Eccomi qui, delizioso pubblico, in questa vostra ridente cittadina, nella mia veste di cantastorie, per intrattenere grandi e piccini con uno dei tanti racconti raccolti durante il mio vagare per il mondo. In cambio lascio al vostro buon cuore decidere la ricompensa che riterrete più opportuna. Orbene, mentre l’archetto scivolerà con destrezza sulle corde della fidula per trarne dolci armonie di sottofondo, vi narrerò la storia della principessa Biancaneve, così come uscì dalla viva voce dei nani della miniera, posta ai confini del regno, in cui ebbi la fortuna d’imbattermi durante un bivacco notturno…
C'era un re la cui moglie morì in una gelida sera d'inverno dando alla luce sua figlia Biancaneve che, come ella aveva intensamente desiderato, era bianca come la neve, rossa come il sangue e dai capelli neri come l'ebano. Quel giorno il re, affinché nulla potesse alimentare il suo già grande dolore, fece portare via ogni cosa appartenuta alla moglie e ordinò che il ritratto dell'amata, posto al centro del salone delle udienze, fosse celato dietro un pesante tendaggio.
Anni dopo, però, egli rifiorì, ritrovando l'amore grazie a una bellissima principessa incontrata nel corso di una visita di stato e decise di sposarla, anche per dare una madre alla sua figliola.
La nuova regina era celebrata in tutto il regno per la sua immensa bellezza e non c'era uomo che non avesse desiderato almeno una volta di potersi trovare nei panni del re. Ella ne era ben consapevole e amava trovarsi al centro dell'attenzione e far mostra di sé. Col tempo si insuperbì, arrivando a credere che nessuna donna avrebbe mai potuto reggere il confronto con lei.
Un giorno, mentre si trastullava rimirandosi dinanzi allo specchio della sua stanza da letto, la regina notò una rughetta sopra al sopracciglio sinistro.
«Specchio, mio amato specchio, dev’esserci certo un errore in quel riflesso. Cancella la rughetta, cancellala in gran fretta, ora! Adesso!»
Con sua grande sorpresa, lo specchio, avvezzo a mostrare solo ed esclusivamente la verità, sentendo offesa la propria professionalità, prontamente le rispose: «O mia regina, oggi una rughetta, domani un capello bianco… il tempo passa per chiunque; ogni fiore è destinato ad appassire, dall’umile fiore di campo alla più sublime delle orchidee… La rughetta resta là, perché, è noto, ormai ci sta!».
«Ebbene sia! Ma, nonostante questo trascurabile difetto, sono comunque la più bella di tutto il reame, non è vero, caro il mio specchietto?» domandò la regina, che non aveva voluto cogliere appieno il significato delle parole pronunciate dallo specchio.
«Senz’altro oggi lo sei, e forse anche domani, chi lo sa?, però la piccola Biancaneve, figlia del tuo consorte, cresce in fretta e, ben presto, lo splendore della sua bellezza offuscherà la tua, poveretta!»
La regina si accostò allora alla finestra e, col cuore colmo d’invidia, contemplò la giovane Biancaneve, intenta a cogliere fiori in giardino per farne dei mazzetti, spensierata.
«Quell’insulsa ragazzina non potrà mai gloriarsi d’avermi superata in bellezza!» pensò, e cominciò a ordire un diabolico piano per liberarsi della rivale.
Quella sera, nel corso della cena, la regina, dopo aver tessuto le lodi di Biancaneve, suggerì al re di inviarla in una città vicina, presso una prestigiosa scuola, dove avrebbero impartito alla giovane un'educazione all'altezza del suo lignaggio.
Il re esultò all’idea e organizzò tutto affinché, di lì a tre giorni, la figlia si mettesse in viaggio.
Nel cuore della notte, la regina sgattaiolò fuori dal palazzo e si recò, in incognito, in una malfamata locanda, dove assoldò alcuni briganti perché, col movente di una rapina, assaltassero la carrozza della principessa e la uccidessero.
