S. Francesco – BO, 8.03.2020
Sorelle e fratelli carissimi, pace a voi!
In questo inizio di Quaresima insolito, “fuori programma”, segnato dal diffondersi di un male “nuovo, sconosciuto”, che semina sconcerto e paura (oltre che malattia ed anche morte, purtroppo)… mi stanno attraversando ed accompagnando diversi pensieri, stati d’animo, che hanno suscitato in me alcune riflessioni: desidero condividerle con voi – spinto dalla condizione di “lontananza forzata” che stiamo vivendo – come un piccolo tentativo di accorciare le distanze, di colmare il vuoto… Sì, perché se per ora abbiamo dovuto sospendere il nostro incontrarci, non per questo dobbiamo sentirci o restare “soli, isolati”… siamo comunque e sempre “famiglia, comunità, Popolo in cammino”…
Una prima riflessione che è affiorata nel cuore, nasce dalla realtà in cui ci troviamo, segnata da questa infezione, che si sta protraendo oltre ogni previsione. Forse per la prima volta in vita mia mi sono sentito “a contatto” con un “male mortale”, che mi riguarda da vicino, a cominciare da mia madre ultranovantenne… non una cosa che “tocca solo gli altri”, ma potrebbe riguardare e coinvolgere anche me, anche noi… E in tale situazione una netta sensazione di insicurezza, sgomento: la chiara percezione di essere inermi, fragili, nudi… qualcosa che non possiamo prevedere, prevenire, controllare, dominare! Ma a pensarci bene questa non è una novità legata al coronavirus, è così da sempre, radicalmente insita nella natura umana, fragile, limitata, che solitamente non ha coscienza della propria finitezza, nudità; non ne è consapevole, pensando invece di essere o poter diventare infinita, immortale, “come Dio”: ricordate la I lettura di Domenica scorsa, I di Quaresima? Come Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden, anche noi siamo posti in una terra ricca e meravigliosa, che pure ha un confine, dei limiti da non dover oltrepassare, pena l’aprirsi dei nostri occhi e accorgersi di “essere nudi”… e provarne vergogna! Tutto ciò mi appare quanto mai accostabile, paragonabile alla situazione attuale, al momento presente: mi si sono aperti gli occhi sulla mia finitezza, limitatezza, nudità… nulla esiste in questo mondo di certo, sicuro, incrollabile, eterno; nessun controllo né potere posso esercitare da me stesso sulla realtà che mi è data; la mia, la nostra vita è come un filo d’erba, che spunta al mattino e avvizzisce la sera… ciò che “possiedo” è solo il presente – qui ed ora – da accogliere come dono e far fiorire a partire dall’unico punto fermo e sicuro: il Signore Dio. E tu… dove sei, dove ti trovi nel cammino della tua esistenza, in questo “oggi” della storia?
Una seconda riflessione è sorta dalla condizione conseguente al morbo che sta invadendo varie parti del mondo e la nostra quotidianità: costretti a sospendere le attività, gli incontri in gruppo, le messe, i riti; obbligati a “mantenere le distanze”, a ritirarci dai luoghi “pubblici” in un sempre più “privato isolamento”… Possiamo, dobbiamo stare e sottostare ad una tale “astinenza forzata”?! Perché anche l’esperienza religiosa, la fede si deve sottomettere a tali restrizioni e ristrettezze… è giusto?! Paradossalmente tutto ciò mi sembra quanto mai in sintonia con il tempo liturgico della Quaresima che abbiamo da poco incominciato e che ha coinciso con l’esplosione e il diffondersi del virus… forse una strana, impensabile “provvidenziale coincidenza”?! Una “quaresima/quarantena” privata dei suoi simboli e riti, da vivere e condurre forzatamente, “isolati in casa”, accompagnati solo dai mezzi di comunicazione…!? A pensarci bene questa situazione è molto simile a quel “deserto forzato” di cui ha fatto esperienza prima il popolo d’Israele e poi Gesù, e di cui la Quaresima cristiana è memoria “sacramentale”. Per Israele il passaggio attraverso il deserto ha un valore ed un significato profondamente pedagogico: lì è rimasto ed ha camminato – guidato da Dio – per 40 anni… in un lembo di terra che si poteva percorrere – per altra via – in una settimana! Ha “girovagato intorno/a vuoto” in