sabato 1 dicembre 2007
Su Un tempo necessario di Monique Pistolato
Edizioni La Meridiana, 2007
recensione di Francesco Tomada
Ho conosciuto Monique Pistolato quasi due anni fa, ad un incontro per presentare Un’altra stanza in laguna, il suo precedente libro di racconti. Una donna minuta, dolce, timida, in apparenza mi verrebbe da dire inoffensiva; così ho pensato di lei e della sua scrittura nei primi momenti, se non fosse che quella scrittura non me la sono più tolta di dosso. È capacità di pochi quella di saper reclamare attenzione senza gridare, ma con il solo nudo peso delle parole, che diventano dolci o taglienti, che si aprono a squarci improvvisi di delicatezza o di asprezza. Davanti a questo si è impreparati e indifesi.
Ho letto e riletto Un tempo necessario, stavolta già aspettandomi in qualche modo quello che sarebbe successo, ma ugualmente è successo. Una raccolta diversa, tredici racconti che in qualche modo ruotano tutti attorno allo stesso tema, la/le scelte che cambiano la vita quando questa può ancora essere cambiata. Al tempo stesso la varietà delle storie e dei personaggi riesce a non dare mai l’impressione di qualcosa di costruito a tavolino, quanto piuttosto quella di un libro che ha trovato la propria collocazione ed il proprio titolo dopo, dopo essere stato scritto, pensato e atteso. Immagino che la scrittura di Monique sia un processo lento, non per costruzione, quanto perchè richiede tempo per venire a galla o scendere sul fondo, sedimentare.
Per me l’idea stessa del racconto si identifica adesso con questa scrittura: storie brevi e varie, uno stile leggero ma che costringe chi legge a prestare attenzione, la capacità di scavare con poche frasi dentro agli aspetti più nascosti dei personaggi, e di una realtà che spesso viviamo anche noi, ma non con la stessa attenzione. Così qui c’è da imparare.
E poi, ci sono le storie e la storia che si incontrano con una naturalezza disarmante. Non so se l’adolescenza (o la post-adolescenza) siano il pretesto per parlare della strage di Bologna, dell’uranio impoverito, delle stragi del sabato sera, del malessere strisciante e nascosto dentro alle nostre famiglie, o se sia il contrario. Ma per come il piano privato e quello sociale si intersecano la grande storia appare come una compresenza di piccole storie, ricostruite con una lucidità che passa con lo stesso affetto impietoso dal piano personale a quello collettivo.
E, infine, la poesia, le frasi messe lì quasi per caso che aprono gli orizzonti o le “virgole di primavera”. Il bisogno di fermarsi, di rileggere questa scrittura che è un dono.
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