Avvenne così che, due giorni dopo, a un crocicchio, i banditi saltarono fuori dalla macchia con alte grida, impugnandoasce e pugnali. Ucciso il postiglione, si apprestarono a fare altrettanto con i passeggeri della carrozza.
Tuttavia, prima che potessero riuscire nel loro intento, dalla foresta sbucò un cacciatore; l'uomo, tratta una freccia dopo l'altra dalla faretra, cominciò a bersagliare i briganti. Nel contempo, incitò i suoi cani ad aggredire i malviventi, costringendoli a una fuga precipitosa.
Biancaneve, impaurita, si era data nel frattempo a una fuga disperata e, superati d'un balzo dei fitti cespugli, si era sentita mancare la terra sotto ai piedi e aveva finito per cadere nelle gelide acque di un fiume, la cui corrente la trasportò ben presto lontano dalla vista del cacciatore.
Alle dame che accompagnavano la principessa, l'uomo riferì dunque che la ragazza era sicuramente annegata e, queste, riportarono la notizia a corte.
Il re suo padre, sconvolto da tale notizia, non riusciva a darsi pace; la regina, dal canto suo, recitò con maestria la parte della madre affranta, mentre in realtà in cuor suo saltellava dalla gioia!
Nel frattempo, il fiume, conquistato dalla bellezza della giovane, aveva deposto Biancaneve, con delicatezza, su una candida spiaggetta sassosa, a pochi passi dall’ingresso di una grotta.
Dopo il tramonto, la fanciulla si risvegliò e, trovandosi avvolta dalle tenebre, fu pervasa da una profonda inquietudine, che si acuì mutandosi in angoscia allorché notò delle luci fioche ballonzolare lungo le pareti interne della caverna, facendosi sempre più vicine.
Di lì a poco, i nani sbucarono dalla loro miniera reggendo delle minuscole lanterne e dei sacchi zeppi di gemme preziose. Scorta la fanciulla le si fecero attorno e cominciarono a tempestarla di domande:
«Tu, chi sei? Da dove arrivi? »
«Che vuoi da noi? Chi ti ha mandato a spiarci?»
«Vuoi depredarci del nostro oro e delle nostre gemme preziose?»
«Parla, se non vuoi fare una brutta fine!»
«Lasciatela stare!» gridò una voce alle loro spalle.
Biancaneve si voltò e vide avvicinarsi, a cavalcioni di un orso dal manto nero, una donna dai capelli lunghi e ondulati, rossi come il fuoco, che così si presentò:
«Il mio nome è Rosarossa e vivo insieme ai miei amici nani. Non temere; sono un po’ burberi con gli estranei, ma non sono cattivi. Monta con me in groppa a Nerofumo. È mansueto, non ti farà nulla.»
Biancaneve fece come le era stato detto. Messosi in cammino, il gruppetto, in breve tempo, raggiunse la minuscola casa dei nani, nel fitto del bosco.
Davanti a una tavola imbandita, Biancaneve narrò ai suoi ospiti quanto le era accaduto. I nani, dopo averle spiegato di estrarre le ricchezze del sottosuolo per trarne magia vitale per il bosco e le sue creature, si offrirono volentieri di riaccompagnarla a palazzo nei giorni successivi, non prima d'aver terminato il lavoro di scavo di un grosso filone.
«Come mai vivi con i nani, Rosarossa?» chiese a un certo punto Biancaneve.
Rosarossa si scostò i capelli e le mostrò una vecchia cicatrice, quindi disse:
«Ormai sto con loro da diversi anni e li considero come dei genitori adottivi. Ero piccolina quando mi ritrovarono nel bosco, priva di ricordi del mio passato. Devo aver perso la memoria cadendo e picchiando la testa contro una pietra».
«E non l'hai mai recuperata?»
