venerdì 30 novembre 2007

Parola e immagine 5

di Bernardo M. Gianni



Baokang-Cina Giugno 2007 (REUTERS)

«La responsabilità, ed intendo la responsabilità nel senso più ampio e più profondo della parola, quindi “la responsabilità per il mondo”, è una delle caratteristiche umane più interessanti e al contempo più misteriose. Tutti sappiamo cosa significa questa parola e nessuno sa da dove proviene. La responsabilità non è una caratteristica qualunque tra le caratteristiche umane. La psicologia o le altre scienze non sono sufficienti in questo campo. Essa infatti le eccede, non si riferisce solo al nostro ambiente circostante, non è quindi un mero riguardo a cosa penserà la gente. Ma è fatalmente legata a ciò che è “oltre” ogni “oltre”: all’assoluto, all’intera memoria dell’esistenza, all’ultimo e supremo giudizio, al senso di tutto ciò che esiste. La sola cosa importante per la nostra responsabilità è quale traccia lasceremo. Tutto il resto è superfluo».
Scritte da Václav Havel, il grande poeta, drammaturgo e statista ceco, queste parole in modo del tutto speciale pertengono a noi che vorremmo essere attenti e costanti «uditori della Parola» (Rahner), chiamati cioè a testimoniare l’amore e la speranza nell’orizzonte di una fede generata dall’ascolto di quel Dio che parlando e chiamando crea il cosmo e guida l’uomo (cfr. Rm 10,17; Gn 1,1-31 e 12,1-4). È per questo che la nostra stessa vita, con la sua quotidiana trama di gesti e di parole, pare costantemente interpellata perché esprima la misura, possibilmente infinita, della nostra responsabilità, intesa anzitutto nel suo significato etimologico più radicale: risposta libera e creativa all’appello di quel Dio che creando è in attesa di un’umanità che corrisponda, in feconda e operosa armonia con tutta la creazione, al disegno di bello e di bene inscritto dalla Provvidenza nella nostra storia. Ecco la ragione per cui «“oltre” ogni “oltre”» ritroviamo il gesto inaugurale del Signore che, nel racconto della Genesi, ci colloca in un giardino perché l’uomo, coltivandolo, eserciti così –mirabile e responsabile corrispondenza!- una saggia e rispettosa custodia del creato (cfr. Gn 2,8-15). La nitida bellezza e la fruttuosa bontà della creazione sono state infatti chiamate ad essere il segno incontaminato e affidabile dell’inderogabile alleanza offerta da un Dio risolutamente appassionato di noi tutti (cfr. Gn 9,8-17). Al contrario, troppo spesso sottratto all’orizzonte ultimo della giustizia e della gratuità del Signore, il giardino della creazione viene mortificato dalla nostra egoistica idolatria, sottomesso al nostro contingente interesse e quindi sfruttato, vilipeso e contraffatto. La Parola di Dio ci richiama invece non solo alla riconsegna ultima di quanto ci è stato affidato, come tante parabole in bocca al Signore Gesù avvertono, ma anche a quella trasmissione di generazione in generazione che possa, anziché adulterare, tener fede a quel disegno primigenio di vita e di salvezza (cfr. Sap 1,14-15) con cui Dio stesso ha immaginato e permesso la signoria dell’uomo nel mondo (cfr. Gn 1,28). Che la nostra traditio dunque non solo non si interrompa, ma soprattutto accolga, ristori e riconsegni, con lungimirante e appassionata responsabilità, il bello e il buono ricevuto, e finalmente preservi dal male quanto già reso opaco dall’idolatria dei giorni presenti, quasi che questi non fossero il frutto di un passato e la promessa di un futuro, anzi la vivida profezia di una traccia «“oltre” ogni “oltre”»:

Che questa luce d’evidenza
non si spenga
come il cielo nella pozza priva d’acqua.

Che questo mondo rimanga
com’è stasera,
fermo nella sua trasparenza,
che altri possano cogliere
questo frutto, il suo quieto sapore.

Che questo mondo rimanga
e nella sala vuota entri
per sempre la polvere della sera estiva,
il suo brillio sospeso nell’aria.

Che sul sentiero colpito dalla luce
scorra l’acqua di una pioggia breve,
col suo suono sottratto al tempo.


Antonio Prete (da Yves Bonnefoy)

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