di Vincenzo D’Alessio
Emilia Dente, montefuscana, nata a Baden (Svizzera), la conosciamo come
fervida poetessa e appassionata recensora. Da bambina fece ritorno, con i genitori, nella città che l’ha vista
protagonista di tante iniziative tese a valorizzare la sua terra, in una
provincia dimenticata e maltrattata dall’emigrazione e dai terremoti, questa
di Avellino. Il suo viscerale amore per quell’insieme di storia, arroccata a
700 metri sul livello del mare, si riserva oggi in un lavoro dignitoso dal punto di vista storico e
antropologico.
Il titolo del libro, voluto dal Comune
di Montefusco, è L’eredità delle principesse e reca nel sottotitolo: Storia
e storie del pizzillo montefuscano, in più l’aggiunta del “Museo del
Risorgimento meridionale” allestito nel Carcere borbonico definito dagli
storici “Lo Spielberg” dell’Irpinia, dove è collocata anche una sezione
documentaria dell’attività del Tombolo, attività ancora oggi diffusa nel
contesto cittadino. L’epigrafe al testo recita: “Dedicato alle donne di
Montefusco, le pizzillare di ieri e di oggi che intrecciano emozioni e pensieri
nel ricamo della vita.”
Sottolineo, per chi leggerà questo agile
volumetto, che la curatrice del Museo del “pizzillo” (leggi merletto al Tombolo)
è la stessa Emilia Dente. A lei si deve anche un validissimo depliant sul
Carcere Borbonico di Montefusco stampato su proposta dello stesso Comune negli
anni Novanta. Lo studio sul “merletto” finissimo che viene realizzato in questa
antichissima città, già capoluogo di Principato, sede della Regia Udienza,
amata dai Re che la predilessero con la propria famiglia soggiornandovi in età
Angioina e Aragonese, è solo agli inizi. Proprio alle “principesse” veniva
insegnata l’Arte del Merletto, che prese poi il nome di “pizzillo” in questa
parte della provincia di Avellino.
Le monache domenicane, d’istanza nel Convento di Montefusco, hanno
continuato questa attività ,dalla loro fondazione nel XVII secolo,
trasmettendola alle giovani novizie
che entravano in convento e che
spesso tornavano alla vita civile.
Quanta importanza avesse , non solo per
l’economia che realizzava quanto per la dignità sociale l’apprendere quest’Arte, lo si può
comprendere ancora oggi visitando l’aula della chiesa di Santa Caterina in
Montefusco: su un altare laterale
c’è una bellissima tela dell’Annunciazione, dipinta sul finire del XVII
secolo, in un angolo è riprodotto
il tombolo con i fuselli, proprio accanto alla Vergine Maria raggiunta
dall’annuncio dell’Angelo. Una lunga tradizione artigianale che ha visto
impegnati anche molti uomini, chiamati “maestri pizzillari”. Non mancano nel
testo Atti che riportano nomi di bambine, scomparse in tenera età, già dedite a
quest’Arte.
La Nostra autrice ha finalmente liberato
l’energia che il suo “cuore di donna” conteneva da tempo per la terra d’origine
e per quell’immenso tramestio di mani che per secoli ha valorizzato,
silenziosamente, il magnifico tesoro d’Arte che è il merletto di Montefusco. La
scrittura è limpida, ben articolata nei capitoli, documentata ampiamente, con l’aggiunta della sincronia poetica: non
si può pretendere da una poetessa un linguaggio scarno e puntiglioso tipico
degli storici. Riporto, per il lettore, un periodo ripreso dal testo a
sostegno della mia tesi: “È questa indagine che cerca nel canto dei fuselli le
voci perdute nel tempo e nelle fredde carte riconosce il calore di un sorriso
lontano, deviando dal rigore dell’ufficialità per perdersi e ritrovarsi
nell’intricato pizzillo della memoria montefuscana.”
Il corredo fotografico di questo
volumetto è ricchissimo. Come molteplici sono le emozioni che queste immagini suscitano
nel lettore.
Dopo il volume di Angelo Cennerazzo, dal
titolo “Sulle tracce del tombolo: Montefusco ieri e oggi” del 2004, questo
volumetto di Emilia Dente segna un’altra tappa importantissima alla riscoperta della valenza socio
culturale dell’artigianato nelle
terre dell’Irpinia, a poca distanza dalla movimentata società della capitale
del Regno delle Due Sicilie, Napoli, che tanta influenza ha avuto nell’entroterra campano.
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