Pier Paolo Giannubilo, Il risolutore, Rizzoli 2019
recensione di AR
Con la massima empatia, intrecciando alcuni avvenimenti personali di grande rilevanza, Pier Paolo Giannubilo narra superbamente in queste pagine la vita “al limite” di un personaggio di indubbio fascino e di multiforme espressività artistica come Gian Ruggero Manzoni. Nella Nota dell’autore si specifica che i fatti sono veri con inevitabili “ricostruzioni di fantasia” per ovvi motivi di privacy e di secretazione di particolari relativi a missioni in teatri di guerra temporalmente ancora vicini (per quanto per lo più rimossi dalla coscienza dell’Europa) come il sanguinoso conflitto nella ex Jugoslavia (con aree tuttora turbolente, v. Kosovo). Giannubilo rievoca con lo Squalo (il nome di battaglia del Risolutore) momenti di orrore e crudeltà in Libano, in Bosnia, in Austria, a Belgrado, ma anche a Roma e altrove… per “risolvere” definitivamente certe situazioni di alto rischio e criticità. Ci troviamo di fronte a un giovane studente del DAMS che, nella Bologna degli anni ’70, frequenta artisti, intellettuali, creativi, ma anche frange estremiste, e finisce incastrato in un gioco più grande di lui. Per evitare il carcere viene torchiato/torturato e preparato dall’intelligence per esser un agente speciale, freddo, determinato, amorale; chiamato al bisogno a intervenire dove si richiedono le sue capacità. Nel frattempo Gian Ruggero frequenta gli ambienti artistici in Italia e in Europa, ha molteplici relazioni con donne, più che altro, di piacere o per piacere, esegue “lavoretti” su commissione per la malavita dai colletti bianchi, gestisce un pub-discoteca, insegna nell’Accademia di Urbino, ha una figlia. Ecco, la nascita di questa figlia sembra portare in luce anche le drammatiche zone d’ombra, diaboliche, del Nostro, non a caso soggetto da tempo a devastanti attacchi di panico e poi messo a terra dal morbo di Crohn. Sì, questo libro ci scuote, ci ricorda che tutti noi siamo responsabili delle nostre scelte non solo a livello personale e famigliare ma, più ampiamente, sociale. Ciascuno di noi ha ferite, sofferenze, commette errori anche gravi, ma ha anche capacità, talenti e qualità che può mettere al servizio del bene o del male. Ogni persona ha bisogni affettivi, desidera essere amata, ma non può semplicemente soddisfare le proprie pulsioni in modo brutale, disconoscendo la dignità di chi vuole le soddisfi. Eppure, di questi tempi, sembriamo accontentarci di scelte personali e di visioni politiche dalle soluzioni facili (ma senza respiro), prive di entusiasmo e cariche, invece, di rabbia e risentimento, o di paura. Ci concentriamo, come singoli e come società, su un “particulare” vetusto e sfilacciato che cerca di conservarsi erigendo muri e chiudendo gli occhi a chi chiede aiuto.
Ma non c’è errore/orrore che non possa essere perdonato se si lascia lavorare la grazia-misericordia: in tutti noi c’è un fondo di senso che ci spinge oltre i nostri peccati-limiti (anche i più tremendi) se (ri)troviamo quell’umiltà che ci riporta (etimologicamante) alla nostra vera umanità.
Come ricorda nel suo ultimo appunto l’amico “bolognese” Pier Vittorio Tondelli poco prima di morire: “La letteratura non salva, mai. Tantomeno l’innocente. L’unica cosa che salva è l’Amore, la fede e la ricaduta della Grazia che è come il temporale” (p. 405).
In realtà questo libro può aver contribuito a un (cruciale) processo di purificazione di Gian Ruggero e dello stesso Giannubilo, e in ogni lettore farà vibrare corde potenti, magari rimosse e celate, spingendolo a fare i conti (onestamente) con sé stesso. La salvezza, poi, come la fede, è un dono e riesce ad operare solo se impariamo ad essere poveri di spirito. Si chiede l’autore paragonandosi al protagonista: “Il suo egoismo strutturale. La dipendenza dal riconoscimento altrui e la fame d’amore perennemente insoddisfatta dalla compulsione seduttiva. L’affanno dietro il countdown dei giorni e l’aspirazione a lasciare una traccia di sé… I suoi difetti di fabbrica non sono forse, benché in scala 100:1, anche i miei e di larga parte della mia generazione? Ecco cosa mi spinge a seppellire le mie giornate nell’indagine al microscopio delle sue. (…) I giorni della nostra chiacchierata a Lugo sono stati per me il principio di un’avventura fra i segreti di due sconosciuti. Il primo è Manzoni. Il secondo, io” (p. 321).
Sì, Il risolutore, ci avvince in modo totale perché è un libro che ci aiuta a mettere a nudo la nostra anima e così ad essere persone più vere, più libere, più misericordiose con sé stesse e con il prossimo.
