lunedì 1 giugno 2009

Frank Spada selezionato dal Villa Petriolo

Caro Alex, ho scoperto il tuo segreto, i tuoi incitamenti mi portano fortuna.
Oltre 220 racconti, tre premiati, 13 segnalati tra cui 'Domenica di sera' di Frank Spada.
Lo allego per tua opportuna conoscenza. Se vorrai pubblicarlo su "narrabilando" (come hai fatto con 'Un'albicocca al sole) mi farai un gran regalo, andrà sul web promuovendo (spero) anche il tuo lavoro.
Buona giornata amico mio.
Frank

ecco i vincitori di questa terza edizione: http://divinando.blogspot.com/2009/05/che-la-bellezza-infiora-i-vincitori-del.html

Domenica di sera
di Frank Spada

– Arrivederci, Timo.
– Buonanotte, professore. – Dice l’altro sottraendo al ceppo braci con una paletta in mano, mentre un paio di braciole macerano sapori dentro una fondina lambita dalla fiamma e due clienti le tengono di mira dal tavolo lì accanto.
“La Patria del Friuli” in tasca e la sua firma in calce all’editoriale quotidiano, e il giornalista esce dalla trattoria.
Nevicherà? Lui alza gli occhi – il cielo soppesa il fumo dei camini, indeciso se appendersi a quell’appendiabiti insicuro o proseguire verso le montagne per togliersi giù il manto. Il letterato lascia il poetico fondale e accosta l’andatura a sinistra – la quinta è chiusa dalla roggia che s’imbuca ai piedi delle ‘Grazie’.
Ammutolita, in centro al prato ovale, la fontana si specchia nella rotondità del gelo. In alto, l’angelo svetta il campanile della Piccola Patria con un dito puntato al vento della rosa: impone il sostare della notte. Ed ecco che una buffata bianca volge di lato il naso al nostro amico. Avverte tanto freddo che si fermerebbe solo per abbracciarsi a se stesso, e sospende il passo per dar strada a un autobus che corre via con gli interni spenti sotto le rive del Castello, poi sale verso l’arco dell’antica porta di mattoni. Giunto là sotto, tra quattro angoli bui, maleodoranti per l’odore acre dei viandanti, zampilla e si allontana non visto.
Svoltato il liberty rotondo del Cinema Centrale, il professore imbocca un vicolo e affretta il nome di una donna nel chiarore di un’insegna. Entra in un’osteria: due persone al banco. Di domenica, a quest’ora?
Amalia lo saluta storcendo... la chiamano ‘bocjate’. Il perbenismo cittadino si riferisce a lei con più eleganza dicendo ‘boccabella’. A parte questo, la donna ha una figura... È una mancata indossatrice offesa al volto dalla brutalità di un mascalzone che ora vive in carcere, in via Spalato. Quanto alle maldicenze cittadine... desideri perpetuati da chi non è capace d’altro.
Una caraffa di Refosco, due calici capovolti tra le dita e Amalia si siede assieme a lui, al solito tavolo.
– Professore, è da un po’ che non la vedo. Mica ammalato? – gli chiede premurosa, sorridendo come può, felice di vederlo.
– No, no, – risponde lui abbassando i baveri del cappotto alzati intorno al collo – ero fuori città per lavoro, – aggiunge consolato dal tepore raggiunto lì dentro e serve lei per prima tintinnando l’amicizia che li lega – la donna impaziente di ascoltare le sue storie, lui di parlarle del suo amore.
– Amalia, sai che nevica, – dice il giornalista eccitato dal colore bianco. – E Gigi? – chiede sorseggiando. – È a casa da una settimana. Quest’influenza trattiene la clientela a letto, professore mio, – risponde allegra – Comunque è quasi un bene, – soggiunge aspirando la voce – se non c’è lui non ce la faccio a portare in qua le damigiane. – E scuote i riccioloni bruni difendendosi la bocca dagli sguardi.
– Màlia! – I due tizi al banco la chiamano. Due occhi appiccicati addosso seguono ondeggiando i suoi passi. Il professore beve crocchiando aromi sul palato e apre il quotidiano. Legge il suo editoriale e rimugina pensieri attorno al vino sfuso che gli accarezza il cuore.
Gigi, il fratello di Amalia, è un levantino che cerca il vino buono di persona; il rosso dalle parti di Faedis, il bianco nel Collio friulano.
Un’occhiata al banco e un cenno lo invita ad aspettare.
Alzando il fondo del bicchiere, lui si ricorda che Gigi qualche anno prima, un pomeriggio di novembre, lo prelevò dalla redazione con la sua Topolino Giardinetta verde chiaro e legno a strisce, diretti alla cantina di un certo Bachèt, vicino a Cormòns.