un luogo privo di tutto (anche del necessario e non solo del superfluo); ha provato la fame, la sete, il morso velenoso dei serpenti, la “assenza/lontananza” di Dio, la tentazione e la prova, l’umiliazione… per conoscere quello che aveva nel cuore e ri-conoscere che tutto ha ricevuto in dono, e come tale va accolto e messo a frutto; per comprendere qual è l’origine da cui tutto trae vita e cioè che l’uomo non vive soltanto di pane, dei propri bisogni – anche legittimi ed essenziali – ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Il deserto perciò ci appare – nella lettura ed interpretazione che ne dà il libro del Deuteronomio al cap. 8 – come metafora dell’esistenza, un “vuoto” da attraversare “in fretta” (ma anche in cui “rimanere forzatamente”), un “passaggio” segnato dalla precarietà, dalla mancanza, dalla fragilità, dai morsi delle passioni e dei bisogni, dal “silenzio di Dio”… per giungere finalmente all’essenziale, a scoprire e riscoprire ciò che conta davvero, al senso pieno e profondo delle cose che abbiamo, viviamo, al centro-cuore-approdo di tutto, il rapporto vivo e vero con il Signore, il Dio dell’alleanza! Ma perché Israele raggiungesse tale consapevolezza e tale meta, è stato necessario rimanervi così a lungo e sino in fondo, nell’assenza più totale, accompagnato e sostenuto soltanto da una Presenza velata e discreta: la Parola di Dio, viva, efficace, attuale.
Gesù stesso, la vera e definitiva Parola di Dio, è stato condotto – “a forza” – dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo, come ce lo ha presentato il Vangelo, sempre nella I Domenica di Quaresima. Una “scelta forzata”, quella del Figlio dell’uomo; la privazione/astinenza nei bisogni essenziali della nostra umanità, che vogliamo soddisfare e che ci rendono così vulnerabili, facili a cedere alle lusinghe, ai tranelli illusori… Perché Lui, il Figlio di Dio, ha voluto, dovuto essere messo alla prova, sentire la nostra stessa fame, brama, vertigine…?! All’inizio del cammino quaresimale Gesù ci è posto dinanzi come modello e maestro, di cui seguire le orme, poiché – come scrive s. Agostino – «Cristo prese da te la sua tentazione, da sé la tua vittoria. Fosti tu ad essere tentato in lui, ma riconosci anche che in lui tu sei vincitore». Come dunque Egli ci conduce ad uscire vincitori da questo deserto di privazione, di solitudine, di prova…? Essenzialmente con la piena “obbedienza alla realtà”: la realtà che è data e non ricercata, più subita che voluta e che sempre è diversa, distante da com’era immaginata e attesa… quella “reale”, non “ideale” e nemmeno “virtuale”! Proprio questa vera e concreta realtà, accolta come dono-volontà del Padre – pur nella durezza e umiliazione del cammino – lasciandosi condurre dallo Spirito e dalle parole della Scrittura, diviene “obbedienza alla volontà di Dio”, alla sua Parola.
È davvero così distante, così estraneo tutto ciò da quanto sta accadendo, stiamo vivendo in questo tempo della nostra storia? Forse mai come in quest’ora stiamo attraversando un vero e proprio “deserto”, non come metafora, ma come “realtà”, fisica e spirituale insieme, incarnata; e forse mai come in questo momento si offre a noi l’occasione propizia e favorevole per riscoprire il valore autentico ed essenziale dell’esistenza, proprio nell’esperienza della “privazione/assenza”: il calore di un abbraccio, di una stretta di mano, l’intensità di un bacio o di un silenzio, la gioia e la pienezza di ritrovarsi e condividere, di pregare insieme, di fare comunione con il Signore risorto e con i fratelli nella celebrazione dell’Eucaristia… E ricordare che nulla di tutto ciò è scontato, dovuto, ma soltanto “donato”, offerto dalla grazia del Padre che ama e nutre i suoi figli, anzitutto con la manna della sua Parola nel cammino verso la vita piena.
Lo Spirito Santo ci guida e ci illumina: lasciamoci condurre, come Maria, vergine del silenzio e dell’ascolto, discepola del Signore, sua Madre e nostra!
Il Signore vi benedica e vi custodisca,
vostro fra paolo maria
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