«No, mai. Furono i nani a ribattezzarmi Rosarossa per il colore della mia chioma. L'orso invece lo presi con me quandoera un cucciolo, dopo che dei cacciatori ne avevano ucciso la madre» spiegò.
Quella notte Biancaneve dormì serenamente nel letto di Rosarossa, mentre Rosarossa dormì sul pavimento accanto al suo orso.
Il giorno seguente, fatto un buon sonno ristoratore, Biancaneve si ripromise di aiutare Rosarossa nelle attivitàdomestiche.
Mentre erano al fiume, intente a lavare i panni, passò da quelle parti il principe del regno vicino e, scorta Biancaneve dall'alto di un poggio, fu rapito dalla sua bellezza.
Scese dunque incontro alle due donne e cominciò a conversare con loro, per scoprire chi fossero e dove abitassero.
Rosarossa, che era più avveduta, non diede troppa confidenza allo sconosciuto, Biancaneve invece non si fece pregare e rivelò chi fosse e quali peripezie l’avessero condotta fin lì.
Il principe non ci pensò due volte e si rese disponibile a riaccompagnarla a casa il giorno seguente, dopo aver avvisato i propri genitori.
Il resto della giornata Biancaneve lo trascorse aiutando Rosarossa nei lavori di casa e, la sera, ascoltando davanti al camino, dalla voce dei nani, le fiabe del bosco, la mente rivolta a quel bel principe dall'aspetto regale e dalla voce melodiosa, che l’avrebbe riportata fra le braccia del padre.
Nel frattempo, a palazzo, la regina, non riuscendo a resistere alla tentazione, corse di fronte all’amato specchio. Rigirandosi dinanzi ad esso più e più volte, disse:
«O specchio, Quale contentezza! Nulla è più fulgido della mia regale bellezza!»
Lo specchio, ancora una volta, rispose: «Così è, ma c'è un capello bianco ansioso di correre in branco e presto, Ohimé!,Biancaneve sarà bella più di te!»
La regina trasalì.
«Ma… Biancaneve è morta! Morta!»
«Ti sbagli, mia regina» replicò lo specchio, «essa vive e, in questo momento, banchetta allegramente nella casa dei nani, posta al confine del regno.»
Piena di rabbia, la regina meditò a lungo su come sbarazzarsi una volta per tutte della ragazza, infine scese nei sotterranei, nel laboratorio del mago di corte dal quale si fece consegnare un potente veleno.
Con un pennellino passò il veleno sulla superficie di una mela e, travestitasi da vecchia venditrice ambulante, partì allavolta della casa dei nani.
Il mattino successivo, accertatasi che i nani fossero usciti per andare alla miniera, la regina si avvicinò alla casetta e bussò alla porta. Le aprì Rosarossa.
Quanto fu grande lo stupore della regina nel vedere quella donna di cui non sospettava l'esistenza.
«Beh, che vuoi, vecchia?»
La regina decise di portare avanti comunque il suo piano:
«Per favore, comprate le mie mele, sono ottime, ve le vendo a un prezzo di favore.»
«Spiacente, ma qui nel bosco abbiamo già a disposizione ogni tipo di frutto.»
Biancaneve si fece avanti incuriosita e la vecchia le porse la mela avvelenata dicendo:
«Assaggiala, figliola, senti quanto sono deliziose le mie mele».
La fanciulla allungò la mano e stava per prenderla, sennonché in quel mentre giunse il principe che, afferrata la mela, l’addentò salutando le due giovani:
«Eccomi, sono arrivato! Ora posso accompagnarti a casa, Biancaneve».
Il principe fece salire Biancaneve a cavallo, ma appena fece per infilare il piede nella staffa si sentì mancare e crollò a terra.
Rosarossa intuì cos’era accaduto e, agguantata la vecchia, le tolse il travestimento, rivelando la perfida regina.
