Nella ricorrenza della Liberazione di Forlì dal nazifascismo dal 6 al 10 novembre a Forlì è stata organizzata una rassegna dedicata a “Storie & Memoria” a cura di Legacoop, Associazione Virginia Senzani, Unica, Fondazione Ariella Farneti, Arci-Forlì, Anpi Comitato di Forlì, con il coordinamento di Gabriele Zelli.
Si incomincia venerdì 6 novembre, ore 20,30, presso il Circolo Il Camerine, via Decio Raggi 30, Forlì, con “Storie di filo spinato” di Luciano Foglietta e Davide Argnani (edizioni il Ponte Vecchio (2009) Oltre ai due autori interverranno Mario Zecchini, Presidente Fondazione “Ariella Farneti”, Gabriele Zelli, Legacoop Forlì-Cesena.
Prossimi appuntamenti, aempre a Forlì :
Domenica 8 novembre ore 21, Circolo Madamorè, V.le Spazzoli 51: “Memorie, le strade liberate”, incursione di parole e musica a cura di Malocchi & Profumi, introduzione di Michele Drudi ed Enrica Mancini;
Lunedì 9 novembre, ore 20,30: Circolo Arci Ronco, V.le Roma 344: “Sebbene che siamo donne…” Ricordo del partigiani Pietro Alfezzi;
Martedì 10 novembre, ore 20,30: Circolo Ca’ Ossi, Via Don Minzioni 35: Ricordo di Terzo Larice (Tigre), partigiano dell’8ª Brigata Garibaldi.
Notizie sul libro:
STORIE DI FILO SPINATO
di Luciano Foglietta e Davide Argnani
a cura dell’editore e degli autori
“Storie di filo spinato” è un diario di guerra scritto a quattro mani, con presentazioni di Maurizio Pallante e Roberto Roversi, Edizioni «Il Ponte Vecchio 2009»
“Un bambino di cinque anni e un ragazzo di ventidue anni. Il bambino vive la guerra da casa, il ragazzo la vive sulla propria pelle nei Lager nazisti. Il padre del bambino, ventinove anni, dall’ottobre 1943 al giugno 1945, è ospite, si fa per dire, a M.-Stammlager VI G nei pressi di Bonn a.Rhein e, quasi contemporaneamente, anche il ragazzo di Santa Sofia, Luciano Foglietta, ventidue anni, si ritrova ospite presso lo “Stalag IV B” ubicato nelle vicinanze di Mulberg. I due ‘eroi’ non si incontreranno mai, mentre la loro vita viaggerà in parallelo fino alla fine.
Due generazioni, due esperienze, due protagonisti che vivono la stessa tortura. Un bambino che ricorda la propria solitudine, un uomo che racconta in diretta le prevaricazioni subite. Un Diario e un romanzo di vite vissute in parallelo che continuano, nella memoria dei sopravvissuti, a riviverne la tragedia con amarezza e rabbia.
Ma se è vero che “quando muore un uomo muore un libro” (vedi Gian Luigi Beccaria: Tra le pieghe delle parole, Lingua storia cultura, Einaudi 2007) è altrettanto vero che un diario di memorie è un tassello di Storia e di Vita in dono ai posteri perché la Storia vissuta resti viva e porti consiglio, a futura memoria insomma, perché le nuove generazioni ne abbiano arricchimento morale e mònito contro ogni pensiero a senso unico, anche se i padroni del vapore, di qualsiasi colore, sono spesso imbroglioni dei Fatti della Storia.”.
LUCIANO FOGLIETTA: stralci dalla presentazione di MAURIZIO PALLANTE e dal capitolo “Ambiguità e sacrificio”:
(Pallante)…in queste poche pagine, Luciano Foglietta, racconta i mesi più drammatici di quel periodo della sua vita, quelli della prigionia in un campo di lavoro tedesco per essersi rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò. Senza enfasi né vittimismi, come fossero fatti vissuti da un altro uomo, di cui si condivide la scelta di dignità che l’ha portato a viverli pur sapendo sin dall’inizio che ne sarebbero derivati la privazione della libertà e grandi sofferenze, quanto grandi chissà, forse fino allo sfinimento e alla morte, come giorno dopo giorno accadeva a tanti che accanto e insieme a lui le pativano. Una scelta di cui ogni giorno doveva confermare a se stesso la giustizia e l’inevitabilità etica per riuscire a sopportare il dolore, la paura, la fatica, le umiliazioni, la violenza gratuita, la fame, il freddo.
…una continuità invisibile agli occhi – l’essenziale, dice la volpe al piccolo principe di Saint Exupéry, è invisibile agli occhi – ma non per questo meno evidente a chi sa vedere oltre l’apparenza della realtà, i poeti sanno penetrare oltre ciò che appare e cogliere la realtà che spesso l’apparenza nasconde, lega il giovane con l’uomo che è diventato sessant’anni dopo….
