immigrazione. E questa piaga comporta, come sottolineava sempre il deputato, sempre lo stesso dramma: «Io non mi preoccuperei soverchiamente se partissero contemporaneamente, vecchi, donne e fanciulli, ma viceversa avviene che se ne va il fior fiore della popolazione e rimangono i vecchi, i degenerati ed i fanciulli». Prima da quelle stazioni passavano gli ebrei, per salvarsi dalle persecuzioni antirazziali. Poi… 

C’è sempre qualcuno che passa all’altro lato. Il 6 aprile del 1910, viene ritrovato un cadavere in inspiegabili condizioni. Siamo a Porto Ceresio, incantevole borgo varesino, che degrada dolcemente sul lago Ceresio. Il lago, specchio della natura, assume varie sfumature di colori che vanno dal topazio allo zaffiro, dallo smeraldo all’agata, a seconda dell’ambiente circostante. 


Occhio del cielo ti vedo,

or gaio al serenato cielo,

or triste al nubiloso velo

coprente e m’assiedo.


Ora calmo, ora ti inquieti.

Ma mai empietà ti coglie, 

onda solitaria par che mieti

un campo di grano a foglie.


Oscar si dilettava a poetare, ma quella volta l’onda era bagnata di sangue. Il sangue colava dalla ferita della vittima: un giovane, nudo, legato di dietro alle mani. La scena era raccapricciante, richiamava la biblica prima piaga d’Egitto: «Il Signore disse a Mosè: “Comanda ad Aronne: Prendi il tuo bastone e stendi la mano sulle acque degli Egiziani, sui loro fiumi, canali, stagni, e su tutte le loro raccolte di acqua; diventino sangue, e ci sia sangue in tutto il paese d'Egitto, perfino nei recipienti di legno e di pietra!”». 


Ingravidi di fresco olore 

le nari. Ora le grinzose 

mani acciuffano di colore

le labili piatte sassose 


e le tirano a danzare

sui tuoi fluenti crini,

o Ceresio. 


Si tuffano

tra le bagnate come 

tue e si ingarbugliano.

E pian piano scendono 

le petrose ballerine, 

continuando

a volteggiare 

nell’acqua molle

fino al fondo,

mentre lo sciacquio ti dice

spumee parole.


Oscar Golia, commissario di polizia, chiamato da Milano - Questura. Sede di San Fedele - passava ore ed ore a contemplare quello specchio d’acqua a cercare risposte, tra una nuvoletta e l’altra di fumo del suo toscanello, sbruffata in alto, seguendo poi con l’occhio tutte le vane conformazioni che assumeva l’evaporazione. Andava sempre con l’impermeabile bruno e la coppola di velluto Troncarelli. Si vestiva in maniera bizzarra, coi calzoni alla bavarese, i tiranti e il gilet marrone. Era stato chiamato a risolvere un caso intricato. Era uno di quei casi di emigrati, uno dei tanti, che volevano subito cassare per anonimato, come avevano fatto sempre, ma quella volta non potevano farlo, perché i giornali ne parlavano e l’opinione pubblica rimbrottava, altrimenti sarebbe passato inosservato. Oscar era molto giovane - 25 anni - inesperto, ma intelligente. Aveva frequentato la Scuola Militare Teulié. La sua famiglia era di origini avellinesi. Erano emigrati a Milano sulla scia della seconda rivoluzione industriale, periodo di rinnovamento economico e sociale. L’Italia dopo la crisi di fine secolo si slancia in un solido sviluppo economico. Si rafforza la struttura industriale, soprattutto al Nord, con l’incremento dei settori metallurgico e tessile. L’industria cotoniera prevale su quella tradizionale della seta. La seta non rendeva più era troppo costosa e ci rimangono solo i gelsi, senza bachi! Si sviluppa il settore elettrico. Come emblema di questo sviluppo industriale italiano ci basti ricordare il binomio Agnelli-Pirelli (1872-1899). Con la grande depressione economica del 1873-1896, che anticipa quella 1929, di fronte al dilagare della questione sociale, tutta l’Europa ed il blocco di potere, costituito dalle forze di governo, gli industriali e gli agrari, assume un atteggiamento autoritario. Crispi, per un decennio, dal 1897, conduce una politica repressiva. Il tramonto della borghesia liberale passa attraverso il colonialismo. E poi lo scontro tra gli imperialismi, accompagnato dalle passioni nazionalistiche, andrà a costituire una buona miscela esplosiva, decisiva allo scoppio del 1915-1918. Infine, giunge il buongoverno di Giolitti che imperterrito domina la scena politica, instaurando una vera e propria dittatura parlamentare, anche se, come scrive Salvatorelli: «Nessuno dei contrassegni di una dittatura si riscontra nella condotta politico-governativa di Giolitti, i cui connotati effettivi sono tutti di segno contrario. A cominciare dal 1892 Giolitti ha sempre governato sulla base di maggioranze nette e spesso strabocchevoli; e ha lasciato il potere prima ancora che le istituzioni parlamentari contrarie in incubazione sbocciassero in un voto esplicito alle Camere. Egli lasciò sempre agli avversari politici la libertà consentita dalle leggi, e forse anche di più, rispettando il giuoco parlamentare, creando e mantenendo l’atmosfera di una libera politica. Infatti, l’opposizione contro di lui non solo in parlamento, ma anche fuori e specialmente nella stampa, fu aspra fino ai limiti, e oltre, della demagogia e dell’isterismo». 

