FaraEditore, 2011
recensione di Vincenzo D'Alessio
Uscito dal grembo fruttuoso dell’editore riminese Alessandro Ramberti questo volumetto racchiude l’esito del concorso andato in onda con il titolo di “nsanamente; e vorrei chiedermi: con i tempi che viviamo all’inizio di questo ventunesimo secolo chi è sano di mente? Non c’è molto da scegliere. Il meglio delle menti a disposizione del genere umano restano i Poeti e i pazzi.
Nel caso di questa Antologia le presenze umane sono molteplici e loquaci: raccontano un mondo “pazzo” di vita, per essere del tutto vero, e di una esistenza dominata dalle sofferenze individuali, e collettive, che dolorosamente si affrontano nel silenzio della propria, lunga o breve, esistenza. Scrive il vincitore della sezione Poesia nella sua bella raccolta “Manicomio di Ginevra” Stanza 13 (penso che sia stata una scelta apotropaica?): “Parliamo in modo strano” (pag. 23) e più avanti nella Stanza 17: “La penna porta consiglio” (pag. 28); infine nella Stanza 18: “Si perde la purezza / della prima parola svizzera” (pag. 29). Questo poeta/musicista, che si sente Bob Dylan, è Stefano Sansoni: pazzo, quanto basta, per impedire alla parola di perdersi in inutili architetture classiche. Spende il dramma del dolore in una ballata a cuore aperto: “Spremuta di cuore, / aglio, fegato e cervello / l’acre sapore di un sentimento” (Stanza 19, pag. 30) per questo vale bene che egli si senta un poeta che “chi canta resta Bob Dylan” (pag. 33).
Bene ha scritto del Nostro il poeta Guido Passini nella sua valutazione da giurato del concorso: “Una silloge ben costruita che in qualche modo ricorda lo stile della Beat Generation di Allen Ginsberg, (…) ma al tempo stesso con ritmo veloce” (pag. 15).
L’altra poetessa che emerge in questa Antologia della mente è Teresa Armenti, con la raccolta “Atterraggi di fortuna”. Nelle quattro poesie a concorso è riassunto lo stile di una poetessa già formata all’uso del verso e alla padronanza delle figure retoriche. L’onomatopea richiama i valori dei poeti delle neoavanguardie del XX secolo, specie quelle associate alla scuola di Marinetti: “Parapapapà - Parapapapà / Piripipippò Piripipippò” (pag. 59). Lo scopo è quello di trascinare il lettore nella gradevole satira che aiuta a superare il dolore, connesso alle fasi dell’esistenza, e a quei malanni che obbligano l’essere umano a ricorrere all’uso di attrezzi per sopravvivere:
“In casa mia / si balla a tre gambe: / lui con il bastone / e io con la stampella” (ib.)
Ritorna alla mente il teatro dei De Filippo. Un teatro che ha della vita il rapporto più vero con il dolore, superabile, in un tempo particolare (kairos), rispetto allo scorrere imperturbabile del tempo esistenziale (kronos). Ad aiutare questo parto arriva l’ironia, che trasforma il pathos in agnizione finale del personaggio/poeta: “Niente paura: / è il tango con la spaccata. / Si toccano i mattoni / che gongolano di felicità” (pag. 59). Sembra proprio che il climax della rappresentazione soggioghi anche le cose inanimate al ritmo incalzante della satira per attrarre il lettore, farlo divertire, senza l’ombra negativa del persistente dolore/trauma. Questo è lo svolgimento onomatopeico della poesia dell’Armenti che ritroviamo in molti dei versi inclusi in questa raccolta: “Passi striscianti / Martellar di bastoni / Strider di ruote. / (…) Il titip-tatap gocciolante del magneto./ (…) Il suon delle trombette / e il cucù finale” (pag. 61).
Come non pensare allora ai bei versi di Aldo Palazzeschi: “Tri tri tri, / fru fru fru, / uhi uhi uhi, / ihu ihu ihu. / Il poeta si diverte ,/ pazzamente, / smisuratamente.” (Lasciatemi divertire, Canzonetta, Mondadori, 2000)
Versi icastici, questi raccolti nell’Antologia curata dall’editore Ramberti, che danno finalmente voce a chi, troppo spesso, non riesce a fare emergere la sua voce oltre le Stanze dell’imperfetto vivere.
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