giovedì 7 dicembre 2023

Un racconto di Natale

di Barbara Magalotti


Beh… diciamo che non è proprio una storia alla Miracolo sulla 34° strada, Mamma ho perso l’aereo o il classico Una poltrona per 2 guardata al calduccio, in pigiama sul divano, mangiando il panettone… ma è una storia molto intensa, per la quale nutro il sogno di un finale diverso da quello “stabilito” dal copione… 

Qualcuno di voi ricorderà la storia di Paolita, una bambina come tante altre, nata e cresciuta con il padre detenuto al carcere San Pedro di La Paz, insieme ad altri 3 fratelli e 1 sorella più piccola. La madre era detenuta nel carcere femminile e veniva al San Pedro una volta alla settimana in visita al compagno e i figli grazie ai permessi per ricongiungimento familiare… Durante queste visite il padre e la madre di Paolita si dedicavano felicemente al consumo di alcol e droghe e a sesso promiscuo, insieme ad altri allegri “compagni e compagne di merende e festini”, noncuranti dei bambini che magari erano sul materasso in un angolo della cella a dormire (o… a far finta di dormire e a pregare che nessuno si accorgesse di loro…). L’unico punto di riferimento per Paolita era il “Centro Alegria” della sezione San Martín, dove lei passava le sue giornate, cercando di stare più tempo possibile fuori dalla cella del padre, e quando ha iniziato a frequentare la scuola, era il posto dove, attraversate le sbarre del carcere per “tornare a casa”, andava direttamente a fare i compiti e le attività proposte dalle educatrici di Laboratorio Solidale…  

Ce la siamo presa a cuore un po’ tutti, la nostra Paolita (e tutti i suoi fratelli), anche e soprattutto quando ha avuto seri problemi di salute (trascinati per settimane, perché i genitori erano in una totale impossibilità a fare qualunque cosa) e, vedendola deperire giorno per giorno, lamentarsi per il dolore l’abbiamo portata in ospedale dove i medici l’hanno presa per i capelli con una operazione ai reni che la famiglia ovviamente non avrebbe mai potuto permettersi… 

Paolita ha vissuto le prime esperienze felici fuori dal carcere insieme alle educatrici del Centro Alegría, durante i tre giorni di campeggio estivo di dicembre organizzato dal Centro Alegria…è lei la bambina che vedendo per la prima volta le stanze della casa per vacanze ha esclamato sgranando gli occhi per la meraviglia “Queste sono le nostre celle?? Sono bellissime!! Ma abbiamo un letto per uno??” e poi un po’ timidamente in un orecchio mi ha sussurrato “Io ho paura a dormire da sola…” sentendosi persa in tanto spazio, lei che aveva dormito per tutta la vita insieme ai 4 fratelli su un unico materasso….è lei la bambina che mi seguiva come un’ombra dovunque andassi dentro al carcere, con la sua manina che all’improvviso sentivo agganciarsi forte alla mia mentre camminavo, e che mi accompagnava per le vie del San Pedro facendomi da piccola segretaria, porta scartoffie e aiuto logista nelle mie domeniche pomeriggio passate a fare le punte alle matite colorate e a mettere in ordine il centro per il lunedì… 

Questi sono stati i primi 13 anni di Paolita: una cella 3mt x 3mt, una famiglia a pezzi, compresi gli zii, anche loro gravitanti in giri delinquenziali, un futuro praticamente già segnato grazie ad un passato duro, violento, traumatico e doloroso, con gli unici punti di riferimento positivi e stabili in un piccolo Centro Educativo dentro al carcere San Pedro. 

Nel 2019, quando il ministero dell’interno boliviano ha disposto l’espulsione dalle carceri di tutti i minori, Paolita ormai tredicenne, e Leila, la sorella più piccola di 5 anni, vengono messe in un istituto, perché i famigliari all’esterno del carcere vengono reputati non idonei a garantire loro un sano e armonico sviluppo. 

Da quel momento non abbiamo saputo più nulla e non ci è stato possibile incontrare né lei né sua sorella. Un paio di volte sono andata a bussare al portone dell’istituto dove era accolta, aspettando per ore di fuori. Ma l’assistente sociale che, dopo lunghe insistenze da parte mia per parlare con lei, mi ha ricevuto da dietro il portone socchiuso, mi ha detto che era meglio per Paolita che non mi incontrasse, per evitare di causarle scompensi emotivi e per cercare di mantenere un equilibrio emozionale, nel già difficile percorso di adattamento all’istituto e le sue regole…comprensibile, ma molto duro da accettare per me e per tutte noi dell’equipe che consideravamo Paolita e i bambini con queste storie drammatiche, come dei figli. 

Non sappiamo neppure se qualcuno le abbia detto che suo padre, uscito di prigione dopo 20 anni, durante la pandemia, aveva iniziato a lavorare onestamente per la prima volta in vita sua, ma la dipendenza dall’alcol e le droghe che si portava dietro da anni lo ha portato ubriaco e barcollante davanti al camion che lo avrebbe investito, lasciandolo sull’asfalto senza vita. 

Passano gli anni e ogni tanto il pensiero un po’ malinconico e impotente va a Paolita e Leila…chissà come stanno, chissà come sono cresciute, chissà cosa staranno facendo… 

Poi qualche giorno fa ricevo un messaggio da messenger “Hola Madrina, soy la Paolita, te extraño mucho a ti, mis hermanos y mis padres…” Incredula e con le lacrime agli occhi leggo e rileggo il messaggio di Paolita che continua raccontando che sta studiando e che l’anno prossimo dovrebbe concludere gli studi delle superiori, che questi due mesi di vacanze scolastiche li sta trascorrendo lavorando in una fabbrica che impacchetta dolci, e che presto dovrà andarsene dall’istituto perché a maggio compirà 18 anni e con la maggiore età lo stato non garantisce più l’accoglienza… 

Confesso che per qualche giorno mi sono sentita paralizzata e senza parole…dopo 5 anni di silenzio/assenza/nessuna informazione, sono di fronte ad una giovane donna che nella sua vita ha vissuto più eventi traumatici che esperienze positive, una giovane donna fragile e soggetta a stigmatizzazione, probabile oggetto di discriminazione sociale e violenza di genere, con il cuore già fatto a pezzi, accartocciato, rotto e rattoppato alla bell’è meglio mille volte, con poche speranze per il futuro… situazioni alle quali potrebbe reagire entrando di sua spontanea libertà in circuiti malavitosi (in fondo l’imprinting  culturale che ha ricevuto è quello e tutta la sua famiglia è o in carcere o agli arresti domiciliari) o di prostituzione, giacché, si sa, “La miglior difesa è l’attacco”.

Mi sono fatta coraggio e le ho risposto…sento grave tutto il peso delle parole, e dell’importanza di farle sentire il mio affetto ma anche l’importanza di non darle false speranze…prima di scriverle ho provato ad immaginare lei cresciuta, lei con la sua profonda insicurezza, la sua borsa e le sue poche cose che esce dal portone di quell’istituto e con l’eredità di un passato che le dà pugni nello stomaco ad ogni occhiata maliziosa degli uomini, ad ogni risatina di gruppetti di amiche della sua età cresciute in famiglie benestanti….che le rende molto difficile avere fiducia negli altri, anche di quelli che vorrebbero in qualche modo darle una mano, che le impone sempre di pensare al peggio prima di credere all’eventualità di una possibilità in positivo… 

E così piano piano stiamo cominciando a scriverci…a piccoli passi, poche parole di tanto in tanto che da parte mia vogliono trasmetterle fiducia e Amore… vorrei tanto poterle dire che non si dovrà preoccupare di trovare un tetto, che potrà scegliere se studiare o lavorare o fare un corso di formazione-lavoro per qualche professione che le potrebbe piacere, che qualcuno si occuperà di lei, del suo cuore, della sua salute, delle sue necessità, fintanto che avrà trovato la sua strada….ma so di non poterle promettere proprio niente… 

Vorrei tanto che questo racconto di Natale potesse lasciare aperte le porte a finali positivi inaspettati, aprire nuovi capitoli in cui Paolita sia la protagonista principale del suo riscatto personale, accendere una luce nel buio pesto delle stanze interiori dove Paolita ha rinchiuso e nascosto insieme alle macerie emotive anche le sue tante qualità e risorse interiori, far estrarre il biglietto vincente della lotteria a questa giovane donna che si affaccia, dopo averne passate veramente troppe, tutta sola sulla soglia della vita, sulla strada del “tutto è possibile”.

Mi piacerebbe che il destino decidesse di fare una sorpresa a Paolita, di donare una possibilità, di accompagnare alla sua “prima” questa giovane donna che si aspetta solo di essere buttata fuori del “Teatro degli aventi diritto ad una vita dignitosa”. Dalla porta di servizio, ovviamente, dove nessuno farà caso a lei. 

Aspettando la “Nochebuena”, preparo il mio minuscolo presepe boliviano e comincio a tirare fuori dall’armadio il mio piccolo albero di Natale di vimini… vi abbraccio con il cuore di una bambina sognatrice, che crede ancora nei miracoli dell’Amore e nella magia del Natale! 


La vostra Barbara/Barbaridad 



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