Torniamo al nostro caso: c’era un uomo legato alle mani di dietro, tutto nudo, giovane, le sue budella si trovavano avvolte ad un albero, in una località nascosta, uno dei meandri del lago di Lugano. Una leggenda antica vuole che i pescatori del porto, impauriti da un mostro che dominava il lago e pretendeva ogni anno in sacrificio una fanciulla del posto, si recassero dal gigante Ceraso, che abitava in una grotta ai piedi del Monte San Giorgio. Ceraso sfidò il kraken immane del bacino e lo rinchiuse nelle viscere della terra, donde il mostro, sbraitando, fece sorgere montagne e contorcere le rive del lago. Infatti, nella lingua dei Celti “Ceresio” significa contorto. 

Quell’omicidio ti faceva subito guizzare a un rito macabro. Qualcuno aveva squartato nella parte inferiore dell’addome il giovane, aveva preso un capo dell’intestino e l’aveva legato ad un ramo dell’albero, evidentemente poi la vittima era stata costretta a girare attorno all’albero fino al completo dissanguamento. Mancava la parte dei genitali ed un particolare: nella bocca recava avvolto attorno alla lingua, oramai esangue, un anello d’oro. Questi indizi facevano riflettere il giovane commissario. 

Dopo vari interrogatori, fatti agli immigrati del posto, si risale finalmente all’identità della vittima. Molti della Valceresio si recavano nelle Americhe in cerca di fortuna. La maggior parte erano valenti artigiani, scultori, picasass, come li chiamano da quelle parti, muratori, mastri don Gesualdo. Valceresio significa valle dei ciliegi. Ce n’erano tanti in quei grovigli, orme dell’era glaciale, coi fiori delicati, attenti a captare la vista dei passanti. Nell’apogeo della seconda rivoluzione industriale, migliaia di scalpellini lombardi, di tagliapietre, si erano recati negli Stati Uniti. La malattia del picasass è la silicosi, infermità polmonare provocata dall’ansito di polveri sottili. Di quel morbo era morto l’artista Giuseppe Grandi di Valganna. Eppure, durante l’epidemia della spagnola, che da lì a poco imperverserà in tutta Europa, si salvano molti muratori, perché avevano a che fare con la calce, disinfettante naturale. Per preparare la calce c’era tutta una procedura: si mettevano a cuocere le maestose pietre di calcare nella fornace e poi si sgretolavano come se si pestasse il sale. 

Ta… ta… ta… ta… ta… ta… ta. Risuonava il tacheografo, o cembalo scrivano.

Identità. 

Nome: ALFREDO; cognome: BIANCHI; nato a: Porto Ceresio il 7 novembre 1887, residente… incensurato… nome corrente: Alfred (americanizzato)… 

Annotavano gli scrivani al Municipio, innanzi al commissario Golia. Chi lo riconosce è il fratello Gustavo Bianchi, nato a Porto Ceresio il 7 novembre del 1887. 

