38esimo episodio - 22 febbraio 2008
newsletter aperiodica senza alcun scopo di lucro
Per le parole e le immagini proposte vengono riportate dettagliatamente le fonti di reperimento, in ottemperanza alla Legge sui Diritti d'Autore del 1994 e successivo decreto legislativo regolamentare n. 68 del 09.04.2003
è gradita la diffusione newsletter purché si rispettino i principi di gratuità e citazione delle fonti
per i numeri arretrati, informazioni ed eventuali commenti: daniele.bottura@libero.it
su skype: daniele.bottura, isole Cayman
mobile +39.348.0971856
C'è sempre qualcuno che va al cinema da solo. Questo qualcuno, di entrambi i sessi, entra in sala appena le luci si spengono ed esce prima che scorrano i titoli di coda. C'è chi dice che è un'esperienza da non fare, quella di andare al cinema da soli, perchè ciò fa inevitabilmente pensare alla solitudine. Per qualcuno è un'abitudine radicata, nè buona nè cattiva. Per altri è una necessità. Il silenzio, la concentrazione, l'isolamento fisico, l'immersione totale nel film, il non dover ascoltare commenti altrui, la possibilità di disporre di entrambi i braccioli della poltrona, di allungare le gambe a destra e a sinistra, un'esigenza di chi vuole assorbire un film senza vicinanze che potrebbero distogliere l'attenzione, a vari livelli.
Il fenomeno è maggiormente visibile nelle sale cinematografiche sopravvissute nei centri storici delle città o nei paesi di provincia, dove in entrambi i casi, spesso vengono proposti film d'essai e non solo "di cartellone", ma ultimamente ho notato che vi sono spettatori solitari anche nelle multisale che frequento. Sta di fatto che chi va al cinema da solo mi ha sempre incuriosito. Per i modi, la delicatezza, l'urgenza di prendersi cura di sè, l'affronto ai luoghi comuni che popolano gli spazi di quello che culturalmente parrebbe essere un ritrovo collettivo.
Ad esempio, non so se la cosa possa dare adito ad un'affermazione come questa, ma ho notato che le persone che vanno al cinema da sole, nel periodo invernale, non si tolgono la giacca durante la proiezione. Forse lo fanno per poter uscire velocemente prima che inizino i titoli di coda senza essere visti, o forse per non attirare l'attenzione del pubblico mentre scorrono le prime scene del film, o forse per qualche altro motivo che ancora non ho decifrato e che continuerò a cercare. Rimango in uno stato di osservazione verso questa categoria di spettatori della quale, sempre più frequentemente, faccio parte.
Ho da poco visto "Into the Wild", film che Seann Penn ha girato dieci anni dopo aver letto il libro pubblicato nel 1996 da Jon Krakauer. Nel libro e nel film viene raccontata la vera storia di Christopher McCandless, giovane benestante che rinuncia a tutte le sicurezze di una vita materiale per rifugiarsi all'interno della natura selvaggia. Il protagonista del film compie un percorso introspettivo alla ricerca della felicità che trovo per alcuni aspetti simile al permanere sull'isola deserta di Tom Hanks nel film "Cast Away". In questo caso la lotta alla sopravvivenza (che provoca non pochi cambiamenti fisici e psicologici nel protagonista) è determinata solo dalla voglia di rivedere, un giorno, la fidanzata; in "Into the Wild", invece, la ricerca della felicità (mediante numerose tecniche di sopravvivenza mischiate ad una determinazione psicologica profonda) coincide, per tre quarti del film, con la necessità di produrre lontananza e separazione dagli affetti familiari del protagonista.
Gli incontri che Chris (Emile Hirsh) farà, gli serviranno solo apparentemente per allontanarsi dalle difficoltà relazionali familiari. In realtà tutte queste conoscenze costituiscono una salita verso una saggezza che esploderà con una tra le tantissime frasi belle del film "happiness only real when shared" (la felicità è reale solo quando è condivisa) che il protagonista scrive, ad un certo punto del suo viaggio, su una pagina di un libro, tra le altre parole stampate che fino a quel momento erano state un suo saldo punto di riferimento.