Luciano Foglietta: dal Capitolo II:
Rinchiusi in carri bestiame viaggiammo tutta la notte e l’intero 23 settembre. E’ buio pesto quando si scende. Breve tragitto, a piedi, ed entriamo nel campo di lavoro di Sigma. Sorge nei pressi di uno stabilimento dell’Auto Union, la società a cui siamo stati destinati come lavoratori, anzi, come si dice in gergo, “che ci ha preso in forza”. Sono 4 baracche di legno nuove di zecca separate da altri baraccamenti in cui vivono lavoratori civili russi, francesi, belgi e olandesi. Noi, però, siamo circondati dal filo spinato e siamo sorvegliati da un presidio di soldati agli ordini di un maresciallo, un ometto piccolo, macilento, già anziano e che poi si rivelerà cattivo come il loglio.
Il rancio giornaliero consiste in 300 grammi di pane nero, acido, pesantissimo. Non si capisce con cosa lo facciano. Poi una zuppa di rape a mezzogiorno e un’altra alla sera. Il lunedì ci danno 25 grammi di zucchero, il mercoledì 300 grammi di margarina, il venerdì una polpetta alquanto misteriosa e 40 grammi di marmellata. Per 12 ore di lavoro quotidiano c’è poco da stare allegri.
Fino alla fine di settembre mi fanno lavorare all’interno del campo. Infatti si debbono compiere delle rifiniture. Poi, con altri cinquanta compagni, andiamo a scavare fosse per le condutture del gas in aperta campagna. Ci ha preso “in forza” una ditta subappaltatrice della Auto Union, la “Gas Werk”.Ottobre, novembre e dicembre sono tre mesi veramente terribili. S’incomincia a picconare alle 5 del mattino e si smette alle 7 di sera. Un solo intervallo di mezz’ora a mezzogiorno. Comunque preferisco questo alle poche giornate in cui ci avevano fatto attraversare alcune vie di Chemnitz. La gente infatti ci sputava addosso, ci gridava improperi in cui ricorreva la parola “Badoglio”: insomma eravamo, per loro, degli “sporchi badogliani”. Su quella scia anche i soldati di scorta, gli operai, i capi reparto, tutti, purchè tedeschi, ci ingiuriavano e, al minimo pretesto, giù calci, pugni e piattonate.La sveglia era per le 4,30 (“Austein”… “austein”). Poi, per giungere sul luogo del lavoro, bisognava percorrere dai 3 ai 7 chilometri, naturalmente a piedi. Spesso pioveva o nevicava e il dover star dentro quelle fosse profonde fino a due metri e larghe cinquanta centimetri, con l’acqua o la fanghiglia alta un palmo, non era certamente piacevole. Si lavorava di pala e piccone così, senza guanti. I piedi, dentro i pesanti zoccoli di legno, li tenevamo avvolti negli stracci. Poiché ci avevano fatti prigionieri quando ancora faceva caldo, nessuno di noi aveva maglie pesanti. Le sostituimmo con la carta dei sacchi del cemento tenendoli sotto la giacca ed il pastrano, le maniche strette con delle cordicelle. Con le bande della bustina ci coprivamo le orecchie e il viso poiché il gelo arrivava a punte di 35 gradi sotto lo zero….”.
DAVIDE ARGNANI: stralcio dalla presentazione di ROBERTO ROVERSI e dal ‘prologo’ del Diario:
Roberto Roversi: “…Quest’opra di Davide Argnani la vedo, perché la sento e la leggo, come il luogo conquistato e difeso in cui si può sciogliere il nodo di ogni paura sulla perdita – soprattutto per piccole viltà continuate o per sostanziale ignavia – della memoria storica.: «Paura che queste/cose vadano/dimenticare». E non tanto, o non solo, la memoria delle occasioni quotidiane che tendono spesso a sottrarci ogni tensione verso il futuro; ma la somma davvero grandiosa, o paurosa e quindi opprimente, degli avvenimenti di vertice di questo intero secolo (il ‘900, n.d.r.) che ormai va spegnendosi. Un secolo che oltre ca omogeneizzare con una fretta impestata paesi e popoli, continenti e civiltà, ha nello stesso tempo prodotto la più spietata violenza collettiva mai largita al genere umano, col preventivo di una possibile, non troppo rimandabile, estinzione.
È perciò indispensabile convincersi della necessità di una presenza attiva, costante, su questi problemi generali e su queste probabilità catastrofiche obiettivamente ravvicinate; e, insieme, di mantenere all’erta una volontà di fare che non può restare privata ma deve essere di continuo alimentata da prelievi morali, da decisioni progettuali, da vigilanza culturale. Tutto questo, allo scopo di collaborare con quanti cercano di avviare sia pure dentro a inesorabili contrattempi qualche atto pratico decisivo, qualche scelta decorosa e generosa. Qualcosa, insomma, che non sia in fretta deperibile; ma, al contrario, risulti abbastanza resistente: tanto da alimentare una speranza sana che uno scontro su questi problemi di sopravvivenza possa non solo prolungare decisioni disastrose ma risultare alla fine anche efficace in assoluto. In questo senso si colloca dunque la generosa vitale speranza di una buona lotta che non si può rimandare di fare….”