La donna, estratto un pugnale, cercò di colpire Rosarossa, senza riuscirvi, poi si diede alla fuga. Ma l’orso le si parò dinanzi prima che potesse dileguarsi nel bosco.
I nani sopraggiunsero, richiamati dalle creature del bosco, e osservarono increduli la scena.
«O mio principe,» disse Biancaneve, «Se tu muori, anch’io muoio con te!»
«Non preoccuparti: lascia fare a noi!» dissero i nani.
Dovete sapere, infatti, che i nani conoscevano i segreti della magia e subito si prodigarono per costruire una bara di cristallo in cima al vicino poggio, dove deposero le spoglie del principe.
Quando il sole fu alto Biancaneve, vegliando l’amato, pianse tutte le sue lacrime ed esse, trafitte dal sole, come prismi proiettarono tanti piccoli arcobaleni sulla bara. Il cristallo li moltiplicò: sembrava di trovarsi in mezzo a un unico grande arcobaleno!
Il principe prese allora a tossire finché non gli uscì fuori dalla gola il pezzo di mela, infine riaprì gli occhi, si specchiò in quelli di Biancaneve e, uscito dalla bara, baciò la principessa.
«Negli occhi tuoi belli mi sono specchiato ed ecco, tosto, a vita son rinato!» disse.
«Che ne facciamo di questa serpe velenosa?» domandò Rosarossa.
«Ci vuole una bella lezione!» gridarono i nani, circondandola, armati dei loro picconi.
«No! Lasciatela andare!» disse Biancaneve, quindi si rivolse alla matrigna: «Io non ho mai avuto nulla contro di te. Un consiglio però voglio darti, madre: appena sarò tornata a corte tutti sapranno quanto hai fatto. Vattene dunque ben lontano da queste terre, e vedi di non farvi più ritorno».
Dopo tante vicissitudini finalmente Biancaneve rientrò a palazzo e riabbracciò il padre.
«Figlia mia! Ti avevo pianto per morta!» disse il re.
«E invece eccomi qua, grazie a questi miei amici!» e gli presentò il principe, i nani e Rosarossa.
Quando vide Rosarossa il re divenne bianco in volto, arretrò di alcuni passi ed ebbe un lieve mancamento. Poi si diresse verso il quadro nel salone e tolse il drappo che lo ricopriva.
Biancaneve poté così ammirare il ritratto di sua madre con in braccio una bambina dai capelli rosso fuoco.
«Sì, Biancaneve! Rosarossa in realtà è tua sorella Fiamma, che si smarrì nel bosco alcuni anni prima della tua nascita e che avevo dato per perduta.
Studiando la donna del ritratto, Rosarossa riacquistò la memoria e si ricordò della madre. Il re abbracciò la figlia ritrovata e Biancaneve abbracciò entrambi.
Fu così che i nani tornarono alla loro miniera con una nuova storia da raccontare durante le veglie notturne, il principe e Biancaneve si sposarono, Rosarossa rimase a palazzo col padre e, di tanto in tanto, con la sorella faceva visita ai nani portando loro cibarie e prendendosi cura della loro casa.
Da quel giorno la storia di Biancaneve fece il giro del mondo, anche se la versione ufficiale fu adattata ai costumi dell'epoca e divenne quella in cui Biancaneve, rimasta avvelenata, veniva salvata dal principe.
E la regina? La regina andò a vivere in un paese lontano molte leghe e finì per accompagnarsi a un umile artigiano. Poco alla volta superò la sua paura di invecchiare e comprese che c’era una bellezza più importante di quella esteriore. «Mia dolce regina,» le diceva ogni sera il suo uomo, accarezzandole i capelli, «Sai che c’è? Ai miei occhi non c'è donna bella quanto te!» e quelle parole contenevano una verità che nessuno specchio avrebbe mai potuto confutare.
Alla fine, delizioso pubblico, posso dire, senza tema di smentita, visse felice e contenta pure lei!
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