Quella sera del film "Into the wild", appena ho sentito questa frase, scosso come da un pugno in faccia, ho compreso che il film era terminato. Mi sono alzato dalla poltrona prima che partissero i titoli di coda. Mentre raggiungevo il corridoio di uscita ho sentito che la musica di sottofondo aumentava smisuratamente il suo volume fino ad entrare nella mia testa sottoforma di ritornello ripetitivo. Con la coda dell'occhio ho visto le luci, dietro di me, che si accendevano velocemente. Ho alzato il collo della giacca ed ero già fuori, davanti all'ingresso del cinema. Mi sono acceso una sigaretta e mentre andavo verso la macchina parcheggiata, passo dopo passo, ho messo in fila tutte le parole che non ho detto e le cose che non ho fatto. “Devo scrivere una lettera” ho pensato, mentre tornavo a casa.
Daniele Bottura
P.S. questo numero di MOLTI SOLI viene spedito senza immagini non perché non ve ne siano state da proporre ma a causa di un antivirus molto esigente con il quale non vado ancora d'accordo
I N F U G A ... E R I T O R N O
Quando non può lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l'andatura di cappa che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all'orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l'illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione. Forse conoscete quella barca che si chiama desiderio.
Henry Laborit, Elogio della fuga, Mondadori, 1990 (note bibliografiche in fondo alla pagina)
Non esistono montagne impossibili, esistono uomini che non sono capaci di salirle
Cesare Maestri (note bibliografiche in fondo alla pagina)
Non chiederci la parola che mondi possa aprirti, sì qualche storta sillaba e secca come un ramo... codesto solo oggi possiamo dirti: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo
Eugenio Montale (note bibliografiche in fondo alla pagina)
Segnalo: WWW.ZEROBEAT.IT
Nel sito internet www.zerobeat.it da qualche giorno spicca la notizia (sostenuta dalle immagini di Roberto Lobo Pavani e dalla musica della Compagnia di Arte Drummatica) dell'avvistamento di una colonia di fenicotteri rosa su una spiaggetta del Po a Quingentole. Non ci credete? guardate!
Nel sito troverete anche un video inedito di Emidio Mimì Clementi (voce e testi dei grandiosi Massimo Volume) ed Egle Sommacal (chitarra dei Massimo Volume) durante un laboratorio di scrittura realizzato a Quingentole nell'anno 2000. Qualcuno dei partecipanti al laboratorio sobbalzerà sulla sedia nel sentire le parole di Mimì e nel vedere le immagini e, come me, non vedrà l'ora che il Lobo pubblichi il video totale di quella magica serata.
IL PITTORE E IL PESCE
Domenica 9 marzo alle 17, a Piacenza presso la Galleria d'Arte Moderna Ricci Oddi, s'inaugura l'opera di Carlo Dalcielo Il pittore e il pesce, ispirata all'omonima poesia di Raymond Carver.
L'opera è curata da Bruno Lorini e Giulio Mozzi. Il libro è edito da minimum fax.
Tutte le informazioni nel sito dedicato: ilpittoreeilpesce.wordpress.com
In particolare, la poesia di Raymond Carver: ilpittoreeilpesce.wordpress.com/01-il-pittore-e-il-pesce
Il progetto dell'opera:
ilpittoreeilpesce.wordpress.com/1-il-progetto/
Il trailer dell'opera:
ilpittoreeilpesce.wordpress.com/2008/02/03/il-pittore-e-il-pesce-il-trailer/
Il saggio critico di Gabriele Dadati e Stefano Fugazza:
ilpittoreeilpesce.wordpress.com/03-introduzione-in-italiano/
Il racconto "Carlo non sa leggere" di Carlo Dalcielo:
ilpittoreeilpesce.wordpress.com/05-carlo-non-sa-leggere-it/
Lo storyboard dell'opera:
ilpittoreeilpesce.wordpress.com/2-lo-storyboard/
Lo storyboard in YouTube:
ilpittoreeilpesce.wordpress.com/2008/02/01/il-pittore-e-il-pesce-lo-storyboard/
L'elenco degli artisti partecipanti:
ilpittoreeilpesce.wordpress.com/5-artisti-partecipanti/
PAROLE ERRANTI - CICLO DI INCONTRI LETTERARI
