Qui www.faraeditore.it/soglia11.mp3 il file audio, con testo registrato, in formato mp3.
Se vorrete comunicarci la data della pubblicazione, o la data e l'orario della messa in onda, provvederemo a darne comunicazione sui nostri social.
Ringraziando per l'attenzione
Pietro Tartamella
direttore artistico di Cascina Macondo
p.s. la presente e-mail è stata inviata a tutti i nostri contatti (anche se non sono radio o testate giornalistiche). Potreste aiutarci a diffondere l'iniziativa.
VITE PARALLELE
racconti e testimonianze di
CHI HA VARCATO LA SOGLIA
racconti e testimonianze di
CHI HA VARCATO LA SOGLIA
mettere a confronto i diversi punti di vista per
SVELARE IL CARCERE,
con l'augurio che le molteplici storie personali di coloro che,
a qualunque titolo, hanno varcato la soglia del carcere, condivise,
possano essere spunto di riflessione,
arricchimento intellettuale e letterario
una iniziativa di Cascina Macondo
www.cascinamacondo.com
SVELARE IL CARCERE,
con l'augurio che le molteplici storie personali di coloro che,
a qualunque titolo, hanno varcato la soglia del carcere, condivise,
possano essere spunto di riflessione,
arricchimento intellettuale e letterario
una iniziativa di Cascina Macondo
www.cascinamacondo.com
con il contributo dell' UBI (Unione Buddhista Italiana) unionebuddhistaitaliana.it
con il partneriato del Centro Hokuzenko di Torino www.zentorino.org
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Motore di Ricerca Città di Torino,
Senzafine blog di Renata Rusca
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puoi ancora aderire al progetto
per diffondere le testimonianze pervenute. Grazie.
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TESTIMONIANZA N° 11
FINALMENTE LIBERO
di Raul Bucciarelli - medico
di Raul Bucciarelli - medico
nel file mp3 legge Matteo Volpato
Era il 1995 ed ero davvero ancora agli inizi della mia professione di medico. Il lavoro di sanitario presso una struttura carceraria durò un paio di anni. Un periodo breve, ma che mi ha insegnato molte cose. Lui lo ricordo ancora molto bene, anche dopo venticinque anni, fra i tanti volti passati, visti e rivisti tante volte da dietro l'austera scrivania della infermeria della Casa Circondariale di B. Quella scrivania era divisa dalla libertà da otto solerti porte automatiche e centocinquanta passi. Lui era alto e magro, con una barbetta brizzolata ruvida e rada, gli occhi vivissimi e guizzanti, i capelli incolti e lunghi… Il suo volto scavato raccontava con trasparenza un infinito dolore e rassegnazione. Il cognome declinava con certezza le sue origini siciliane. Il suo dialetto inconfondibile e schietto raccontava sicuramente Palermo. Lui era uno dei tanti detenuti che al mattino faceva la fila nell'ambulatorio del carcere. Non ho mai voluto sapere, naturalmente, perché fosse finito in un penitenziario. E alla fine non l'ho mai saputo. Questo era per me un principio fondamentale ed imprescindibile per poter esercitare con serenità il lavoro di medico in un posto non facile come quello. Ogni tanto gli agenti di custodia mi raccontavano qualche cosa sul passato dei miei pazienti, ma io cercavo di glissare sempre. I miei pazienti erano solo dei malati. Lui era un paziente abituale, e passava in infermeria abbastanza spesso. Si sedeva appoggiando il gomito destro sulla scrivania, mi guardava fisso negli occhi e mi ripeteva: “Dottore, non mi funziona bene il cervello”. Lo diceva con tono accorato e anche un po’ teatrale con gli occhi rivolti verso il cielo, quasi a cercare una sorta di benedizione o qualto meno di approvazione divina. Gli chiedevo di spiegarmi bene, ma non c’era molto da dire… si prendeva la testa fra le mani e mi diceva: “Il cervello dottore… il cervello”. La sua cartella clinica raccontava innumerevoli valutazioni psichiatriche con variopinte diagnosi: "Stato depressivo", "Note di delirio persecutorio", "Disturbo schizotipico di personalità"… Nessuna di queste definizioni raccontava chi era… Lui si recava in infermeria più per chiacchierare o per chiedere di aumentare il dosaggio già altissimo degli psicofarmaci per alleviare chissà quale disagio profondo.
Gli agenti di custodia lo consideravano un tipo bizzarro ma nella sostanza non particolarmente pericoloso… Un mattina però arrivò più agitato del solito e finalmente riuscì a dirmi qualcosa di più.
Era molto preoccupato, perché tra qualche giorno avrebbe concluso la detenzione e come si suole dire: “si sarebbero aperte le porte del carcere”. Con la testa tra le mani continuava a ripetermi: “Dottore adesso dove andrò? Non ho nessuno che mi aspetta… dovrò tornare a Torino…”
Non avevo mai riflettuto su una situazione del genere. Non si pensa mai che per molti esseri umani il carcere rappresenta una sorta di casa. Fuori mancano spesso affetti, amicizie, legami familiari. Molti hanno la residenza nell'istituto di pena e non sanno neanche dove dormire. Fuori manca il lavoro, non si è più nessuno. Il carcere per molti rappresenta una sorta di identità e il dopo è solo insicurezza.
Ho avuto un colloquio non facile. Cosa si può dire oltre qualche ovvietà? La direzione da me interpellata mi ha assicurato che sarebbe stato in qualche modo comunque affidato ai servizi sociali di Torino.
Dopo tre giorni è uscito. Mi hanno detto che aveva uno scatolone legato col cordino e un sacco nero dell'immondizia con tutte le sue cose. Aspettava l'autobus per la stazione. Finalmente libero.
Cascina Macondo
Arti e Culture Associate
Associazione di Promozione Sociale
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