Era un fratello gemello che somigliava tantissimo a lui. Erano omozigoti. Nome americanizzato: Gustav…

Viene fermato un mezzo pazzo, che soffriva di alcoolismo cronico, un tal Bossi Igino. Litigava spesso con gli emigranti ed era venuto più volte alle mani con Alfred. L’avevano sentito minacciare il giovane al Molino di Cuasso, dove si ubriacavano:

– Io ti ammazzo! Ti ammazzo!

Oscar interroga a fondo Bossi, ma non trova in lui nessuna macchia. Non c’è il movente. Il movente fa l’omicidio. Questo aveva imparato in tanti anni di formazione. Avevano litigato per un bicchiere di vino. Giocavano a carte. Nel gioco “Padrone e sotto”, che era stato importato dagli immigrati del sud, capitava che chi vinceva era costretto sempre a bere, fino alla rotta di collo, mentre chi perdeva rimaneva senza un goccio. Chi rimaneva senza si diceva che fosse «fatto all’olmo». O «olmo secco,» quando non ne assaggiava neppure un goccio. Il vino fa brutti scherzi: o ti rende più docile, o più aggressivo, dipende dal carattere, oltre ad essere una potente macchina della verità (in vino veritas). Oscar era convinto che Igino non avesse a che fare con l’omicidio, ma lo teneva in cella per precauzione e così con calma poteva muoversi e fare le ricerche necessarie. 

Oscar aveva intuito benissimo che si trattasse di un omicidio a sfondo sessuale. Diversi elementi riconducevano a questa supposizione: il fallo estirpato e scomparso, l’anello d’oro attaccato alla lingua. Già nella sua testa cominciava a costruire varie ipotesi. Sicuramente una fidanzata, o un’amante era coinvolta. Dopo tante indagini riesce a scoprire la morosa. Si chiamava Gigliola Moiraghi: una giovane avvenente, bruna, formosa, sulla ventina. Oscar comincia a mettersi alle calcagna di questa ragazza. Faceva un po’ come avrebbe in altri tempi fatto il tenente Colombo, della celebre serie televisiva: usciva ed entrava, usciva poi tornava. Tanto che quelli del posto, soprattutto gli immigrati del sud lo chiameranno «ienz e tras»! cioè, “esci ed entra”. Era il nome che davano ai magazzinieri che entravano ed uscivano dai fondachi per caricare e scaricare la roba. 

Oscar scopre che Gigliola di nascosto si vede con Gustav, fratello gemello di Alfred. Poi conosce un amico intimo di Alfred, che si chiamava Gabriele Coscia, detto Gabriel. Chi andava in America e poi tornava, accorciava il nome, vuoi per moda, vuoi, per adattarsi a quei paesi. Indi scopre che quel tipo di omicidio, in cui la vittima sventrata con le budella appese ad un albero era costretta a girare attorno al tronco fino al completo dissanguamento - una morte atroce - era un preciso rituale riservato ai briganti traditori, o ai manutengoli che avevano parlato, un rituale che proveniva dalle aree del brigantaggio del sud d’Italia. La famiglia di Gigliola proveniva dal sud, da Tortora, in Calabria. 

Si trattava di un delitto di gelosia, ma da sola Gigliola non poteva aver commesso un tale atroce ed efferato crimine. Qualcuno l’aveva aiutata. Chi poteva essere? La madre, il padre, qualche amico? 

Gabriel ce l’aveva contro Gustav:

– Maledetto! L’ha ucciso lui, ne sono convinto, per gelosia. Ha sempre odiato suo fratello. Quando è partito per l’America ha cominciato a fare la corte a Gigliola. Data la sua somiglianza col suo amato Alfred. E poi Alfred… Alfred… Glielo avevo detto di stare attento! Si è andato a mettere con un’americana… Gigliola se l’è presa tantissimo!

