giovedì 27 aprile 2017

… me ne sto leggero ancora un poco / accovacciato sul dorso lieve di una foglia

Piero Saguatti: Il peso degli istanti, FaraEditore 2017


recensione di Vincenzo D’Alessio 

http://www.faraeditore.it/html/filoversi/pesoistanti.html
 

“(…) Chi è nato vicino a questi posti / non gli passa neppure per la mente / come è utile averci un’abitudine / Le abitudini si fanno con la pelle / così tutti ce l’hanno se hanno la pelle” (Elio Pagliarani, da La ragazza Carla).

Nel recensire la raccolta poetica di Piero Saguatti: Il peso degli istanti (Fara, “Il filo dei versi”, 2017) ho sentito profondo il trasporto verso la poesia di Elio Pagliarani per il racconto della quotidianità che sfugge agli occhi disattenti della maggior parte delle persone per rivelarsi agli occhi dei lettori attenti.
È vero! Nella nostra bella penisola si legge pochissimo perché si avverte i peso dell’inutilità/il vuoto: a che serve leggere se la Cultura è ultima? A cosa serve una buona laurea in Lettere se non trova nessuno sbocco nel mondo del lavoro?
In Italia ci sono troppi poeti; ci sono troppi ruderi; ci sono troppe tracce di Civiltà passate; ci sono troppi intoppi ambientali: di lavoro per meriti invece non ce n’è!
Allora ben vengano le raccolte di versi dei poeti contemporanei, giovani e meno giovani. Accogliamo con gioia il dialogo proposto in ogni raccolta di poesie ché danno luce alle ragioni dell’anima: siamo compagni sinceri del viaggio che ognuno ha intrapreso e che avrà un finale sicuro.
Saguatti è riuscito a stemperare nella sua raccolta il peso degli istanti, della quotidianità serva del tempo, traducendoli in serena armonia di figure poliedriche, personificando oggetti e sensazioni, tra sinestesie, similitudini, polimetria:

“Stasera tutto tace dentro al buio ingordo / (…) e io me ne sto leggero ancora un poco / accovacciato sul dorso lieve di una foglia.” (p. 76).

Il tema del lavoro e della conseguente condizione sociale che rende schiavi di abitudini e luoghi comuni, come accade nel Poema di Pagliarani, è presente in diverse pagine. La più significativa è Alla Coop (p. 13) dove il Nostro trascrive i sentimenti che intristiscono la generazione presente:

“Che disdetta, / davanti a me c’è proprio la signora 'strana' / con il sacchetto della frutta da pesare / quella che spesso impreca e si divora con / lo sguardo chi la sta a fissare / (…) tanto alla fine manca sempre qualcosa / dentro al frigo e nella vita di ogni uomo / a me ad esempio, ora è passato l’appetito / e ho perso pure la tessera sociale.”

Il dialogo con il fruitore di questi versi è volutamente leggero, perspicace, intenso di suggerimenti ed esperienze vissute sulla propria pelle. L’autore paragona sé stesso a un ramarro (a p. 11: Adesso o dopo) lucertolone che sta scomparendo dai nostri boschi e che ripara le spine dell’esistenza conficcate nel ventre (la parte più tenera e vulnerabile del corpo/rettile) proprio con l’atto della creazione poetica:

“(…) fra tutte le cose mute messe intorno / al giro breve dell’istante / non imparo il senso / ad accettare dentro al pensiero informe / quel che sta fuori e poco più di un niente / ad affrontare gli attimi di carne / quel mistero dilagante, dell’universo / immenso.”

Tema che il lettore ritroverà di nuovo a p. 75 nella composizione che reca il titolo Sempre gli stessi spot in TV:

“(…) la poesia regge ancora l’urto violento del / presente / i versi li vedo svolazzare intorno sospesi / il mondo nuovo e la mia fragile / materia.”

Bella raccolta di istanti sollevati dal loro peso e tradotti in poesia, tenuto conto che il presente sfugge all’attenzione generale.
Condivido pienamente il giudizio critico del poeta Francesco Filia nel definire la raccolta poetica di Piero Saguatti: “Il quotidiano diventa attenzione e cura delle piccole cose, riflessioni sul sé, sguardo a volte impietoso a volte compassionevole sull’enigma della propria vita e della parola che tenta di dirla” (p. 7).

La cura, di cui parla Filia, è la passione per l’esistenza personale, dei propri simili e di Madre Natura, oltre questa soglia c’è solo il dolore della solitudine richiamato da Salvatore QUASIMODO e riproposto dal Nostro nella poesia Ti raggiungo a p. 83: “(…) ognuno cerca l’essenziale / un raggio di luce che traspare / nel buio consistente.”

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