PS Il titolo di questa recensione è tratto da p. 259.
recensione di AR
Con la massima empatia, intrecciando alcuni avvenimenti personali di grande rilevanza, Pier Paolo Giannubilo narra superbamente in queste pagine la vita “al limite” di un personaggio di indubbio fascino e di multiforme espressività artistica come Gian Ruggero Manzoni. Nella Nota dell’autore si specifica che i fatti sono veri con inevitabili “ricostruzioni di fantasia” per ovvi motivi di privacy e di secretazione di particolari relativi a missioni in teatri di guerra temporalmente ancora vicini (per quanto per lo più rimossi dalla coscienza dell’Europa) come il sanguinoso conflitto nella ex Jugoslavia (con aree tuttora turbolente, v. Kosovo). Giannubilo rievoca con lo Squalo (il nome di battaglia del Risolutore) momenti di orrore e crudeltà in Libano, in Bosnia, in Austria, a Belgrado, ma anche a Roma e altrove… per “risolvere” definitivamente certe situazioni di alto rischio e criticità. Ci troviamo di fronte a un giovane studente del DAMS che, nella Bologna degli anni ’70, frequenta artisti, intellettuali, creativi, ma anche frange estremiste, e finisce incastrato in un gioco più grande di lui. Per evitare il carcere viene torchiato/torturato e preparato dall’intelligence per esser un agente speciale, freddo, determinato, amorale; chiamato al bisogno a intervenire dove si richiedono le sue capacità. Nel frattempo Gian Ruggero frequenta gli ambienti artistici in Italia e in Europa, ha molteplici relazioni con donne, più che altro, di piacere o per piacere, esegue “lavoretti” su commissione per la malavita dai colletti bianchi, gestisce un pub-discoteca, insegna nell’Accademia di Urbino, ha una figlia. Ecco, la nascita di questa figlia sembra portare in luce anche le drammatiche zone d’ombra, diaboliche, del Nostro, non a caso soggetto da tempo a devastanti attacchi di panico e poi messo a terra dal morbo di Crohn. Sì, questo libro ci scuote, ci ricorda che tutti noi siamo responsabili delle nostre scelte non solo a livello personale e famigliare ma, più ampiamente, sociale. Ciascuno di noi ha ferite, sofferenze, commette errori anche gravi, ma ha anche capacità, talenti e qualità che può mettere al servizio del bene o del male. Ogni persona ha bisogni affettivi, desidera essere amata, ma non può semplicemente soddisfare le proprie pulsioni in modo brutale, disconoscendo la dignità di chi vuole le soddisfi. Eppure, di questi tempi, sembriamo accontentarci di scelte personali e di visioni politiche dalle soluzioni facili (ma senza respiro), prive di entusiasmo e cariche, invece, di rabbia e risentimento, o di paura. Ci concentriamo, come singoli e come società, su un “particulare” vetusto e sfilacciato che cerca di conservarsi erigendo muri e chiudendo gli occhi a chi chiede aiuto.
Ma non c’è errore/orrore che non possa essere perdonato se si lascia lavorare la grazia-misericordia: in tutti noi c’è un fondo di senso che ci spinge oltre i nostri peccati-limiti (anche i più tremendi) se (ri)troviamo quell’umiltà che ci riporta (etimologicamante) alla nostra vera umanità.
Come ricorda nel suo ultimo appunto l’amico “bolognese” Pier Vittorio Tondelli poco prima di morire: “La letteratura non salva, mai. Tantomeno l’innocente. L’unica cosa che salva è l’Amore, la fede e la ricaduta della Grazia che è come il temporale” (p. 405).
In realtà questo libro può aver contribuito a un (cruciale) processo di purificazione di Gian Ruggero e dello stesso Giannubilo, e in ogni lettore farà vibrare corde potenti, magari rimosse e celate, spingendolo a fare i conti (onestamente) con sé stesso. La salvezza, poi, come la fede, è un dono e riesce ad operare solo se impariamo ad essere poveri di spirito. Si chiede l’autore paragonandosi al protagonista: “Il suo egoismo strutturale. La dipendenza dal riconoscimento altrui e la fame d’amore perennemente insoddisfatta dalla compulsione seduttiva. L’affanno dietro il countdown dei giorni e l’aspirazione a lasciare una traccia di sé… I suoi difetti di fabbrica non sono forse, benché in scala 100:1, anche i miei e di larga parte della mia generazione? Ecco cosa mi spinge a seppellire le mie giornate nell’indagine al microscopio delle sue. (…) I giorni della nostra chiacchierata a Lugo sono stati per me il principio di un’avventura fra i segreti di due sconosciuti. Il primo è Manzoni. Il secondo, io” (p. 321).
Sì, Il risolutore, ci avvince in modo totale perché è un libro che ci aiuta a mettere a nudo la nostra anima e così ad essere persone più vere, più libere, più misericordiose con sé stesse e con il prossimo.
PS Il titolo di questa recensione è tratto da p. 259.
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