venerdì 27 dicembre 2019

La “ragione” del male

IL SENSO DEL MALE di Gottfried W. Leibniz, Fara Editore 1999
recensione di Gian Ruggero Manzoni

https://www.faraeditore.it/html/assaggio/ass_leibniz.html
Testo classico del pensiero filosofico, che tratta della bontà
di Dio, della libertà dell'uomo e dell’origine del male, editato da Fara in un gradevole piccolo formato palmare. “Se l’intelletto divino contiene tutti i mondi possibili, la sua volontà, fonte delle esistenze, ha optato per questo mondo, quello in cui ci troviamo, in quanto il migliore dei mondi possibili: se ne avesse scelto un altro, Dio non sarebbe stato il dio cristiano perfettamente buono e giusto. Ora, però, ci troviamo davanti a un’apparente contraddizione: da una parte Dio è perfettamente buono e quindi crea il miglior mondo possibile, dall'altra parte in questo mondo esiste il male…”, Gottfried Wilhelm von Leibniz nacque a Lipsia nel 1646 e morì ad Hannover nel 1716. Fu un matematico, filosofo, scienziato, glottoteta, diplomatico, giurista, storico, magistrato e bibliotecario tedesco. Dotato di notevole intelligenza, a soli sei anni aveva già imparato il latino, grazie alla lettura di Tito Livio, a quindici entrò all'Università di Lipsia dove, a diciassette anni, conseguì la laurea in filosofia, poi, a venti, un dottorato in legge. A lui si deve il termine “funzione”, coniato nel 1694, che egli usò per individuare varie quantità associate a una curva, tra cui il suo valore, la pendenza, la perpendicolare e la corda in un punto. L’opera qui considerata fu denominata da Leibniz stesso “Saggi di Teodicea”, ovvero una giustificazione dell’opera di Dio dinanzi al male presente nel mondo. Quindi è una raccolta messa per iscritto delle risposte che il filosofo diede in virtù delle pressanti critiche riguardo la bontà e quindi la natura di Dio e la libertà dell’uomo, che insorsero nel periodo di fine ’600 e primi del ’700, contemporaneamente all’opera di Cartesio, e ciò dalle parti più disparate, dal soggettivismo di Hobbes e Locke, dal determinismo di Spinoza, dalla critica distruttiva alla teologia dello studioso Bayle. Per Leibniz, seppure tutta questa schiera di “detrattori”, il mondo migliore esiste ed è questo, perché diversamente non sarebbe esistito alcun mondo. Ma quindi qual è, per lui, l’origine del male? Dare una risposta a questa domanda è per Leibniz render conto della natura stessa di Dio. Egli ravvisa il male già nelle essenze presenti nell’intelletto divino. Ma se il male ha sede nell’intelletto di Dio, al pari del bene, questi non è conseguentemente né buono né cattivo. A tale sillogismo Leibniz risponde che Dio vuole il bene di ciascun individuo – escludendo quindi il peccato e la dannazione –, ma che la realtà è determinata dal conflitto di tutti i voleri – le azioni morali e fisiche della creatura e le volontà divine a priori –. Ne consegue che Dio, in origine, vuole il bene, e conseguentemente il meglio. Dio, sostiene Leibniz, dona a tutti gli uomini la ragione, considerandola antecedentemente un gran bene; ma vi sono dei mali che ne derivano e Dio non può evitarli se non privando l’uomo della razionalità, ma questa sarebbe una scelta contraria alla saggezza divina, la quale considera la ragione un bene superiore a tutti i mali che l’accompagnano. Il male, per Leibniz, è perciò componente metafisica – imperfezione di ogni creatura altra da Dio –, è fisico – il dolore, la sofferenza – e morale – il peccato. Ma a voi il continuare a seguire tale nobile cogitazione, anche leggendo la bella postfazione, che accompagna il volumetto, a firma di Gianfranco Bertagni. Un grazie ad Alessandro Ramberti per questo pregevole cadeau di fine anno.

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