venerdì 8 ottobre 2010

Ricordiamo i fratelli ‘lebbrosi’

Omelia del giorno 10 ottobre 2010
Antonio Riboldi – Vescovo
XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)


È sconcertante quanto racconta il Vangelo di oggi: sembrerebbe non vero, ma è confermato dall'attualità di cui siamo testimoni o a volte protagonisti.

Al tempo di Gesù, quanti erano considerati di pericolo alla salute pubblica venivano segregati fuori dalle mura della città, dalle autorità, che allora erano i sacerdoti del tempio.

Anche perché le malattie, e tra queste la lebbra, venivano interpretate come un segno del castigo di Dio. I lebbrosi subivano così due gravi umiliazioni. La prima era nel male, che abbruttiva l'aspetto fisico, al punto da non essere più 'presentabili' agli occhi della gente.

E tutti sappiamo come noi uomini ci teniamo ad essere accolti dall'apprezzamento della gente, di chi ci guarda: una 'bella presenza' è come un biglietto di invito ad essere presente ovunque, suscitando stupore. Come pure sappiamo quanto oggi, in ogni età, si spenda per avere questo lasciapassare' della bellezza fisica... indifferenti, magari, se 'dentro', nel cuore, la nostra anima è lebbrosa' rispetto all'essere persona buona!

La seconda umiliazione era la completa emarginazione dalla vita sociale. Condannati così ad una solitudine, che poteva generare solo disperazione, perché l'uomo ha bisogno dell'altro, o meglio dell'amore dell'altro, soprattutto quando soffre nel cuore o nel corpo.

Basta pensare ai malati di AIDS, che vengono rifiutati, visti come un pericolo da isolare, più che come fratelli da amare di più! O ai tossicodipendenti, guardati come 'criminali', più che come vittime di se stessi e di questa nostra società, egoista e priva tante volte di valori, che ha comunicato loro il disamore alla vita stessa, e verso i quali invece si dovrebbe sentire il dovere di una 'riparazione', con una accoglienza che ridoni la voglia di vivere bene.

Gesù, invece, - e dovrebbe essere così anche per noi suoi discepoli – al contrario della mentalità corrente del suo tempo, non solo non conosce assurde ed ingiuste emarginazioni, ma va oltre, si fa vicino ai lebbrosi' di ogni genere, con amore preferenziale.

Dirà un giorno: 'Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati... e Io non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva'.

Così sulla sua strada si affollano ciechi, storpi, rifiutati, peccatori, lebbrosi: tutti quelli, insomma, che 'il mondo' caccia fuori dalle mura della sua città, mentre Gesù per tutti ha tenerezza, compassione, amore. Così racconta il Vangelo oggi:

"Durante il viaggio verso Gerusalemme Gesù attraversò la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, alzarono la voce, dicendo: `Gesù, Maestro, abbi pietà di noi!'. Gesù appena li vide disse: 'Andate a presentarvi ai sacerdoti'. E mentre essi andavano furono sanati.

Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro, lodando Dio a gran voce e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano.

Ma Gesù osservò: 'Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri dove sono? Non si è trovato chi tornasse a rendere gloria a Dio all'infuori di questo straniero?: E gli disse: 'Alzati e va', la tua fede ti ha salvato. " (Lc 17,11-19)

L'amore, che Gesù ha per gli uomini, non si ferma mai alla guarigione della malattia del corpo.

Va sempre oltre. Se così non fosse stato Gesù sarebbe passato alla storia come un medico eccezionale... troppo poco per Dio, che ama tutto di noi, e a cui, di noi, sta a cuore la bellezza che è nel cuore!

Mia mamma soleva dire a noi figli: 'Non ha importanza che siate belli o intelligenti, è importante che siate buoni e belli nel cuore, là dove Dio splende con la Sua bellezza.'

Il corpo oggi può essere bello, domani invecchia; così come la salute oggi c'è, domani può venir meno. Ma la salute dell'anima, la santità, vero dono di Dio, che l'uomo conquista giorno per giorno, atto per atto, nella vita quotidiana, rimane sempre ed è veramente bello' dell'uomo.

Quante volte mi è capitato di incontrare fratelli o sorelle che, volendo, almeno con il sacerdote, manifestare ciò che sentivano e come si vedevano dentro, mi dicevano: 'Faccio schifo a me stesso! Sembro agli altri bello, felice, ma che ne sanno della mia bruttezza interiore? Non è certamente un corpo a fare felice, questa è una condizione che Dio dà alle anime buone. Magari fossi capace di essere bello nel cuore! Mi sentirei realizzato!'.

