Giambattista Bergamaschi
Tra le righe
Ottobre 2013
Liberamente scaricabile da
issuu.com/grazzaniseonline.eu/docs/tra_le_righe?e=5125163/5177476 (ISSUU, sfogliabile)
Una
sorta di autobiografia fantastica questa seconda silloge narrativa di
Giambattista Bergamaschi, appena edita (in ebook liberamente
scaricabile) da www.grazzaniseonline.eu/spip.php?article612,
eccellente vetrina culturale e letteraria su cui da anni il nostro
autore ama pubblicare alcune tra le proprie cose migliori.
Quaranta
racconti in III persona, indifferentemente brevi o lunghissimi,
intessuti con squisita e sorvegliata perizia linguistica finiscono
per lasciare in bocca, a conclusione di una lettura avvincente, il
nostalgico piacere di un viaggio che avremmo preferito proseguire
(perché quella
dovrebbe
essere la vera
realtà,
nel bene come nel male...), l'indelebile impressione di aver
attraversato, in virtù del prodigio letterario, un completo universo
- vero o presunto tale - di casi umani e situazioni esistenziali,
un'autentico rizoma di visioni o riflessioni sull'infintesimamente
piccolo come sull'immensamente grande, in cui Bergamaschi ama con
naturalezza perdersi, cimentandosi nella sperimentazione delle più
svariate tecniche narrative, tra le quali per nulla trascurabile il
suggerimento in nota di link musicali da aprire ad inizio lettura.
“A
me piace narrare - scrive l'autore stesso nell'Introduzione
al
proprio lavoro -
vuoi
per nostalgia vuoi per immortalare, come in un’istantanea, persino
l’emozione apparentemente più insignificante e tuttavia a mio
giudizio degna d’esser condivisa con altri, ovviamente in una
modalità “efficace” o non banale (si veda, ad esempio, la
tecnica epistolare con cui viene resa, in stile diretto e quotidiano,
l’amichevole Umberto
o
l’approccio ultraminimalista tentato in Arlecchino
e Colombina,
Sul
Tevere,
Dolcetto
spaventato,
Carnevale
remoto,
il tono velatamente scientifico-speculativo de I
piani dell’osservazione ovvero
elegiaco di Ad
maiora e
ancora il godimento di un umorismo tutto vernacolare in Bistrot
bistrot!,
fino alla garbata - ma ahimé fin troppo realistica - “illusione
didattica” di Come
passare dal Giappone al Carducci)”.
In
Ad
maiora,
bruciante “racconto-non racconto”, accade di cogliere - “tra le
righe”, ovviamente - uno dei valori forse più intensi del narrare
stesso:
Questi
temporali inauditi ed eterni, questi fiumi di pioggia a pianger senza
fine, questo rigido, umidissimo inverno di fine maggio, ad un mese
giusto dagli stregati giorni di pieno sole d’aprile, trascorsi in
libertà lungo la costiera…
Gente
senza più un lavoro, giovani senza futuro, nel disfacimento
dell’astrattismo immobilista, nel parolaio, “diplomatico”,
prudente stallo…
Quanta
rabbia spietatamente repressa umilia ogni difesa immunitaria!
E
ci si ammala di tristezza, di rancore, d’odio e disperazione, di
non sapere, di non potere.
Ci
si ammazza.
Meriterebbe
- un tal naufragio - più d'un semplice racconto, e non può passare
così, impunito, sì che una narrazione non ne stagni il ricordo.
Per
poter scordare…
Per
dimenticare, un giorno, tutto il male.
Par
quasi di vederlo, di udire la sua voce, in classe - sguardo distante
da cantastorie
-,
mentre
seduto tra i suoi ragazzi “racconta” la magia della relatività
einsteiniana
come
la disperazione demografica dei nostri giorni, le intimità mai
narrate di vocali e consonanti come le favolose peripezie di Odisseo
per un Mediterraneo senza fine...
Ogni
cosa può assurgere alla dignità di emozionante racconto, persino
l'episodio più “insignificante” di una qualunque nostra
giornata. Basta crederci, immaginare che qualunque esperienza umana,
esistenziale o cognitiva, possa (debba poter) assumere (cfr. Jerome
Bruner, La
cultura dell'educazione,
1997) i connotati di un appassionante brivido narrativo.
Poi,
naturalmente, raccontar bene è anche questione di “manico”...
Il
resto è “spiegato” dall'autore stesso nell'articolata Premessa
al
bel volumetto, anche stavolta in più di un luogo cedendo alla
tentazione di “raccontare” ciò di norma viene “trattato”:
Confiteor
che,
al termine di un’ultima messa a punto dei seguenti miei racconti -
e prima ancora di impostare la presente introduzione -, a poche
settimane da una proficua vacanza romana soavemente contrassegnata
dalla struggente benedizione di Papa Francesco in Piazza San Pietro,
sono stato non poco tentato di aggiungerne un ultimo un po’
speciale, tra fantapolitica e fantastoria, quello di un Paese che -
oltremodo nauseato da tutto un cumulo di schifezze (che per
delicatezza taccio), dunque irreversibilmente determinato nella
volontà di riaffermare i più essenziali capisaldi di umana decenza
ed evangelica moralità - decide di riavvolgere il rocchetto della
storia di almeno centocinquant’anni, per implorare con tragica
impazienza l’immediata annessione ad un redivivo Stato Pontificio
incantevolmente retto dal santo e saggio Padre Jorge Mario Bergoglio.
Ma...
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