mercoledì 12 dicembre 2007
Mostra di Enzo Bellini a Museo d'Arte Moderna e Contemporanea
ENZO BELLINI E LA SUA ARTE
in mostra al MUSEO D’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA “CA’ LA GHIRONDA”
di Ponte Ronca di Zola Predosa (BO)
Presentato dal Prof. GIORGIO CELLI
Domenica 16 dicembre – ore 16 - inaugurazione
La mostra è visitabile dal 17 dicembre 2007 al 19 gennaio 2008.
Per info: tel.051.737419, www.ghironda.it
Servizio a cura di Davide Argnani (v. anche qui)
Dopo il grande successo della mostra antologica di questa estate nei Magazzini del Sale di Cervia e di quella autunnale organizzata dal Comune di Galeata nelle sale del Museo Mambrini di Pianetto, ora l’opera di Enzo Bellini si trasferisce a Bologna, nello Spazio Atelier del Museo d’Arte Moderna e Contemporanea della Fondazione ‘Cà la Ghironda’, una importante e originale Area Museale che ha sede a Ponte Ronca di Zola Predosa. L’inaugurazione della mostra (con il patrocinio degli Assessorati alla Cultura del Comune di Zola Predosa e della Provincia di Bologna) è per domenica 16 dicembre, alle ore 16. L’Artista e il prof. Giorgio Celli, noto entomologo e curatore delle mostre presso lo Spazio Atelier, intratterranno il pubblico con una gradevole e originale performance critica e illustrativa dedicata al tema “Arte e Natura” nell’opera dell’artista romagnolo. Ormai sono più di quarant’anni che Enzo Bellini lavora e amalgama materia e tecniche diverse, da grande maestro. Dall’incisione, al disegno, alla serigrafia, al paesaggio a olio o acrilico, ciò che caratterizza di più il lavoro di questo artista è la profonda sensibilità con cui interpreta e vive l’anima della realtà. Quello di Bellini è un linguaggio tutto particolare, lontano dalle mode l’artista sa esprimere e incidere il senso del nuovo senza bisogno di ricorrere a estravaganti modulazioni linguistiche. Ai frastuoni della civiltà del rumore e delle macchine, contrappone il mondo della natura e degli animali. È senz’altro un simbolismo provocatore ma non è mai uno specchio comodo per nascondere il proprio sentimento di uomo. L’artista ci dice che la vita è questa, quella che ha ancora la cadenza del tempo, delle stagioni, delle effervescenze e delle gioie che non sanno smentire il senso della vita in tutti i suoi nèssi. Il simbolismo grafico di Bellini è espressione concreta contro quella manipolazione artificiale e invadente del bailamme postmoderno che cancella l’uomo, sopprimendone l’indole e l’essenza: si può pensare al paradosso per cui l’arte di Bellini predilige rimanere a colloquio con gli animali e la sostanza inalterabile della natura per resistere alla finzione della realtà confusa che l’uomo contemporaneo ha creato per dare sfogo al proprio egoismo. Insomma, per dirla con Giorgio Celli, si tratta proprio di un’Arca della gioia, perché “l’universo pittorico di Bellini è un inno, un ditirambo alla gioia di vivere. Guardare i suoi quadri significa affacciarsi alle finestre della felicità”. Enzo Bellini è nato a S. Sofia di Forlì nel 1932. Diciannovenne, a Torino frequenta lo studio dei pittori Aloisi e De Cavero. Tornato a S. Sofia opera per diversi anni nell’ambito del premio “Campigna”. Agli inizi degli anni ’60 si trasferisce a Milano dove trova impiego, in qualità di pittore realizzatore, presso il laboratorio di Scenografia del “Piccolo Teatro della Città di Milano” diretto da Giorgio Strehler. A Milano allestisce la sua prima personale alla Galleria La Nuova Sfera ottenendo subito grandissimo successo e l’attenzione dello storico dell’arte Raffaele De Grada.
