recensione di Vincenzo D'Alessio
Ho figli molto giovani. Sono sceso con loro nelle affollate discoteche dai nomi esotici, “New York “, “California”, “Papillon”, ne sono uscito a pezzi: il cervello affumicato dai supersuoni pressurizzati, la totale indifferenza per chi cade nel buio (è la metafora per chi beve troppo o prende pasticche nella sala bagno), dallo squallore di quei corpi, appesi ai fasci di luce, che si guadagnano da vivere saltando su un bracciolo di ferro, dallo spreco di belle energie che potrebbero essere impegnate in uno sport all’aria aperta. Mio figlio Giuseppe, mi rimprovera: “Non capisci nulla! Abbiamo bisogno dopo una settimana di stress di 'pariare' un poco.” Pariare?! Vuol dire fare quello che si vuole: almeno spero di avere afferrato il concetto.
Ora, nella calma di un chiostro, tra le mura di un ambiente famigliare, l’editore Alessandro Ramberti – testardo, capace, instancabile – ha raccolto più di un poeta/scrittore, ed ha messo insieme, in una Antologia Salvezza e impegno, le loro voci tanto diverse quanto impegnate. Un lavoro faticoso e poco economico, se pensiamo a quante persone leggono in Italia. Speriamo che qualcuno legga fuori dall’Italia, questo tipo di prodotto: lasciatemi questa speranza!
Così assistiamo a due diversi modi di spendere le energie che questa esistenza ci dona: un modo esasperato che spesso finisce nell’obitorio di un ospedale. L’altro più difficile, perché bisogna farsi uomo che pensa per arrivare a scrivere, che spesso dona pagine meravigliose di umanità. Chiamateli anche sforzi personalistici, come hanno definito la poesia e la scrittura di molti autori contemporanei, ma senza queste storie personali l’Umanità non saprebbe cosa veramente accade nell’universo quotidiano. Scrive nella presentazione l’editore Ramberti: “Credo che ciascuno, specialmente chi opera come intellettuale (ruolo che ha perso parecchio smalto e rischia, se va bene, di essere assimilato a quello di operatore culturale), debba (…) avere il coraggio di puntare alto” (pag. 8) e si collega alla rivista «Riscontri» (Sabatia Editrice, n.1-2, giugno2009) diretta dall’ottimo scrittore e critico letterario Mario Gabriele Giordano, che raccoglie diversi articoli apparsi sulla stessa rivista con il titolo originale “Il tramonto dell’intellettuale”.
Dobbiamo affermare che l’intellettuale è stato sconfitto dal Dio Denaro?
Accettare che la merce televisiva, l’iPhone, Facebook, riducano i nostri giovani, noi stessi, a pura massa da sfruttare?
Vivo con il poco che ho. Sostento i miei figli con La Parola (non pensate al Vangelo) e con l’esempio, mi sforzo di tenere il loro passo nelle retrovie: alimentando con la sussistenza la guerra che ogni giorno affrontano, solo, andando a scuola. Scrive il poeta inglese John Barnie nella raccolta La foresta sotto il mare (Kolibris, 2010, traduzione di Chiara De Luca): “(…) pietà è una parola che fu / gettata in mare da Noè; / era buona, / dissero le labbra dello squalo.”
Eppure l’Antologia, di cui ci occupiamo, dimostra lo sforzo rivolto in senso opposto.
Dalle acque del diluvio che si stringono ogni giorno intorno a noi: suicidi, mancanza di lavoro, licenziamenti, ricatti, falsi convincimenti da parte dei più forti, la maledetta politica, emerge la navicella salvifica della scrittura che permette, a quanti la praticano e la offrono, di sorvolare come rondini le acque e resistere alle raffiche violente della pioggia di sangue (purple rain), per completare il viaggio e giungere alle sponde della quiete per nidificare. Questo è il messaggio che il curatore trasmette al lettore e che i contenuti stigmatizzano nelle loro essenze.
