martedì 2 luglio 2013

Su Formalina di Gaetano Giuseppe Magro

recensione di Gabriele Margiotta, Specialista in Anatomia patologica (Università dell’Aquila), Medico in Formazione in Medicina Legale (Università di Siena)

Cosa accomuna Ambra Contimini, aspirante scrittrice, “donna estranea tra le donne”, e Ruggero Morganti, anatomo-patologo presso un prestigioso Istituto Universitario siciliano? Due personaggi che entrano in contatto attraverso una diagnosi istologica, seppur con sentimenti diversi: Ruggero spinto dall’interesse scientifico, Ambra spinta dall’ansia e dall’attesa di un verdetto che tarda ad arrivare. I destini dei due si incrociano nell’Istituto di Anatomia Patologica, dove Ruggero accompagna Ambra in un universo a lei sconosciuto. Presto i sentimenti dei due si trasformano,  e si rivela il vero obiettivo del romanzo: un viaggio interiore che prende le mosse da un rapporto d’amore per spingersi nell’analisi della condizione umana, dell’insoddisfazione, di quella necessità di fuggire altrove, semplicemente per fuggire da sé stessi. È un silenzioso grido di dolore per la consapevolezza che quel che resta è “emozionarsi ogni tanto, quando allungando una mano nel mare della normalità, portavano a galla qualcosa che sembrava interessante ma che, dopo qualche mese o anno, scoprivano non essere dissimile da ciò che avevano tralasciato giù nel fondale”. L’autore, attraverso l'impronta delle immagini sensibili, realizza l'atto conoscitivo, tramutando in concetti universali (“la vita è il più grande interstizio che sta tra il nulla del non essere nato e il nulla della morte”) le connotazioni sensibili dell’esperienza romantica dei due protagonisti.
Sfondo alle vicende dei due una meravigliosa Sicilia in cui, più di una volta, la descrizione dei paesaggi tocca lirismi raffinati in cui si percepisce la pasoliniana “straziante meravigliosa bellezza del creato”. Alcune atmosfere ricordano la delicata sensualità de L’insostenibile leggerezza dell’essere, e in effetti tutto il libro in realtà è un ossimoro, un contrasto: la volontà di sospendersi tra una sistole e una diastole, l’illusione salvifica del viaggio, la consapevolezza che l’amore (“interstizio tra il piacere d’amare e il dispiacere d’essere lasciati”), regolato da meccanismi biochimici sconosciuti, ogni volta sembra eterno e ogni volta finisce . È la storia di una rinascita (che in realtà viene solo fantasticata dal lettore) attraverso la caduta nell’abisso (Ambra decide di “aspettare quell’alba difettosa che le apparteneva più di ogni altra cosa”) , con la consapevolezza che il dolore che accompagna questa rinascita si debba necessariamente estendere anche alle persone che ti sono accanto. Il finale risulta sconvolgente  – “Nulla o poco è veramente come ci appare” –  o forse no. Forse tutto apparirebbe più chiaro se si avesse il coraggio di cercare nei posti giusti:  “si trovano più risposte tra gli spazi che stanno tra le cose che nelle cose stesse”. 

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