Il segno delicato, puro e soffice, senza sbavature né retorica, sgorga vivo in ogni paesaggio, sia quello a olio dai trasparenti colori, sia quello raffinato in bianco e nero delle chine o del bulino. Considerando il profondo legame atavico con madre terra, l’arte di Bellini va vista e interpretata anche con una chiave di lettura comparativa, freudianamente ingombrante, ma che svela in maniera chiara il perché di tutto quel sentimento naturale senza farne mai un teatro della natura. Perché? Si capisce bene fin dalle sue prime opere e dalle sue scelte permanenti, di stile e di concetto. Questo artista non sceglie l’arte come “principio di piacere”, come direbbe appunto Freud, ma piuttosto quello del rapporto intellettuale, etico-politico, tra realtà e natura. Nato e cresciuto a contatto con la terra, i boschi, l’acqua dei fiumi e la natura sanguigna e più autentica del popolano dalle tradizioni secolari, Enzo Bellini contrappone l’amore essenziale per la natura alla civiltà delle macchine con la consapevolezza che l’arte non può essere solo bel canto. Tutto è chiaro nei suoi segni. I paesaggi a olio, ben densi di colore, mettono in evidenza il temperamento magmatico di un uomo che sa ribellarsi all’utopia dell’omologazione e di un artista che non si lascia confondere dalle mode come ben dimostra soprattutto nella grafica. In primo piano animali, frutti di bosco, oggetti domestici. Una panca, una roncola, un cesto, una siepe o uno steccato di legno, una piccola figura umana a limitare il contrasto del paesaggio con la diversità del mondo: quello intimo e quello lontano dello spazio che si vorrebbe ghermire. Il bulino mosso dalla mano magica dell’artista scava con solerzia la durezza di una lastra vigorosa, mentre il pennino traccia linee, contrasti, luce e immagini seguendo l’ispirazione di un tracciato delicato e ben delineato. Incisioni, chine, serigrafie hanno tutte la compattezza e la morbidezza di un gesto puro e concreto, in ognuna delle quali pulsa la costante energia della vita. Da dove sorge tutta questa luce che rende vivo ogni animale, ogni albero, ogni figura umana, ogni filo d’erba, ogni oggetto? Come si accennava prima l’arte di Bellini non è fatta per incantare o per decantare la bellezza o il sogno di un bel paesaggio. Sarebbe tutto un inganno se ci lasciassimo prendere da questi elementari godimenti e sarebbe un torto alle sue intenzioni, bisogna pensare anche a un’altra chiave di lettura. Quella essenziale del suo contrapporre i valori della vita alle insensatezze umane. In una sua intervista di alcuni anni fa, chiedendogli perché la sua arte contenga, come simbolo principale, la memoria della civiltà contadina, lui rispondeva: “Perché considero la civiltà contadina l’antesignano di tutte le altre. Credo che questa civiltà sia stata il traino per cui siamo arrivati all’attuale stato di benessere. Mi sembra ingiusto dimenticarcene, perché il Superfluo, nel suo mondo, non esisteva”. La civiltà contadina non esiste più, ma ecco allora il risvolto di un sentimento che l’artista vuole trasmettere attraverso allegorie e scelte ben precise. La contestazione di Bellini diventa evidente nel momento stesso che, con il suo lavoro così apparentemente pacato ma dalle linee e dai segni ben incisi e temperati, dimostra quanto il cammino dell’uomo spesso resti autoconsolatoria aspirazione, arrogante e autodistruttiva, infatti le caratteristiche dell’uomo restano sempre quelle dell’inquietudine e della rivalità. Come cornacchie litiganti, gazze ladre o rapaci falchi, il simbolismo di Bellini è quello della discordanza come quello della conciliazione, senza consolazioni, specchio naturale della vita fin dai tempi primitivi. Troviamo questi elementi nella particolare composizione delle sue tavole, così bene impastate di colori cristallini con olio o acrilico, la puntasecca o la china, l’incisione o la serigrafia e il mondo si fa vivo in composizioni scattanti e animate dal mondo animale e vegetale e nelle quali, come scriveva Alberico Sala, “luoghi, creature, persone…” diventano “incanti lirici virgiliani… e da un minuscolo zufolo, una panica canna,… la musica si può carpire, nel silenzio delle colline, come quella dei giorni frequentati dagli dei”. Allora l’estro dell’artista capovolge ogni regola e, lontano da ogni viscerale espressione naìff, inventa una propria coscienza immettendola dentro segni e significati precisi. La purezza e la ribellione allo stesso tempo sono condizioni di pensiero e di scelte. Per poterle meglio delineare l’artista trova un nuovo artificio congeniale. Un lenzuolo bianco di neve sul quale incidere figure e paesaggi, orme di cose e animali nel pieno fulgore della luce e della nitidezza chiara delle idee e delle scelte di vita. Un artista insomma che non è solo pittore di immagini ma è soprattutto incisore di pensieri e di scelte, stilistiche e di contenuto. Il candore della neve è però anche segno di precarietà. È scontato che la neve si disfa al primo tepore primaverile, ma questo lenzuolo bianco l’artista lo usa per dare luce e rilievo al mondo interiore delle idee in contrapposizione con il mondo dell’apparenza. Cosa c’è di più reale di un animale, di una pianta, di un uccello rapace, di un fiore o di una figura umana connaturata allo stesso paesaggio? Bisogna rendersi conto che, in fin dei conti, l’arte di Bellini s’avvale sì di simboli, ma soprattutto va alla continua ricerca della purezza e della verità. Nelle modulazioni di bianchi e di neri, nei contrasti di luce e di colori diluiti qua e là sui pendii ondulati delle colline, c’è una autentica tridimensionalità di simboli e di sentimenti. Osservando attentamente ogni opera e ogni suo particolare, sia una figura animale o umana, un oggetto, o una tonalità di colore, la bellezza e l’importanza di queste opere sta nel risvolto anticonsolatorio della materia che l’artista macina e amalgama per dare forma e consistenza a un senso di ribellione o di contrapposizione alla ruvida realtà, ma sempre con la pacatezza e la sensibilità stilistica ed evocativa di un raffinato suggeritore di una ben precisa scala dei valori della vita.