A Ravenna, dal 17 febbraio al 27 aprile, si terrà ParolErranti, un ciclo di incontri con la scrittura e la musica delle migrazioni. Organizzato dall'associazione Città Meticcia di Ravenna ParolErranti sarà l'occasione per scoprire la nuova letteratura italiana ad opera di autori di origine straniera che hanno scelto la lingua di Dante come veicolo di espressione. Accompagnati da musicisti, strumenti e suoni giunti in Italia grazie all'immigrazione. Tutti gli incontri, a ingresso gratuito, si terranno di domenica, alle 17.30, nei locali del Mama's Club di Ravenna, in via San Mama 75 Ravenna. (info: c.meticcia@racine.ra.it)
PROGRAMMA:
Domenica 2 marzo
Mihai Mircea Butcovan (Romania)
con Francisca Alecu al violino (Romania)
Domenica 16 marzo
Nader Ghazvinzadeh (Italia/Iran)
con Hossein Mohammadzadeh al dotar (Iran)
Domenica 30 marzo
"Le scimmie verdi", spettacolo teatrale
di e con Daniele Barbieri e Hamid Barole Abdu (Italia - Eritrea)
Domenica 13 aprile
Adriàn Bravi (Argentina)
con Jorge Valdano al bandoneon (Argentina)
Domenica 27 aprile
Marisa Iannuzzi (presidente Lega islamica femminile europea)
con Belaid Houcine al mezoued (Tunisia)
NOTE BIBLIOGRAFICHE DEL NUMERO 38 DI MOLTI SOLI:
Henri Laborit (Hanoi, 21 novembre 1914 – Parigi, 18 maggio 1995) è stato un biologo, filosofo e etologo francese.0Laborit ha diretto la «Revue d’agressologie» dal 1958 al 1983. Per tutta la vita ha dimostrato uno spirito curioso e anticonformista senza mai lasciarsi facilmente etichettare come parte di qualsiasi movimento. Si deve a Laborit l’introduzione della clorpromazina che nel 1952 fu il primo farmaco neurolettico usato per il trattamento della schizofrenia. Prima ancora, nel 1951, egli si era dedicato allo studio dell’ibernazione. Negli anni ’60 i suoi studi definirono l’effettiva importanza delle cellule della glia o gliali e del ruolo giocato nell’organismo dai radicali liberi. All’inizio degli anni ’60 è il primo a sintetizzare il gamma-idrossibutirrato o GHB Nel 1969 gli studenti di urbanistica dell’università di Paris VIII che era appena stata creata, lo invitarono ad animare un gruppo di ricerca congiunta in campo urbanistico e biologico che andò avanti fino al 1974. Con il suo libro La nouvelle grille (1974) rese note al grande pubblico le sue idee sulla biologia comportamentale trovando buona accoglienza nel contesto favorevole del post-68. Il suo lavoro sul condizionamento è alla base del film Mon oncle d’Amérique diretto da Alain Resnais nel 1980. Attraverso una serie di esperimenti con i ratti Laborit aveva sviluppato una teoria basata sul concetto dell’inibizione dell’azione, dimostrando che in condizioni di estremo stress i ratti isolati producono somatizzazioni, per esempio sotto forma di ulcere. Nella sua carriera Laborit ha vinto il premio Albert Lasker per la ricerca medica nel 1957, la medaglia dell'Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1972 e il premio Anokhin nel 1981 ed è stato candidato per il premio Nobel. Gli è stato dedicato un ospedale nella città di Poitiers. Sua nipote è l'attrice francese Emmanuelle Laborit. (tratto da Wikipedia.it)
Cesare Maestri (nato a Trento il 2 ottobre 1929) è guida alpina dal 1952, maestro di sci, giornalista e scrittore; conosciuto anche con l'appellativo di "Ragno delle Dolomiti", è uno degli alpinisti più famosi al mondo. Un terzo dell'attività alpinistica di Cesare Maestri, svolta nel corso degli anni '50 è stata portata a termine in solitaria, ed escludendo alcune vie in artificiale, sempre in "libera" e sempre e comunque senza alcuna auto-assicurazione in parete. Maestri ha percorso in salita e in discesa tutte le “classiche” delle Dolomiti, la quasi totalità delle vie del Gruppo del Brenta fra il I ed il IV grado, è stato il primo alpinista al mondo a scendere in arrampicata libera solitaria pareti di VI grado.