A chi `si sente' così dico: che ci si senta tanto o poco 'sporchi' dentro, fa parte della nostra povertà: tutti siamo più o meno lebbrosi'. Ma tocca a noi avere cura della bellezza della nostra anima, più di quella del corpo. Gesù attende solo questo da noi: riconoscere la nostra miseria – ' Gesù, Maestro, abbi pietà di noi' – fiduciosi nella Sua compassione e salvezza – 'Alzati e va', la tua fede ti ha salvato' –

È giusto, parlando di lebbrosi, rendersi conto che nel mondo questa malattia colpisce ancora...

In Italia vi è una benefica organizzazione che si occupa di loro, l'AIFO, cui sono legato da tanta amicizia e a cui va oggi il nostro grazie per quanto operano.

Sono volontari che seguono le orme di un grande apostolo dei lebbrosi, Raoul Follereau, ed il suo infaticabile servizio per questi malati, che egli chiamava 'la più sofferente minoranza oppressa nel mondo', e per i quali ha percorso ben 32 volte il giro del mondo!

Nel 1952 indirizzò all'ONU una richiesta, in cui domandava che si elaborasse uno Statuto internazionale per i malati di lebbra e che i lebbrosari-prigione, esistenti ancora in troppi Paesi, venissero rimpiazzati con centri sanitari di cura. Il 25 maggio 1954, l'Assemblea Nazionale francese approvava tale richiesta e ne domandava l'iscrizione all'ordine del giorno dell'ONU. Tale documento è servito di base alla maggioranza delle leggi che, da allora, hanno ridonato ai lebbrosari' la libertà giuridica. Fu così che lo stesso anno Follereau fondò la Giornata mondiale dei lebbrosi - celebrata, oggi, in altri 150 Paesi (tra cui l'Italia) – che è diventata veramente un immenso appuntamento di amore, che rende agli ammalati di lebbra la gioia di essere trattati da uomini.

Ma il racconto del Vangelo di oggi sembra rimarcare come non sempre ciò che si fa per amore, come per Gesù, trova gratitudine in chi lo riceve.

Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro, lodando Dio a gran voce e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: 'Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri dove sono? Non si è trovato chi tornasse a rendere gloria a Dio all'infuori di questo straniero?:

C'è una profonda vena di amarezza nelle parole di Gesù, che mettono in luce come, a volte, quando si è avuta una grazia, o aiuto, ci si scordi di chi ce ne ha fatto dono.

L'ingratitudine è un vizio diffuso, che denota egoismo... mentre la gratitudine, come quella del Samaritano, onora il cuore dell'uomo.

Nella vita si dovrebbe sempre dire 'Grazie' a chi ci fa il bene, sempre. È amore che si riceve e si riconosce. Ma è cosi?

È bello il racconto di Naaman il Sìro, raccontato nel Libro dei Re.

Naaman il Siro, malato di lebbra, obbedendo alla parola del profeta Eliseo, che gli aveva ordinato di lavarsi sette volte nel fiume Giordano guarì… 'Tornò con tutto il seguito dall'uomo di Dio; entrò e si presentò a lui dicendo: 'Ebbene, ora so che non c'è Dio su questa terra se non in Israele. Ora accetta un dono dal tuo servo. Quegli gli disse: 'Per la vita del Signore, alla cui presenza io sto, non lo prenderò. Naaman insisteva perché lo accettasse, ma egli rifiutò. Allora Naaman disse: 'Se è no, almeno mi sia permesso di caricare qui tanta terra quanta ne portano due muli, perché il tuo servo non intende compiere più un olocausto o un sacrificio ad altri dei, ma solo al Signore". (Re 5, 14-17) Un meraviglioso esempio di come sì deve gratitudine...

Anche noi, nella vita, riceviamo immensi doni dal Padre, anzi, tutto nella nostra vita è dono, anche se non ne abbiamo consapevolezza o non ci badiamo o non ce ne ricordiamo.

Per questo la prima preghiera che ì genitori ci insegnavano a recitare, iniziando la giornata era:

"Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore, ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano e conservato in questa notte. Ti offro le azioni della giornata, fa' che siano tutte secondo la Tua santa volontà, per la maggior Gloria tua. Preservami dal peccato e da ogni male. La Tua Grazia sia sempre con me e con tutti i miei cari".... E chiudendola: "Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore, ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano e conservato in questo giorno. Perdonami il male che oggi ho commesso e se qualche bene ho compiuto accettalo. Custodiscimi nel riposo, la Tua Grazia sia sempre con me e con tutti i miei cari."



Internet: www.vescovoriboldi.it

email: riboldi@tin.it

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