Oscar ascolta accendendo il suo toscanello e sospirando in silenzio e intanto aveva acceso un’altra lampadina, quella dell’ingegno, che il buon Dio aveva donato a chiunque, ma che non tutti sapevano usare. Bisognava trovare la sua promessa sposa americana. Facendo ulteriori ricerche scopre tramite gli immigrati italiani che la sua amante è Carol Swetking di origine germanica e residente a Boston. Si mette in collegamento, tramite telegrafo, con la polizia americana e viene rintracciata. Carol aveva sposato effettivamente Alfred già da un anno, il 13 giugno del 1909 e aveva una figliola neonata, figlia naturalmente di Alfred. Quando Carol sa della morte dell’amato scoppia a piangere. Alfred aveva lavorato come scalpellino a Boston. Aveva acquisito così un permesso per stare in America, ma era tornato momentaneamente a casa per andare a trovare la madre che non stava bene. Conservava ancora una lettera in italiano, scritta da Gustav, in cui si invitava il fratello a rientrare, perché la madre era in fin di vita. In effetti la madre Cerasia Gelsomina stava in piena salute, perché avrebbero dovuto chiamare il figlio? La mente di Oscar cominciava a rimuginare. 

Sicuramente Alfred era fidanzato di Gigliola, ma parte per l’America in cerca di fortuna, poi lo raggiunge il fratello Gustav. Vengono respinti, ma Alfred si innamora di Carol, una ragazza americana e la sposa, sperando così di avere la cittadinanza anche e rimanere a Boston. Viene invitato a rientrare, con una finzione della malattia della madre. Arriva a Porto Ceresio, dove la famiglia si è adagiata, nella speranza di passare in Svizzera e poi in Germania, visto che il sogno d’America era svanito. A questo punto Alfred era stato invitato a sposare Gigliola, ma egli non vuole, anche per convenienza, per stare in America, dove c’era lavoro e si prospettava un futuro rigoglioso. D'altronde erano solo fidanzati. E chissà se non le avesse promesso di darle in sposa il fratello Gustav? O per l’intanto Gustav non si fosse innamorato di lei? Allora per gelosia Gigliola comincia a meditare di uccidere l’amato, che non può più avere in quanto ha sposato un’altra e l’ha tradito. Però da sola? No! Qualcuno avrebbe dovuto aiutarla. La logica dei delitti è precisa e perfetta come un orologio svizzero. Tutto si spiega, anche i meandri oscuri dell’inconscio, delle emozioni, hanno una loro logica, sebbene sempre non chiara a noi. I gemelli o si amano o si odiano, ma in effetti, come afferma il filosofo Max Sceler: «Non si può amare senza aver prima odiato!». Gigliola, per disperazione, saputo del matrimonio di Alfred, si era messa con Gustav, il quale, respinto dagli USA, era tornato in Italia. D'altronde si erano conosciuti là, in America e di là erano giunti in Italia, ma non erano tornati al sud, e assieme agli emigrati lombardi erano giunti a Porto Ceresio. Per ironia della sorte Cerasia significa terra dei ciliegi. Il ciliegio torna con la Valceresio. Però con chi erano giunti a Porto Ceresio?

Chi era il padre? Guglielmo Moiraghi, di origine di Porto Ceresio, aveva sposato Cerasia Gelsomina ed era morto sul lavoro. Faceva il picasass. Probabilmente era morto giovane di silicosi, come tanti altri picasass. A quei tempi i matrimoni tra sud e nord erano rari. Moiraghi lavorava per una ditta che aveva cantieri anche al sud, la Bertoni. Aveva conosciuto la bella madre di Gigliola, era venuti al Nord e si erano sistemati a Porto Ceresio già dal 1880, quando erano nati i gemelli.

Fin qui tutto quadrava. Ad aiutare l’omicida era stata sicuramente la madre, o qualche amico. Ma chi? Gabriel? 

– No!

Pensava Oscar. Poi gli viene un lampo di genio. 

– È stato il fratello. Fratricidio!

Come dimostrarlo? Non l’avrebbero mai parlato. Igino era stato incastrato con la storiella dalla lite. Chi l’avrebbe mai creduto? Un ubriacone? Bisognava trovare uno stratagemma per farli cadere. Non era facile. 

Alla fine, il giovane Oscar ha in mente una trovata altrettanto geniale. Chiama l’amico Gabriel e lo manda da Gustav per minacciarlo in segreto. Gabriel va:

– Ehi! Io so che sei stato tu ad uccidere il povero Alfred. Ho una prova inconfutabile che incastra sicuramente quella sgualdrina di Gigliola. Ha lasciato l’anello in bocca. Ma quell’anello reca sicuramente il sigillo di orafo. Io ho l’altro anello, quello di Alfred, che mi aveva donato. Erano due fabbricati in oro puro da mastro Oliviero Bacher di Induno. C’è il suo sigillo! L’avete messo in bocca ad Alfred. E poi dove è finito il suo fallo? Certamente l’avrete nascosto voi da qualche parte! Domattina io vado dal commissario Golia e dico tutto.