Ha al suo attivo circa 3000 salite e discese delle quali circa 1000 in solitaria e completamente in libera. Tra le sue imprese “solitarie” vanno ricordate la via Dibona al Croz dell'Altissimo (1952), la via Comici al Salame del Sassolungo (1952), la via Solleder in Civetta (1952), la via delle Guide sul Crozzon di Brenta (1953), la via Trento (Detassis) alla Brenta alta (1953), la via Soldà al Pilastro sud della Marmolada di Penia (1953), la traversata dalla Cima d'Ambièz alla Bocca del Tuckett concatenando in solitaria 16 cime della catena centrale in meno di 24 ore (1954), la Vinatzer al Sass de Luesa (1955), la via Oppio al Croz dell'Altissimo (1955), la via delle Guide al Crozzon in discesa (1956), lo spigolo nord del Cimon della Pala in prima solitaria invernale (1956), la via Micheluzzi al Piz Ciavazes (1956), la via Solleder al Sass Maor (in discesa), la via Buhl e la via Maestri-Baldessari (in discesa) alla Roda di Vael, le nuove vie aperte tra il 1964 ed il 1966 in Brenta su Cima Grostè, Cima Campiglio, Cima Massari.
Maestri ha preso parte alla prima spedizione trentina in Patagonia nel 1958 quindi ha organizzato spedizioni alpinistiche in Africa e in Argentina, dove ha conquistato nel 1959 il Cerro Torre, considerato una delle pareti più difficili del mondo per le particolari condizioni ambientali: nel 1959 dalla parete nord insieme a Toni Egger. Il tentativo del 1970 al Torre lungo la Cresta sud est con Carlo Claus e Ezio Alimonta gli vale poi molte critiche dai puristi, in quanto utilizza una chiodatura mediante un trapano alimentato da un generatore a benzina; la via verrà poi soprannominata "Compressor Route", ma non sarà completata per via del ghiaccio che incombeva dall'alto. Per meriti alpinistici il Club Alpino Italiano (CAI) gli ha conferito l'onorificenza di Socio Onorario. Per meriti umanitari e sportivi è stato insignito della onorificenza di Cavaliere della Repubblica Italiana e dell'Ordine del Cardo. Insignito della Medaglia di bronzo al valor civile, nella sua città natale è stato premiato con la massima onorificenza cittadina. Da 40 anni Cesare Maestri vive a Madonna di Campiglio dove svolge la professione di guida alpina con una particolare attenzione alla educazione alpinistica e ambientale dei più giovani. Da sempre si batte per il rispetto dell'ambiente e per la realizzazione di un turismo che sappia creare e assicurare posti di lavoro, pur contenendo i costi ecologici e la speculazione. Ha collaborato e collabora con editori nazionali ed esteri e con diverse testate giornalistiche.
Membro del “gruppo italiano scrittori di montagna”, ha pubblicato diversi libri di successo:
Lo Spigolo infinito - Manfrini 1956
Arrampicare è il mio mestiere - Garzanti 1964
A scuola di roccia - Garzanti 1970
Il Ragno delle Dolomiti - Rizzoli 1973
2000 metri della nostra vita - Garzanti 1973, vincitore del Premio Bancarella sport 1974 (scritto insieme alla moglie Fernanda)
E se la vita continua… - Baldini & Castoldi 1996, vincitore del Premio Gambrinus
Estratto da http://it.wikipedia.org/wiki/Cesare_Maestri
Eugenio Montale nasce a Genova nel 1896 da un’agiata famiglia della media borghesia (il padre è titolare di una ditta importatrice di prodotti chimici). Trascorre gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza fra Genova e Monterosso, nelle Cinque Terre, dove i Montale possiedono una villa. Nel 1917 porta a termine gli studi di ragioneria, più brevi e meno impegnativi dei lunghi studi classici, che i suoi genitori hanno preferito a causa della salute malferma del piccolo Eugenio. Montale comincia anche a prendere lezioni di canto dal maestro Ernesto Sivori (vuole diventare baritono) e a frequentare assiduamente la Biblioteca