mercoledì 17 gennaio 2024

Il Gepe: Una storia d’amore

di Giuseppe Callegari


Mi chiamo Giuseppe, ma sono conosciuto come “il Gepe”. La mia vita si è snodata sulla strada fra escavatrici, bitumi e asfalti. Ho fatto solo la Terza Media, ma le conoscenze che ho del mio lavoro avrebbero meritato, non dico la laurea honoris causa, ma almeno un diploma pergamenato con lode.  Infatti non ho lavorato per vivere, ma ho vissuto per il lavoro. 

Avevo una piccola impresa e quando l’ho chiusa per raggiunti limiti di età le mie conoscenze hanno attratto una grossa ditta del settore che ha richiesto la mia collaborazione. Il boccone era troppo ghiotto e non ho potuto esimermi dal commettere un peccato di gola.

Questo non significa che abbia trascurato la mia vita privata e soprattutto la donna che amo: un raggio di sole che da cinquant’anni illumina il mio cammino quotidiano e, lo dico senza pudore, indirizza la mia vita. L’ho conosciuta che aveva 17 anni e abbiamo fatto le cose in fretta perché è rimasta incinta e pochi mesi dopo il matrimonio è nato un figlio che ha completato il nostro progetto di vita. Insieme partecipavamo alla sua crescita e lui ci ripagava fondendosi con noi. Non amava particolarmente lo studio ed era attratto dal mio lavoro. Aveva solo 14 anni, quando ho cominciato a poter contare su di un bravo assistente pagato con l’affetto.

Però la nostra favola non prevedeva il lieto fine e una sera, all’alba dei suoi 18 anni, il motorino, un “Ciao”, per una tragica ironia della sorte, diventa il suo addio.  

Consapevoli della sua generosità abbiamo donato gli organi e poi le nostre mani hanno cominciato a stringere solo lo strazio del ricordo e l’impotente rabbia di chi viene sadicamente derubato del frutto del suo amore.

Un amore che non è stato scalfito perché non abbiamo vissuto il dolore isolandoci, ma l’abbiamo messo in comune, l’unico modo per dare un senso all’incomprensibile e fornire nuova linfa a gesti che sembrano aver perso ogni significato.

Lei si dedica alla casa, io continuo col mio lavoro e questi due momenti non sono diventati isole non comunicanti, sovrastate da un insormontabile iceberg, ma costituiscono due barchette fluttuanti sulle onde del mare che però si ritrovano puntualmente nella baia di una condivisa quotidianità.

Lei è maniaca della pulizia , ma questo non mi disturba perché sono spesso fuori. Infatti, oltre il lavoro, amo andare al bar e ad uscire con gli amici. Lei non mi chiede spiegazioni, né esprime petulanti pretese perché è consapevole che l’amore non è un nido inaccessibile e non si può imprigionare. Addirittura per realizzarsi pienamente  deve entrare in comunicazione col mondo attraverso l’apertura di strade che ci trasforma in esploratori capaci di navigare in una ragnatela di relazioni ed emozioni.

Sappiamo che l’amore non è quello dei baci, delle carezze, delle moine, ma si esprime nel potersi fidare dell’altro e nel mantenere in vita il gioco della complicità fra “l’uno e l’altro”. Ad esempio, se mi alzo all’alba per andare in bagno devo comunicarglielo perché, se mi dimentico, rischio di trovare il letto rifatto e le finestre aperte.  

Fin dal primo momento in cui ci siamo conosciuti “l’uno e l’altro” si sono   trasformati nel “noi”, un passaggio che ci ha permesso di affrontare l’innaturale perdita di chi avrebbe dovuto custodire il nostro ricordo.

E continuiamo ad amarci: lei con lo straccio per sconfiggere una impercettibile polvere e io con l’utopica missione di rendere meglio percorribili le strade.



Giuseppe Callegari

Grazie di Curtatone (MN)

capogiuseppe18@gmail.com

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