– Aspetta!? Ma che dici?

Faceva Gustav sbigottito. Poi preso dall’ira lo minaccia:

– Io ti ammazzo sa! Ti ammazzo!

E gli mette le mani al collo che quasi lo strozza. Gabriel riesce a liberarsi e a fuggire, mentire il provvido commissario osserva da lontano. La trappola funziona. Era tutto inventato. Gustav parla con Gigliola, non sapeva dell’anello.

– Ma come ti è venuto in mente di lasciare un anello d’oro in bocca ad Alfred?

– Scusa, amore mio!

Entra in azione Oscar. Si traveste da Gabriel e va a casa sua. Oscar aveva perso i genitori ed abitava da solo in una casetta in riva al lago. I suoi facevano i barcaioli e vivevano anche di pesca. Di notte, alle ore 2.13, sente scassinare la porta. Come volevasi dimostrare. Era Gustav: 

– Sei venuto per uccidermi?

Oscar punta la rivoltella sul petto di Gustav. E poi lo smaschera. Gustav rivela tutto. Era stato proprio lui! Insieme a Gelsomina. Il caso era risolto. Vengono arrestati Gigliola, la madre e Gustav. Dopo due mesi, viene celebrato un clamoroso processo al tribunale di Como e vengono emanate le sentenze: per Gustav ergastolo, per la madre venti anni di carcere, per Giliola, trent’anni. Gigliola si finge pazza e vien rinchiusa nel manicomio san martino di Como.

Il giovane Oscar aveva risolto l’intricato caso. L’opinione pubblica è messa a tacere. Nessuno oramai più ricorda: tutti questi drammi vanno a finire nella voragine tenebrosa ed infernale dell’inconscio collettivo. 

Oscar torna a Milano. Ma dopo qualche mese vien di nuovo richiamato. Gigliola era stata ritrovata morta, strangolata nella sua stanza del manicomio. Beh! In effetti Carol aveva inviato un sicario o, meglio, uno spietato immigrato, Maniero Giovanni, detto Jann, che era suo amico a regolare i conti. Questa era un’altra storia. Gustav riesce a evadere dal carcere di San Donnino a Como e fugge in America ed indovinate chi va a trovare? Carol. E si sposa con lei. Dopo tante peripezie il commissario Golia li riesce a ritrovare in America. Gustav si era dato per morto. Era riuscito, attraverso la Svizzera, fingendosi macchinista dei treni a giungere in Inghilterra, ad imbarcarsi come clandestino nel famoso Titanic e nell’affondamento, quel fatidico 15 aprile del 1912, era a stento riuscito a salvarsi, ma aveva finto di morire. Aveva cambiato identità, prendendo un documento di un naufrago che era morto e gli rassomigliava. 

Quando Oscar riesce a trovarli, in un viaggio a Boston, sotto mentite spoglie, li smaschera di nuovo, ma li lascia vivere. Fa finta di non aver trovato nessuno. Gustav e Carol, oltre a crescere la figliola di Alfred, Gelsomina junior, come loro figlia, hanno un’altra figlia, che viene chiamata Gigliola, in omaggio all’amante morta. Carol che aveva inviato il sicario per uccidere la rivale in amore non riconosce subito Gustav e crede che sia il fantasma di Alfred. Erano gemelli e si rassomigliavano tanto, anche se Carol aveva conosciuto pure Gustav e paradossalmente si era innamorata di lui, prima di sposarsi con Alfred. Gustav si scopre. Carol lo perdona e lo ama. Così si risolve il caso misterioso del delitto di Porto Ceresio affidato al giovane commissario Golia. 

Ecco un’altra poesia di Oscar, sul lago di Lugano:


Alba


Le ultime stelle si smorzano

nel ciel di smeraldo 

che si frastorna con l’onda

tranquilla.


Si leva un denso vapore

ai primi rai.


Due pescatori annunziano

il nascente dì.