Storia immaginaria di una vendicativa ninfomane vendicata: «Qui gladio ferit gladio perit».
Nella Milano degli Scapigliati, alcuni locali erano gettonati: l’Osteria della Polpetta, il Caffè Manzoni, la Cascina de’ Pomm. E lì vedevi circolare tanti artisti, letterati, intellettuali: Emilio Praga, Arrigo Boito, il fratello Camillo, Igino Ugo Tarchetti, Vittorio Imbriani, Giuseppe Grandi e tanti altri. Ma nessuno sa la vera storia della morte di Tranquillo Cremona, avvenuta il 10 giugno 1878. La causa della morte è saturnismo, perché l’artista usando nella pittura spesso le dita, ha ingerito una quantità di piombo tale da portarlo al decesso. Nello stesso anno, il 18 novembre, muore l’artista Enrico Junck, tra le braccia del fratello, il musicista Benedetto Junck, che si era fatto fare una statuetta di Beethoven fanciullo dallo scultore Giuseppe Grandi, di Ganna. Anche il genio Flaminio Bertoni, che assomigliava tanto a Beethoven, si era dipinto egli stesso quale il glorioso musicista, come se fosse un autoritratto. Per ironia della sorte pare che anche Beethoven, che amava portare i capelli scapigliati, sia morto per ingestione da piombo. Usava, infatti, mescere nel vino un additivo piombato. Suicidio? E chi lo può sapere? Dopo la sordità il genio era caduto in una profonda depressione, per cui si gettava a capo fitto nell’arte.
Che strano! Muoiono a distanza di poco, entrami giovani, entrambi in circostanze sospette. Nessuno oramai sa più la verità, tranne forse il maresciallo Ugone Stracchini, della stazione dei Carabinieri di Milano, nei pressi del Duomo. Aveva avviato un’indagine per capire le reali cause della morte di alcuni artisti che avevano avuto a che fare con la Cascina de’ Pomm, l’albergo ufficiale degli Scapigliati. Circolavano delle voi bieche, infatti: una certa inserviente che si chiamava Aminta Desideria, aveva a che vedere indirettamente con la morte di alcuni artisti Scapigliati. La chiamavano la “mantide”, con allusione evidentemente all’insetto, la “mantide religiosa”, che divora i suoi amanti e li uccide nell’atto d’amore. La mantide era una donna bellissima, avvenente, alta, coi capelli rossi. Non aveva figli per una malformazione all’utero. Non era sposata. Chi portava i capelli rossi era considerato già di per sé maledetto. Il proverbio diceva: «Peli rossi e cani pezzati, vogliono essere uccisi appena nati!». Al di là di questa superstizione, c’erano state delle circostanze strane in alcuni decessi di noti e non noti “circolisti” della Scapigliatura milanese. Ugone, poi, era un simpaticone, benevolo, aiutava tutti e quando poteva fare a meno di effettuare una multa, una condanna, era sempre a disposizione. Perciò lo invitavano tutti a pranzo, o a cena, e spesso usciva ubriaco. Anche egli, qualche sera, si recava ai circoli degli Scapigliati per divertirsi e per controllare, naturalmente, gettando un occhio, come fa un buon padre di famiglia. Poi andava a caccia nel parco delle Groane. Allora si poteva. Una mattina un suo amico, in piazza Duomo, chiamato Zazà, gli diceva: «Chi va a caccia o è ricco o è pazzo». Ed egli con fare da bontempone:
– Adesso te o do io se sono pazzo!
E puntava il fucile verso quel simpaticone.
Ugone voleva vederci chiaro. In effetti la mantide aggiungeva del piombo ai bicchieri di vino degli artisti. Era gelosa del giovane Enrico. Ma perché? Si era accorta che tra Enrico e Tranquillo Cremona c’era più che un rapporto amicale. Non è raro tra artisti che si instauri un erotismo sottile, al limite dell’omosessualità. Ugone era convinto che la mantide aveva fatto fuori Tranquillo e che si apprestava a far fuori anche il giovane Enrico, ma non riusciva mai a coglierla con le mani in fallo. Era troppo astuta! E così doveva assistere impotente ai funerali di questi due giovani, amati artisti, nel giro di pochi mesi, entrambi morti per saturnismo, ma diremmo per gelosia erotica, per sadismo patologico. Non si sa che tipo di rapporto hanno avuto con la mantide, sicuramente sessuale.
La mantide non scherzava, se ti prendeva di mira ti saltava addosso, o tanto si adoperava che ti faceva cadere. E poi gli uomini sono deboli su quel punto, come diceva che il proverbio: «Tira più un pel di figa che una fune attaccata ad un paio di buoi!». A proposito di buoi, un giorno quando Ugone si recava a fare un’indagine in campagna sulla sparizione di un aratro in val Padana, c’era un contadino, di nome Serafino, e Ugone se la prendeva:
– Serafì! Mi devi dare del “Voi”, non del “tu”. Esigo rispetto.
Serafino rispondeva tomo:
– Marescià, se ti do i buoi, io poi come faccio?
– Ah ah ah!
Ugone, con una sonora risata, abbracciava quel povero contadino.
Laddove l’accorto gendarme non arriva a cogliere in fallo la vedova nera, ci riesce il fratello, il musicista Benedetto Junck: doveva in qualche modo vendicare il povero Enrico. E si mette in collutta con la mantide, ma quando gli dava il bicchier di vino, lo rifiutava, sapeva che era avvelenato. Si fingeva astemio ed in tutti i modi evitava i tranelli della donna, perspicace come un serpente. Ed alla fine, per fregarla, le regala una collana di preziosi: era molto bella e valeva molto! Ma la mantide non sapeva che quella collana, che sotto aveva delle sottilissime spire, era stata ben imbevuta di acido fluoridrico. La sera se la mette al collo e la mattina la trovano stecchita, alla Cascina de’ Pomm. Vendetta era stata fatta. Ugone sapeva tutto, ma non si sognava di aprire alcuna indagine ulteriore. Quella donna aveva procurato la morte di due giovani artisti. Perché la mantide ce l’aveva con gli artisti? Beh! In fondo un motivo c’era. Il padre, Desiderio, era un bravo pittore, ma era stato fatto fuori da un grande nobile lombardo, che in qualche modo aveva a che fare con, circolo degli Scapigliati, il conte Carlo Berlangieri, per motivi personali. Allora era previsto anche il duello per motivi d’amore e Carlo, che aveva un’amante in comune, aveva ammazzato il padre. Desideria, allora, aveva appena sei anni! Promette di vendicarsi. Era come Carlo Magno che aveva fatto fuori Desiderio. E la figlia Desideria, come l’Ermengarda manzoniana, si trova:
Sparsa le trecce morbide
sull’affannoso petto,
lenta le palme e rorida
di morte il bieco aspetto,
giace la pia col tremolo
sguardo cercando il ciel.

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