domenica 1 ottobre 2017

Le sorelle in aria di Rosalba de Filippis - a cura di Cinzia Demi


Più antropologa che naturista Rosalba de Filippis ci propone nel suo nuovo libro Le sorelle in aria un’indagine sulle origini del male, ricercarlo nell’antica voce della foresta, tra i versi degli animali, e le foglie che cadono dalle querce secolari, un’indagine che in poesia funziona davvero.



Rosalba de Filippis  è nata a Macchiagodena, in Molise, laureata in Lettere moderne, con una tesi sull’opera del primo Giorgio Caproni, è autrice dei libri in versi: Sotto nevi di carta,(Campanotto editore 2007), Il filo forte del liuto (idem 2008), La luce sugli spigoli Canti di Monteloro (Strade Bianche, Stampa Alternativa, 2011) , Danielle, L’ultima foglia è sempre la più alta (Campanotto 2013), Le sorelle in aria (Passigli, 2017). Ha curato il volume collettaneo Paura. Intellettuali e artisti sulle angosce del nostro tempo (Edizioni della Meridiana, 2016).

Conosco Rosalba de Filippis da alcuni anni. Ci lega l’amore per la poesia e, in specie, l’amore per la poesia poematica, quella dal respiro lungo, capace di raccontare storie, di far maggiormente riflettere per la possibilità di soffermarsi sulle cose e sui pensieri, di donare alle immagini quegli stessi riflessi nati dall’intensità dell’osservazione della realtà da cui nascono, da cui sono ispirate. Ma c’è di più. Rosalba è un’ottima insegnate, organizzatrice di eventi, curatrice di raccolte saggistiche di spessore. Adesso è uscita con questo nuovo poemetto “Le sorelle in aria” (Passigi Editore, nella storica collana fondata da Mario Luzi) con il quale è capace di sorprenderci ancora per la freschezza del verso e la capacità narrativa insita quasi testardamente nel processo programmatico e stilistico della composizione, con tutti i crismi retorici e metrici che fanno parte del genere “poesia” – che l’autrice ben conosce - e che strizzano l’occhio al lettore attento.

