mercoledì 7 luglio 2010

Eremo Camaldoli, Domenica 4 luglio 2010, 14^ C (Lc 10,1-12,17-20)




Il primo sentimento che dovrebbe suscitare in noi questo vangelo è quello della gratitudine. Gratitudine perché diffonde la musica gioiosa della fiducia, perché ci coinvolge nella irradiazione dell’energia amante di Dio nella nostra vita, nelle nostre relazioni.
Gesù si rende conto che i dodici discepoli sono troppo pochi per annunciare la lieta notizia che lui sente di dover comunicare a tutti: che il regno di Dio è fra di noi, che è possibile una vita liberata dall’oppressione delle forze del male, dell’infelicità, dell’odio, delle paure…
La forza di queste potenze, che producono disperazione e morte, è vinta grazie all’annuncio, incarnato da Gesù, che siamo tutti generati ad una vita nuova grazie alla presenza dell’amore di Dio.
Credere, ossia affidarsi a questa sorgente di amore inesauribile, ci induce a vivere in questa terra e in questa vita dandoci reciproca ospitalità, promovendoci gli uni gli altri. Ci sollecita ad esistere aprendo le porte e le finestre dei nostri corpi per condividere i beni, i talenti, le cose migliori che ciascuno di noi sa fare, accogliendo reciprocamente anche i nostri limiti, le nostre ferite, incompletezze, e vulnerabilità.
… E poiché questa gioiosa rivelazione dev’essere rivolta a tutti, poiché tutti hanno il diritto di sentirsi amati e di amare, di essere illuminati e riscaldati da questa luce, occorre assumere altri operai, che si facciano annunciatori della vivibilità, dell’affidabilità della vita.
Per questo motivo Gesù designa altri settantadue discepoli e discepole.
Il numero settantadue indica tutti i popoli e le nazioni che si conoscevano a quel tempo, il che significa che nessuno è escluso, ma che tutti, popoli e culture, lingue e sapienze, religioni e professioni… tutti, ma proprio tutti, sono i destinatari, i testimoni, i diffusori di questa energia amante e amorizzante di Dio, che ci libera dalle paure e dagli egoismi che ci imprigionano.
Oggi, in modo particolare, siamo pieni di paure per tutto e per il contrario di tutto: paura degli attacchi terroristici e della guerra, dei mutamenti climatici e delle epidemie, della morte e delle tecnologie che allungano la vita, dell’invasione degli immigranti e della crescita zero in occidente, delle crisi finanziarie e delle banche centrali, della marea nera e di restare senza petrolio, della disoccupazione e della crisi…
Queste paure minacciose si aggirano in noi e fra di noi come lupi che azzannano, intristiscono, scoraggiano, ci rendono individualisti, ci fanno chiudere le porte e le finestre delle nostre case, o le frontiere dei nostri paesi, come fossero delle casseforti… Le paure ci chiudono in noi stessi, fino a farci diventare lupi gli uni per gli altri, interessati solo a sopravvivere, anche a scapito, o nel disinteresse degli altri.
In questo clima inospitale e ostile Gesù manda coloro che credono nel suo regno come agnelli, ossia come coloro che sfidano le potenze della paura con l’ospitalità, nella quale ciascuno possa assaggiare il gusto della bontà, della fiducia, dell’amabilità della vita. Nel mezzo delle paure-lupo Gesù manda agnelli per disattivarle, per trasformare le nostre passioni tristi e aggressive, per ammansire i lupi in noi, per fare convivere il lupo con l’agnello…
Agnelli sono, forse, coloro che conoscono e riconoscono le paure, ossia le passioni che muovono i nostri comportamenti e il nostro agire, per trasformarle in una risposta non di chiusura e di respingimento nei confronti degli altri, ma di apertura accogliente, di casa aperta.
In qualunque casa andiate, entrate pacificamente… mangiando e bevendo di quello che hanno… quello che vi verrà offerto… Quali sono queste case in cui entrare? Sono i nostri luoghi di lavoro, di studio e di professione, i nostri uffici e laboratori, le nostre relazioni umane e l’ambiente della terra che ci ospita, i nostri strumenti di comunicazione, i luoghi dell’educazione e della cura, della sofferenza…
 Siamo inviati a testimoniare la fiducia nella promessa del Bene, a cui Gesù stesso ha creduto, trasformando il potere delle paure e degli egoismi in spossessamento di sé, a favore di una ospitalità dove tutti, e ciascuno, possano trovare accoglienza e bene-dizione, benevolenza e cura, apprezzamento e condivisione.
Gesù stesso viene riconosciuto l’agnello di Dio, colui che conosce le angosce che si agitano nei cuori degli uomini e delle donne che incontra, li accoglie, se ne prende cura, inizia un cammino di guarigione. Non subisce passivamente le strutture che incutono e diffondono paura, siano esse religiose o politiche, economiche o sociali. Egli mette in atto una prassi critica, un’immaginazione creatrice e liberatrice che scuote e sovverte i soprusi e l’ingiustizia. La sua azione risulta tanto efficace, da scatenare la violenza dei lupi che lo imbavagliano, lo rendono afono, gli tolgono parola e vita…
Di quali atteggiamenti siamo testimoni, ogni giorno, con i nostri gesti, parole, pensieri?
Siamo promotori di ospitalità accogliente, o di inospitalità impaurita, e respingente?
Il vangelo dice che chi non accoglierà l’annuncio del Regno sarà trattato più duramente di Sodoma… Sappiamo che la città di Sodoma fu distrutta perché i suoi abitanti peccarono contro l’ospitalità, vale a dire contro la modalità di rendere gli altri partecipi di quanto è proprio, contro un modo di stare insieme che prevede la spartizione, la cura reciproca. Sembrerebbe che il peccato più grande contro lo Spirito sia quello dell’inospitalità… che si ritorce contro noi stessi, si traduce negli inferni distruttivi che creiamo da noi stessi nella storia…
            Vorrei concludere con un accenno alle ultime parole del vangelo: Rallegratevi non tanto di vedere Satana cadere dal cielo, quanto piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli.
Quali sono i cieli dove scopriamo scritti i nostri nomi?
I cieli sono l’insondabile dimora del Dio Misericordioso. Il cielo indica che sopra, e dentro la terra, si apre una dimensione che è apertura senza fondo, impossibile da rinchiudere… è l’apertura da cui scaturisce tutto ciò che esiste, ciò che sporge oltre me stesso e il mondo, grazie al quale io, noi, e il mondo siamo, diveniamo.
Il cielo è un’energia libera, che circola in noi stessi, e in ciascuna delle persone che incontriamo. è quella luce che emana da noi e dall’altro, che non si lascia mai fissare, definire, afferrare.
Il cielo è l’apertura da dove soffia il vento dell’inafferrabilità fra noi, che ci spinge ad inoltrarci sulle vie della vita con fiducia e sorpresa,  gioia e  reciproco riconoscimento…
In questo cielo vanno scrivendosi i nostri nomi, vanno aprendosi gli occhi del nostro cuore al mistero dell’Amore…

Nessun commento: