martedì 11 luglio 2023

Un arcipelago di pace

di Sandro Serreri




Ho visto…

Per isolare i belligeranti e impoverirli di deterrente, occorre assediarli con un arcipelago di pace. Tutti i loro confinanti non hanno da vendere null’altro che non sia: Pace! I ponti non servono per mercanteggiare, ma per essere percorsi e attraversati da uomini e da donne con mani sollevate verso il cielo e aperte. Vanno accerchiati con fossati colmi d’acqua per raffreddare quel che bolle e brucia. Nessuno attizza il fuoco. L’incendio va spento e non alimentato. Non si risponde inviando micce. L’arte della Guerra, antica quanto l’Uomo, la più eccelsa tra le arti, tanto da piegare al suo servizio geni universali come Leonardo da Vinci, necessita di produzione e scambio. Ebbene, l’arcipelago di pace non produce e non commercia fuoco, distruzione, morte. Ha bandito il pericolo, la follia, qualsiasi fabbricato che possa essere un’arma, di difesa o di offesa. 

I belligeranti, ormai orfani del dio della Guerra, perché non nutrito morto di fame, rientreranno in sé stessi, al tramonto del sole? Si domanderanno: Che fanno i nostri vicini? Dov’è la loro legna per il nostro fuoco? Per quanto ancora la nostra brace resterà calda? 

Sui ponti, gli uomini e le donne, ancora per un poco, continueranno a gettare secchi d’acqua canticchiando, con labbra serrate, un Inno alla Gioia. Poi, giungerà la notte e con lei le stelle, il silenzio. Quindi, l’orizzonte non brillerà più, le bombarde cesseranno di ruggire; le mura belligeranti, all’arrivo del buon mattino, saranno fredde e ben disposte a lasciarsi abbattere e sostituire da alberi e rose. 

Verso mezzogiorno, da tutte le isole dell’arcipelago di pace, si leva, alto e solenne, un grido: Pace! E i belligeranti, abbracciandosi l’un l’altro, cadono in ginocchio piangendo. 

Ho sognato…

1 commento:

Marilù ha detto...

Caro Sandro Serreri forse sarebbe meglio che invece di sognare ti documentassi meglio in quanto la guerra è più che altro derivante dalla commercializzazione del sistema nel quale emergono 3 diversi modelli organizzativi e istituzionali della comunicazione: uno strettamente commerciale basato sulla vendita di prodotti o spazi pubblicitari che anche tu a quanto pare utilizzi caratterizzato da scarsa presenza statale; uno autoritario, nel quale lo stato impone il suo controllo sull'intero sistema dei media; uno paternalistico (scusa se lo dico simile al tuo intervento), basato sull'ottenere il controllo del monopolio pubblico o per lo meno riuscire ad influenzarlo di modi strategici per accattivarsi il pubblico in un ottica di funzioni educative di possibili controlli degenerativi. Il modello commerciale è incontrastato e parlare di LIBERO mercato sarebbe eccessivo visto la presenza di sistemi oligopolistici o di monopolio a partire dalla grande guerra in cui si rivelò strategico l'uso propagandistico della comunicazione di massa e tale modello autoritario è ancora oggi usato in Russia sovietica e venne utilizzato nell'epoca fascista e nella Germania nazista e persino teorizzato da Goebbels. Dopo la 2° guerra mondiale il modello autoritario ha trovato applicazione anche in Cina, in Europa orientale ed in molte dittature emerse dalla decolonizzazione, mentre in Europa occidentale si è affermato il modello paternalistico, specie in campo culturale, ma dal punto di vista gestionale nessuno caro Sandro ti dice mai (penso) che la caduta progressiva dei costi di trasferimento dell'informazione ha favorito a livello mondiale il modello commerciale come grande premessa di imprese transnazionali in TUTTI i settori della comunicazione ivi compreso (senza molte IVI Mi raccomando!!) quello religioso e spirituale. Saluto Marilù