Le sorelle in aria



Una natura amica e a tratti complice permette alla donna-poeta-quercia o foglia che sia di identificarsi con i suoi elementi, di ritrovare un ancestrale rapporto con la materia prima con cui sono fatti i suoi stessi sensi, con cui si sente in sintonia; permette di rivivere ciò che era e ciò che è stato prima del gesto primordiale della sua stessa nascita; di costruire un ponte con il suo nuovo stare al mondo che forse non le piace, perché la mette di fronte a realtà terrificanti, di odio, vendetta, violenza... eppure non ci si può sottrarre dal vivere la quotidiana resistenza alla vita, fosse solo per i panorami stupendi che ci vengono davanti agli occhi, per la passione che ne nasce dal semplice sguardo: Portatemi in un luogo/con le prospettive vere/linee di fuga fino al centro/di musiche di vecchi innamorati/tutti lasciati/e poi solo montagne/io morirei per loro/come un soldato con la passione[…].
Un sogno, una suggestione, uno stato ipnotico o magico: non è chiaro, ma non importa che lo sia, in quale dimensione stia vivendo la protagonista- narratrice, la babaiaga – aedo, la ninfa del bosco che si risveglia dal torpore di un sonno millenario per tornare a stupirsi, a stordirsi, a incendiarsi di meraviglia cercando un complice che possa godere con lei di quella bellezza incontenibile, che la trasporti ancora in un contatto irreale e fisico al tempo stesso: Vieni, ti prego,/nascosta/a derubarmi/affonda la tua bocca/sul mio corpo di ragazza.
Piccola principessa alla ricerca dell’umano, dell’umanità perduta è la de Filippis che trova la sua volpe nel segno dell’amicizia, una volpe che pare già avvezza all’addomesticamento, una volpe a cui offrire un braccio per farne un innesto/e germogli, a cui offrire la lingua che ha il tepore di un gatto, a cui affidare il ventre bucato/da piccole punture… con cui parlare delle Sorelle denudate con un corpo di mercato … dentro quei televisori… pietanze/con le maniche nascoste/perché i coltelli tagliano le rose. “Non si vede bene che col cuore: l’essenziale è invisibile agli occhi” dice la volpe di A. de Saint-Exupéry ma non parla, forse non sente, non vede la volpe di Rosalba, oppure finge di non soffrire, perché già vive come una delle comari del dolore… è una volpe laboriosa (che) gratta leggera il terriccio e scopre le viscere, forse sa che le sorelle con i capelli sciolti sono state imprigionate/e fatte carne/in mezzo alla folla/che celebra le offese.
Ecco che, allora, non potremo fare a meno di sottolineare che, ripercorrendo certe drammatiche tappe della violenza di genere, nel poemetto della de Filippis, queste non riescono certo a passare in sordina, non possono apparire sottotono se pur mimetizzate, in una sorta di metamorfosi orfica e animalesca con le gatte che sono (le) prove sulla soglia … (la) paura sul tappetino mentre rifugiano il pensiero e compare sulla scena la foglia  (simbolo di leggerezza, ma anche di caducità) che assurge a correlativo oggettivo del sentimento del restare. E come può restare una foglia, come può diventare l’unica certezza se, dice l’autrice, foglie-certezze in realtà non se ne trovano, non ce ne sono più e anche la volpe, prima amica, alla fine si allontana ed è già altro, un altro che sembra non voltarsi neanche a guardare indietro, a salutare chi resta. Come si affrontano certe violenze, quali sono le soluzioni, quali i rimorsi, i sensi di colpa… la poesia non dà soluzioni, non è il suo compito. La poesia si limita - dico si “limita” ma non è poco, naturalmente, è sostanziale - a fermare l’attenzione sul problema, ne ripercorre le orme, ne rende visibili le tracce (quelle tracce che a inizio libro sono ancora fondamentali per condurci alla visione del bosco). La poesia, specie in questo che dicevamo essere il suo respiro lungo, dato dalla forma stilistica del poemetto, raccoglie i respiri di tutte le creature - piante o animali che siano - li fa propri, ne filtra gli odori e gli aromi, ne rilascia l’essenza… ciò che deve rimanere… ma questa, non dimentichiamolo, è soprattutto la bravura dell’autrice, la sua capacità di condurre il gioco e la parola, di guardare oltre quella finestra da cui si affaccia l’orizzonte noto.
Più antropologa che naturista la de Filippis qui sembra indagare sulle origini del male, ricercarlo nell’antica voce della foresta, tra i versi degli animali, e le foglie che cadono dalle querce secolari, un’indagine che in poesia funziona davvero.

Alcuni testi, in sequenza, da: Le sorelle in aria

La Volpe

Scommessa del mattino
abbiamo cominciato presto
la finestra è la cornice
del mio albero di fianco
che porta il profumo.
Scommetto su questo mattino
e non mi fermerò per fare pace
non per tollerare il mio silenzio
per continuare ancora e ancora
il mio diluvio di strade mai finite.
Eppure sul profilo della casa
mille volte incominciata
porto un sospetto,
volpe porporina
che ho confuso
con il verso di un cerbiatto
Vieni, ti prego,
nascosta
a derubarmi
affonda la tua bocca
sul mio corpo di ragazza
trascinami amorosa
fino al pozzo
nascondimi nel tuo rifugio
in alto
tra le ginestre pronte a dare il segno
l’intensità di assenzio dell’estate
sono pagine rubate
queste essenze
solo per dire
che il mattino ha fatto meglio
ancora mi piego sicura
su quei ciottoli
e in aria si addensano odori di carta.

Volpe
pensavo alla tua fame
come chi dispensa un amore di nulla
nella cesta di un gattino
voracità
che non si addice
alla tua coda così lunga
di tutti i profili scolpiti nell’aia.
Oggi ho capito
tu mi volevi forte
sapevi
e nel giro di un’età
che ruba tutto
mi avresti ritrovata ancora qui
come una serpe alta
senza l’innamorato
a cui dare promesse.
io mi sono fatta un male di abbracci
un male di solitudini imposte
di figli ancora scuri
e ancora soli.
Stamani scommetto di fuggire
troppo l’odore
che ti ha frastornata. […]


Bologna, 1 ottobre 2017

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