sabato 22 agosto 2009

IL SEGNO

di Subhaga Gaetano Failla

“Sono passati quarant’anni,” disse, abbassando gli occhi sul bicchiere di Campari.
Lei sorrise, ricambiando il sorriso malinconico dell’uomo che le stava di fronte. Erano seduti al tavolino d’un bar. La sera d’una lunga giornata estiva filtrava nel locale illuminato dai neon e intorpidito da geometrie rosse e blu alle pareti.
“Sì,” sussurrò la donna. “Avevamo… Avevo quindici anni. Tu diciassette.”
Bevve un sorso di birra chiara. Le unghie turchesi apparvero sul giallo che traspariva dal vetro freddo e umido.
L’uomo cercava le parole. L’intervallo di silenzio gli mozzò il respiro. Aveva bisogno d’una sigaretta, sperò nel successivo sorso alcolico.
“Come va con tuo marito?” chiese, conoscendo già la risposta.
“Sono divorziata. Da quattro anni. Niente da dire, per non annoiarti. E tu?”
“Ah… io… Io sono solo. Single, come si dice adesso.”
“Anch’io… single, come si dice adesso.”
Sorrise e strinse la mano dell’uomo. Poi, interruppe con troppa rapidità quel contatto.
“Le tue mani sono bellissime,” disse l’uomo.
“Grazie,” mormorò la donna, chinando il capo e facendo strisciare il braccio sul bordo del tavolino. “Non sei cambiato,” aggiunse. “Così gentile…”
Spalancò gli occhi, finalmente senza timore, e guardò in viso l’uomo.
“Questo è il momento,” disse egli.
“Quale momento?”
“Il momento in cui lui le chiede: Cosa fai questa sera?”
“Ah…” Sorrise, e chinò di nuovo il capo. Volse lo sguardo verso la porta del locale.
“Cosa fai questa sera?” chiese l’uomo.
“Niente. E tu?”
“Vorrei cenare con te.”
Squillò un telefonino. Una musichetta bizzarra, normalmente bizzarra. La donna disse “scusa” e cominciò a rovistare con nervosismo nella borsetta. Si alzò, confusa, allontanandosi. Bisbigliò qualcosa nel telefonino nascosto tra i suoi capelli neri.
Anche l’uomo si alzò. Andò alla cassa. Poi ritornò a sedere.
La donna gesticolava, piegata su sé stessa, verso una voce ignota. Sognava forse. Infine raggiunse di nuovo l’uomo cercando di far sparire nella mano il cellulare. Un gesto sconcio che durò un passo o due.
“Qualcuno mi ha soffiato la cena con te?”
“Oh, no. Scusa. Questi cellulari…”
“Allora? Una bella pizza al taglio con gassosa?” fece l’uomo, e rise forte. Una sigaretta, appena fuori dal bar, presto.
“Be’, da un gentile signore mi aspetterei qualcosa di più. Ma può andare bene anche una pizza al taglio. E un arancino pure, se ce la facciamo con i soldi. Che ne dici?”
“Va bene. Va bene,” disse l’uomo e carezzò il capo di lei. Toccò i capelli, la fronte, sfiorò l’angolo della bocca.
Finalmente uscirono. L’uomo si accese una sigaretta. C’era una luce arancione per strada. La gente sembrava smarrita.
Imboccarono l’entrata della metropolitana. Scesero le scale. L’uomo e la donna avevano difficoltà a trovare la giusta distanza tra di loro. Non sapevano come camminare affiancati. L’uomo fu colpito ancora dallo scenario della metropolitana. Gli ricordava ogni volta il film Blade runner. E tutte quelle persone, tutte quelle vite e quelle morti che si addensavano sul binario e nei vagoni, lo lasciavano stordito. Era spaventato dalla moltitudine brulicante nei sotterranei.
Trovarono posto, l’uno accanto all’altra. L’uomo temeva di sporcare, in quel vagone, l’incerto candore del loro incontro.
Lei si guardava intorno. Posò lo sguardo sulle scarpe dell’uomo. Poi ricordò una scena di tanti anni prima. Il suo corpo nudo tremava in un piccolo letto. Stretto accanto a lei, intimidito, quasi sul punto di cadere sul pavimento gelido della soffitta, c’era un ragazzo gracile, biondo. Un ragazzo dolcissimo. Quel ragazzo stava adesso accanto a lei, in un vagone della metropolitana.
Cenarono in un ristorante ben conosciuto dall’uomo. I camerieri lo chiamavano per nome e gli davano del tu. Uno di loro accese, con un solo gesto preciso, una candela sul tavolo.
Parlarono di figli, di mariti e mogli, di amici, parlarono di lavoro e del tempo che passa. Parlarono di nulla. Aspettavano entrambi un segno. Un segnale scoccato da qualche oscura divinità che di certo stava seguendo con molta attenzione il loro incontro.
Il pesce era squisito e il vino bianco stordiva quanto basta. Il segnale non giunse. Forse la divinità si era addormentata. Si alzarono, indecisi, avviandosi verso l’uscita. Ognuno dei due cercò una parola, ma non la trovò. Si salutarono infine, con un piccolo bacio sulle guance. Non si incontrarono mai più.

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