La prima voce che ascoltiamo è della poetessa irpina Antonietta Gnerre. La sua raccolta reca il titolo “Come un albero di Gofer” (pag. 112): il legno dell’area di Gofer era servito, secondo il Vecchio Testamento, a costruire l’Arca dell’Alleanza tra Dio e il popolo ebraico, e conteneva tra le altre cose le tavole della Legge che Mosè ebbe, da Dio, mentre erano nel deserto. La poetessa cerca una nuova alleanza tra sé e Dio, questa immensa forza che muove la Vita, e lo fa con dei versi che si collegano alla sua vasta produzione, specialmente ai versi contenuti nell’Antologia Lo spirito della poesia (Fara Editore,2008). Il tema dominante è l’inquietudine spirituale che alberga nella poetessa, di fronte alle violenze che l’umanità pratica senza rispetto per l’energia vitale.
I versi della Nostra autrice guardano al vicino Novecento, con i campi di sterminio degli Ebrei realizzati dai Nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale: “Tu hai ordinato di pesare i sentieri / e di coltivare un luogo,/ (…) Adesso tu / devi decifrarmi la storia di un deportato / morto nella vita più veloce delle cose” (pag. 115). E, poco dopo, allo sterminio dei nostri connazionali trucidati nelle terre di confine con la ex Iugoslavia del maresciallo Tito: “(…) L’attimo vivo / nel nome di un altro / dentro una foiba / da ciò che non appare. / Desidero che la storia diventi certezza / e che ogni voce ritrovi il suo corpo” (pag. 115).
Dio dov’era? Dio dov’è? Sembrano chiedersi i versi di Gnerre, accogliendo il coro dell’intera umanità di fronte agli eventi violenti portati dai loro stessi simili. La Storia, questa maestra di vita, perché tace e non insegna più al genere umano la lezione dei corsi e dei ricorsi storici? Vent’anni è durato il Fascismo in Italia con guerre e scomparsa di giovani generazioni. Vent’anni dura il Berlusconismo con morti, sofferenze e distruzioni. Perché le voci degli “intellettuali” non vengono ascoltate? Sono i poeti dei profeti? “Risposta non c’è, o forse chi lo sa caduta nel vento sarà.” (Così recitavano le parole di Bob Dylan diversi anni or sono, in una sua canzone.)
La Nostra poetessa non ha certezze. La parola poetica la nutre e la distoglie dalla caduta nella congerie quotidiana. Ma quanta fatica. Quante rinunce. Una vita spesa a darsi, per appartenere all’Umanità che spera.
La parte più bella, e aderente al tema dell’Antologia Salvezza e impegno, è contenuta nel racconto “Strada statale Ofantina bis” (l’Ofanto è un fiume che scorre nelle terre irpine). In questo stupendo testo narrativo la parola è la sospensione tra terreno e metafisica. La parola scardina il tempo e ruota l’ellisse delle emozioni, reincarnando l’affetto che la fine della vita ha sottratto troppo in fretta. È un’amica dell’infanzia, Maria Luisa. Sono gli elementi naturali: le case, l’erba, i piccoli cortili, i vasi di gerani, la biancheria stesa sui fili, il vento che piega l’odore delle foglie, a reincarnare l’esistenza, a ricongiungere l’ontologico all’ultraterreno, il circostante si sgrava della sua corporeità ed assurge a puro spirito: “Ricordo la tenerezza di Maria Luisa, ora che sono qui in auto, mi pare di poter ritrovare tutta la mia vita in ciò che è nella memoria. Maria Luisa esiste è davanti a me. Esiste negli alberi, nei sentieri. È una foglia e tutto il suo essere sente l’esistenza di quella leggerezza” (pag. 117).
Finalmente il volo, il viaggio, si aderge sull’ombra cupa del buio. L’ombra ritornerà, avrà la meglio?! Non importa, ora, nell’attimo che spinge lo sguardo alla memoria e lo collega all’energia incorporea del Mondo, Dio c’è, sei tu stesso. Molte risposte trovano pace. Molta speranza trova conforto.
Vorrei poter dire lo stesso dei nostri giovani che escono dalle tante discoteche, della loro sete di conoscenza,del loro volo nelle forze dell’esistenza. Vorrei che trovassero delle risposte ai tanti perché, ai troppi soprusi, alla totale indifferenza per la loro difficile e lunga “adolescenza”.
Montoro, novembre 2010
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