Davide Argnani: dal ‘Prologo’: Questo non è un racconto di guerra. Ce n’è a migliaia di storie che raccontano la guerra, di ogni tempo, di ogni luogo, perché la guerra è espressione universale.
Sono però vicende e fatti minimi vissuti da un bambino di nemmeno sei anni che rimangono inchiodati nella sua memoria, nel loro svolgersi, nei loro esiti. Li racconta quel bambino cresciuto e diventato un giovanotto più che ventenne, che di quella guerra, che lo ha privato del padre e di tante persone del suo mondo di affetti, porta tante cicatrici…”.
Notizie sugli autori:
Foto di copertina: xilografia di Francesco Olivucci, in ultima di copertina: disegno di Enzo Bellini.
LUCIANO FOGLIETTA è nato nel 1922 a S. Sofia dove vive. Si è sempre dedicato alla letteratura, alla storia e alle tradizioni della Romagna e in particolar modo ai sapori e alle tradizioni della gastronomia romagnola, con racconti e numerosi scritti apparsi su riviste specializzate. Dal 1956 è giornalista professionista de Il Resto del Carlino e per anni è stato caporedattore nelle redazioni di Forlì-Cesena e Rimini e corrispondente de Il Giorno ai tempi di Enrico Mattei. Inoltre collabora a diverse e importanti riviste, fra le quali La Piè, fin dai tempi della sua lunga amicizia con Aldo Spallicci, e poi L’Ortica, Il Melozzo, Confini… Come scrittore ha esordito nel 1958 pubblicando il suo primo romanzo Una valle per un’anima, poi, nel 1961, Stalag IVB, il romanzo che racconta le sue esperienze nei campi di concentramento nazisti (Edizioni Cappelli, più volte ristampato). Fra le altre numerose opere citiamo: I matti di Seguno (1964, più volte ristampato); Un paese di Frontiera (1965); Gian il contrabbandiere (1994), Il 150° della Banda (1994), Il Boccaccio e l’usignolo (1995), Tra ‘bandi’ e ‘bande’ in collaborazione con Boris Lotti (1995), L’Elvira del Caffè (1996), All’ombra del Falterona (2000), Preti e cioccolata (2006), Dal fondo di un lago (2006) e Lassù, sull’Alpe (2007); Paolo Paolini – Un piccolo grande uomo (2007); Strapaese (Una guerra per burla), Editrice Grafiche Marzocchi, Forlì 2008; La Liberazione di Santa Sofia, Associazione famiglie combattenti polacchi in Italia, 2008.
DAVIDE ARGNANI è nato il 4 giugno 1939 a S. Maria Nuova di Bertinoro. Dal 1953 vive e lavora a Forlì. Opere pubblicate: Poesia: Ogni canto è finito (Todariana, Milano 1972), La città mugolante (Presentazione di G. Bárberi Squarotti, Ed. Forum, Forlì 1975), Nulla su tutto meno uno - ricerca sulla scrittura murale - in collaborazione con E. Sughi (MDM, Forlì 1978), I lager fra noi (1978), Passante (Nuovo Ruolo, Forlì 1987), La casa delle parole (Presentazione di Roberto Roversi, Ed. Ellemme, Roma 1988), La festa degli alberi in collaborazione con Daniela Palmas (Ed. Pagine Lepine, Frosinone 1997); Stari Most (presentazione di Maurizio Pallante, testimonianza di Predrag Matvejević, illustrazioni di Dinko Glibo; versione in croato (Lucì Zuvela), tedesco (Francesca de Manzoni) e inglese (George Peter Russell) Campanotto, Udine 1998-1999. Si interessa di poesia visiva e ha pubblicato: Pianeta spaccato (Presentazione di Eugenio Miccini, Campanotto 1982), Diàclasi beante (id. 1983). Ha curato le seguenti opere monografiche e antologiche: Poeti a dibattito - interviste con poeti, critici e scrittori italiani - (Quinta Generazione, Forlì 1978), Anna-Un poemetto per il bicentenario del poeta americano Irving Stettner con traduzione di E. Sughi (Forum 1979); Pelàsgi, i poeti romagnoli in lingua, in collaborazione con Gian Ruggero Manzoni e introduzione di Valerio Magrelli (Ed. Maggioli, Rimini 1985); Motus e Ingranaggi - ricerca sulla poesia operaia, con Roberto Roversi - (Edizioni Lavoro, Roma 1987-88); Collabora a varie riviste letterarie e dal 1993 dirige la rivista L’Ortica e dal 1999 è condirettore della rivista Confini; collabora alla pagina culturale del ‘Corriere di Romagna’ e a Università Aperta.
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