lunedì 26 marzo 2018

La Settimana Santa

di Vincenzo D'Alessio



Nel villaggio felice arriva la Settimana Santa, in vista della Santa Pasqua.
In questi mesi c’è l’usanza di macellare i maiali; c’è anche il maiale del buon curato alloggiato dietro il complesso canonico, accanto all’abside, di modo che non giungesse il cattivo odore del letame in chiesa.
Ogni anno provvedeva alla macellazione il comprovato “maestro dei suini” che tra l’altro procedeva anche a castrarli in modo da farli giungere più spediti all’ingrasso e disporre l’animale ad essere meno aggressivo.
L’operazione si doveva eseguire, non si poteva attendere.
Così le brave massaie di casa, sorella e nipote del curato, misero a bollire molta acqua calda, pulirono l’aia, disposero il mezzo tino rovesciato in posizione, presero le funi per legare i piedi dell’animale.
Una delle donne che era solita dare da mangiare al maiale si pose all’ingresso del porcile invitandolo ad uscire. Ignaro del pericolo che correva il maiale seguì la donna e gli uomini appostati lo raggiunsero velocemente e iniziarono a legarlo per le zampe.
Non fu impresa facile: l’animale pesava più di un quintale e per quanto avesse acconsentito a seguire la donna non era propenso a subire le violenze dei quattro energumeni.
Con molta fatica e gli alti grugniti il coltello raggiunse il collo dell’animale e iniziò l’operazione nel vapore che saliva dalle caldaie colme d’acqua poste sul focolare.
Pochi minuti dopo il risultato era raggiunto. Si procedette alla sezionatura del maiale e si raccolsero pezzi di carne intorno al collo per cucinarli nella grande padella di rame con peperoni sott’aceto per preparare la cena.
Le brave massaie apparecchiarono il lungo tavolo della cucina con una tovaglia, il buon pane fatto in casa, il vino preso in cantina e delle noci conservate in un sacco.
Il maestro che aveva eseguito l’operazione lavate le mani e gli affilati coltelli, mentre le due parti del maiale e la testa erano state portate in cantina dai suoi aiutanti, si soffermò un attimo a pensare: siamo nel corso della Settimana Santa, mica possiamo contravvenire alla regola del non consumare carne? E poi, siamo nella canonica del buon curato, meglio tornare a casa.
Il buon curato che aveva celebrato la Messa Vespertina, tolse i paramenti sacri in sagrestia chiuse le porte della piccola chiesa e si avviò verso la parte interna della canonica dove lo attendevano i famigliari.
La sorella era rimasta vedova dieci anni prima, la nipote aveva sposato un bravo operaio che lavorava in una fabbrica al Nord e tornava solo tre mesi all’anno, i due nipotini crescevano in famiglia ed erano piccoli d’età.
I quattro addetti alla macellazione avevano raccolte le loro cose e con le borse a tracolla si erano avviati verso l’uscita del giardino della canonica.
La sorella del buon curato li raggiunse e sottovoce disse: “Dove andate? Venite in cucina il curato vi deve parlare.”
Il maestro rivolto alla donna esclamò: “Non vi preoccupate, non vogliamo alcun compenso, ci basta la benedizione del nostro curato.”
La donna insistette: “Venite, per favore, altrimenti il curato sicuramente la prenderà a male.”
I quattro si diressero in cucina dove il curato li aspettava seduto al tavolo dove avevano trovato posto anche i bambini.
“Consumate con noi la cena” soggiunse sorridendo, nel profumo del cucinato che si spandeva nell’aria. “Sedetevi che benediciamo insieme quanto il Signore ci ha voluto donare.”
Gli operai presero posto dove le donne indicavano in attesa di consumare il pasto preparato per la circostanza.
Il maestro non riuscendo a trattenere il pensiero che rimbombava nella sua mente prima di immergere la forchetta nel piatto fumante rivolto al buon curato sottovoce soggiunse: “Monsignore, siamo nella Settimana Santa, non è che commettiamo peccato verso il Signore Gesù?”
Le donne ristettero ferme con i piatti tra le mani soprese da quella domanda.
Il curato saggiamente rivolse lo sguardo al maestro e replicò: “Ricordatevi che i peccati non entrano dalla bocca ma escono dall’anima quando è rivolta al peccato. Poi le cose da mangiare non sono peccati da confessare, fanno parte delle esigenze della vita.”
Rincuorati dalle parole del buon curato iniziarono a consumare la cena benedicendo l’accoglienza riservata loro e l’assoluzione da ogni eventuale peccato.

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