Enzo Bellini nasce a S. Sofia di Forlì, il 9 settembre 1932. Fin da ragazzo dimostra spiccata attitudine per il disegno. Inizia giovanissimo sotto la guida del pittore santasofiese Innocente Biserni, suo primo maestro, ad accostarsi al mondo dell’arte. Diciannovenne, a Torino frequenta lo studio dei pittori Aloisi e De Cavero. Oltre alle norme accademiche di pittura ed incisione, apprende nozioni di disegno pubblicitario e illustrazione. Tornato a S. Sofia opera per diversi anni nell’ambito del premio “Campigna”. Agli inizi degli anni ’60 si trasferisce a Milano. Nei primi anni disegna copertine per libri e dischi ed esegue decorazioni per arredamento. Poi trova impiego, in qualità di pittore realizzatore, presso il laboratorio di Scenografia del “Piccolo Teatro della Città di Milano”, dove rimarrà per oltre quattro anni. Nel 1972 allestisce la sua prima personale alla Galleria La Nuova Sfera, presentando disegni in inchiostro di china ed incisioni all’acquaforte. Ottiene subito grandissimo successo e lo storico dell’arte Raffaele De Grada lo segnala sul Catalogo Bolaffi per la grafica. Da allora Bellini si dedica esclusivamente alla pittura ed al disegno raccogliendo, nelle moltissime mostre allestite (circa un centinaio in Italia e in vari paesi europei), innumerevoli successi ed importanti riconoscimenti in Italia e all’estero. Fra le sue numerose mostre personali ricordiamo alcune fra le più importanti: Milano 1974 (Galleria La Nuova Sfera); Venezia 1976 (Galleria dell’Incisione); Genova 1977 (Galleria XX Settembre); Ginevra 1978 (Galerie Dedale); Berna (Atelier Berger); Firenze 1981 (Inclub ‘Bianco & Nero’); Torino 1986 (Galleria Berman); Cagliari 1988 (IV Biennale Internazionale Sarda); Bagnacavallo 1988 (Centro Culturale Polivalente); Sofia 1989 (Centro Culturale Polivalente); Losanna 1991 (Galleria Pomone); Forlì 1995 (Palazzo Albertini); Spagna 1997, Las Palmas de Gran Canaria; Torino, Artissima – Lingotto; Amsterdam 1999, Wasa Galleria; Venezia 1999, Galleria d’Arte S. Stefano.
Della sua opera si sono occupati i più importanti critici italiani e stranieri, fra cui: J. Jacques Berger, Liana Bortolon, Rossana Bossaglia, Domenico Cara, Antonio Carbé, Fabio Cavallucci, Maurizio Corgnati, Luca Crippa, Raffaele De Grada, M. De Micheli, Tino Della Valle, Luciano Foglietta, Carlo Franza, J. Michel Gard, Paul Kleim, Davide Lajolo, Paolo Levi, Philippe Pathonnet, Furio. Romualdi, Alberico Sala, Claudio Spadoni, Vero Stoppioni, Q. Secchioni, Bepi Zancan, Carlo Munari, Angelo Dragone, Angelo Mistrangelo.
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