comunale, ponendo le basi di una cultura vastissima, perseguita per lo più da autodidatta, con la sola “guida” della sorella maggiore Marianna (iscrittasi, nel 1916, alla Facoltà di Lettere), appassionata studiosa di filosofia. Nello stesso anno viene chiamato alle armi: frequenta il corso di allievi ufficiali a Parma, dove tra altri letterati e scrittori conosce Sergio Solmi, il quale lo introdurrà poi nell’ambiente degli intellettuali torinesi raccolti intorno a Pietro Gobetti. Viene inviato al fronte in Trentino, prima a Valmorbia e poi a Rovereto. Al finire della guerra comanderà il campo di prigionia di Lanzo Torinese. Congedato nel 1918, fa ritorno a Genova, e qui entra in amicizia con il poeta Camillo Sbarbaro, con Angelo Barile, con Adriano Grande e con altri esponenti della vita letteraria e culturale della città. Nel 1922 collabora a «Primo Tempo», rivista torinese di Giacomo Debenedetti e Sergio Solmi. Nel 1925 collabora anche alla rivista di Piero Gobetti, «Il Baretti». Nello stesso anno firma il Manifesto degli Intellettuali Antifascisti di Giovanni Amendola e Benedetto Croce. Conosce Roberto Bazlen, singolare figura di letterato triestino culturalmente aggiornatissimo, il quale fa conoscere a Montale le opere di Svevo: sono proprio gli articoli montaliani sulla narrativa sveviana pubblicati fra il 1925 e il 1926 a dare inizio alla fortuna critica italiana ed europea di Svevo. Dopo la morte tragica, nel 1926, di Piero Gobetti, esule a Parigi per le persecuzioni fasciste, stringe amicizia con Italo Svevo, con il quale intratterrà un importante carteggio. A Trieste, ospite di Svevo, conosce Umberto Saba. In quell'anno collabora ad importanti riviste come «Il Convegno» e «La Fiera letteraria». Assunto nel '27 come redattore della casa editrice fiorentina Bemporad, deve quindi trasferirsi a Firenze, in quegli anni vera capitale culturale della nazione. Nel '29 diventa direttore della Biblioteca del Gabinetto Vieusseux fino a quando è allontanato dall’incarico perché si è rifiutato di prendere la tessera del Partito fascista. Questi anni sono caratterizzati da una straordinaria intensità di rapporti umani e culturali: assiduo frequentatore delle “Giubbe Rosse”, il caffè punto d’incontro degli intellettuali fiorentini, Montale conosce, fra gli altri, Elio Vittorini, Carlo Emilio Gadda, Salvatore Quasimodo, Arturo Loria, Guido Piovene, Gianna Manzini e i critici Giuseppe de Robertis e Gianfranco Contini. In quegli anni collabora a «Solaria», la rivista di Carocci, Ferrara e Bonsanti e a «Pegaso», di Ojetti, Pancrazi e De Robertis. Conosce numerosi scrittori come Vittorini, Gadda, Loria e Drusilla Tanzi, la “Mosca”, che diventerà poi sua moglie (allora era moglie del critico d’arte Matteo Marangoni). Nel '37 è allontanato dal Gabinetto Viesseux. Collabora a «Campo di Marte» di Gatto e Pratolini e a «Letteratura» di Bonsanti. Dopo l'8 settembre del '43, si iscrive al Partito d'Azione e lavora per il Comitato Nazionale di Liberazione toscano; nel '45 fonda, con Bonsanti, Loria e Scavarelli, il quindicinale «Il Mondo», che diresse per due anni. Nel '48, dopo un periodo di collaborazione alla «Nazione», si trasferisce a Milano, dove lavora come redattore al «Corriere della Sera» (cui ha cominciato a collaborare nel 1946) e critico musicale del «Corriere dell’informazione». Nel 1967 è nominato a senatore a vita. Nel 1975 ottiene il premio Nobel. Aveva già ricevuto la laurea honoris causa dalle Università di Milano e di Roma. Fino agli ultimi anni continua a vivere, solo (la moglie era morta già nel 1963), a Milano, città che prediligeva perché anonima e discreta. Muore il 12 settembre 1981. (tratto da Cronologia.it)
Nessun commento:
Posta un commento