Si rammenta l’impazienza che Gigi aveva di partire, il cofanetto sul sedile, le spiegazioni circa lo strumento per misurare il grado alcolico del vino, le teorie sull’arte del trattare; finché il guidatore rotolò via in silenzio l’asfalto a buche appendendosi al volante. Lui, invece, sobbalzando il fiato senza parole.
Curve disinvolte e Gigi dimenticava di riposizionare la levetta delle frecce che alternavano sulle fiancate il segnale luminoso, ticchettando dentro l’abitacolo un irritante metronomo a tempo di fox-trot. Dopo una trentina di chilometri dal ’viale della morte’ – era chiamato in questo modo per il via vai dal porto di Trieste a Udine degli automezzi militari inglesi che spesso abbracciavano gli alberi voluti da Napoleone – verso le quattro arrivarono da Bachèt.
La Topolino superò il cancello senza rallentare. Gigi arrestò la corsa con una sterzata stretta, impolverando la porta della casa.
Niente in vista e un cane mostrò il muso dal vano di un gabbiotto, e si rincantucciò senza abbaiare. Il professore sentì la polvere agli occhi e la voce di una donna: “L’uomo è in cantina”, disse la moglie di Bachet, in friulano, e Gigi rise largo incamminandosi con il cofanetto in mano.
Si spalancò un portone ad arco, di legno a doghe maschiate senza chiodi – colore di lucidi marroni e caminetti accesi, e vino stretto tra i denti attorno al fuoco. Una sagoma prestante avanzò dalla penombra. Gigi presentò il compagno. Qualche ruvido ricordo e un artigliere di montagna, appena grigio, prese a dire che quell’anno il vino era speciale, e avanti tra le strettoie degli impalcati delle travi eretti sulla terra nuda, battuta, compensata dai grossi cunei nei livelli per sostenere la fila delle botti.
Un tavolone stagionato dal battere del gioco della ‘morra’, una lampadina sopra per un debole chiarore, due dita spillate nei bicchieri e assaggiarono il bianco – erano lì solo per questo. Gigi roteò il suo, lo annusò, lo aspirò ossigenandolo e lo gorgogliò piano-piano. Bachèt annuiva di lato, sorridendo, per testimoniare la qualità del suo prodotto. Altre due dita e Gigi si ripeté.
– Vero che è buono, professore?
– Altroché, – fece lui convinto.
– Ma dai, professore, è un vinello e basta, – rispose Gigi.
In qua il cofanetto e il levantino tolse il suo strumento. Montò diversi pezzi in ottone, versò un po’ di vino in una serpentina e serrò l’imboccatura con un dischetto a forellini: fuoco allo stoppino. Sei occhi distanziati attorno alla fiammella, zitti!
Pochi istanti e i tre allungarono la fronte verso l’asta di vetro graduata. Bachèt si stropicciò le palpebre. L’attimo di un soffio e Gigi si ritrasse veloce dicendo che quel Tokaj arrivava sì e no a dieci gradi. Un tuono si abbatté sul tavolo. Bachèt rialzò il pugno. L’artigliere ricaricò il colpo fin dietro la nuca; lo trattenne in alto e cominciò a bestemmiare. “Che materiale interessante per i filologi locali”, pensò il professore ascoltando le variazioni estese in ogni dove del creato.
Poi l’artigliere urlò che non era possibile, che la prova della parte zuccherina fatta dopo la vendemmia aveva assegnato non meno di dodici gradi, che lui... Gigi smontò le sue lucide intenzioni e ripose lo strumento. Si spillò un bicchiere fino all’orlo e lo mandò giù senza formalità, offrendo per quel vino centocinque lire al litro.
Iniziò una disputa a suon di numeri: – Centodieci, – diceva Gigi. – Centoquaranta, – l’altro. E dopo una caraffa sul tavolo per calmierare i prezzi, e terminata in fretta, ne seguì un’altra. Ogni tanto, il professore usciva fuori, dietro a un gelso centenario.
Affrontarono ‘il viale della morte’ che era buio; guidava il professore. Gigi dormì per tutto il viaggio. Due damigiane da cinquanta dietro lo schienale portarono in città il primo ettolitro. Il resto... acquistato a centoquindici al litro!
Qualche tempo dopo, la targhetta esposta al banco della mescita “Da Amalia” denunciò che quel vino aveva tredici gradi (prezzo al calice... beh, lasciamo perdere, erano gli anni ’50).

I due tizi se ne vanno. Lei spegne l’insegna. Lui comincia a raccontare. Parte da lontano; procede senza fretta mentre fuori nevica che... fra poco lasceranno le impronte sul tappeto bianco del cortile, saliranno una scala – lei abita di sopra, da sola.
Lunedì, la mescita è chiusa per turno di riposo, la “Patria del Friuli” uscirà senza editoriale.

www.frankspada.eu

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