Sono seduto su una panchina di legno, all’ombra d’un platano.
Alle mie spalle c’è un monumento ai caduti, la solita lapide retorica e due o
tre grandi bombe accanto. Più in là, di fianco, su uno scivolo e un’altalena
giocano due bambini. Un uomo giovane parla ad alta voce in una lingua che non
conosco e scatta delle foto ai bambini.
Sono venuto di mattina quassù, in
questo paesino d’alta collina, per sfuggire alla straordinaria calura della
città. La campana ha appena battuto le dodici e mezza. Ho di fronte un piccolo
edificio chiaro, sembra un disegno di Walt Disney. Sulla facciata c’è una
scritta: Municipio. Dietro l’edificio
appare una montagna boscosa con poche case immerse nel verde, sparse qui e là.
Grandi nuvole scure scendono sulla montagna e coprono le vette con frange più
chiare.
Forse pioverà.
Ho mangiato due banane e letto un
racconto di Gao Xingjian intitolato Il
tempio della grazia perfetta. Le rondini volano basse. Una mosca si è
posata sul mio viso.
Oltre la ringhiera di ferro, giù
nella strada, un segnale di divieto d’accesso mi sorprende per la prima volta
con il suo rosso vivido e la striscia bianca orizzontale al centro. Eppure ho
già visto tante volte un segnale così. I suoi colori non mi avevano mai
sorpreso.
Il tempo scorre e anche i giorni
dell’estate scorrono lenti verso la fine e divengono inesorabilmente quel che
poi chiamiamo passato. Cosa rimane immobile?
Da una finestra socchiusa
proviene il vociare d’una famiglia, il pianto d’un bambino e una voce maschile
che ripete: “Iniziate a mangiare, iniziate a mangiare.” È ora di pranzo, la
campana ha battuto un solo colpo.
Forse pioverà, ma forse no.
Una macchina parte, suona due
volte il clacson in un saluto rivolto a un passante. Un tipo magro con un
cappellino sbiadito in testa e maglietta e pantaloni da lavoro, cammina a passo
spedito percorrendo una strada in discesa. Ha una bottiglia d’acqua in mano. Un
corvo gracchia. Poco dopo tre persone con uguali tute da lavoro camminano piano
in salita sulla stessa strada.
È spuntato il sole da un vasto
squarcio nelle nuvole. Forse nemmeno oggi pioverà.
Due ragazzi si attardano alla
panchina qui accanto, prima del pranzo. Il tempo passa. Cosa rimane immobile.
Ognuno lo sa.
Cerco un bar per un panino e una
birra, ma nel bar dove entro niente panini. Cammino un po’ senza meta, mentre
per le vie del paese non c’è più quasi nessuno. Un venticello fresco mi carezza
il viso e il corpo.
Raggiungo un altro bar, più grande. Lì di
certo troverò un panino e una birra. Ma il bar è chiuso per la sosta del
pranzo. Ritorno sui miei passi. Il cielo è più scuro. Alcune gocce di pioggia,
molto diradate ed enormi, fanno rumore ma non mi colpiscono nemmeno. Poi, un
uomo con un bel viso abbronzato, affacciato alla finestra del piccolo
municipio, dall’alto mi dice:
“Si sta bene qui al fresco, eh?”
“Eh, già,” rispondo. “Sono venuto
qui proprio in cerca d’un po’ di refrigerio. In città fa davvero caldo.”
“Non mi hai riconosciuto?”
“No, no… Ma il tuo volto mi è
familiare… Chi sei?”
“L’amico di Antonio.”
“Antonio C.?”
“Sì. Sono Ignazio.”
“Oh, sì, Ignazio. Avevi un
negozio d’alimentari prima. E adesso?”
“Lavoro qui.”
“Eh già, le attività commerciali
non reggono facilmente…”
“Sei tornato per le vacanze?”
“Sì, da un paio di settimane. E
tu? Quando vai in ferie?”
“Eh, sono rientrato ieri al
lavoro.”
“Oh.”
“Mi ha fatto tanto piacere
vederti.”
“Anche a me, davvero.”
“Ciao bello.”
“Ciao, buona estate!”
Torno al bar ancora chiuso. Mi
siedo in una delle sedie del locale. Leggo un altro racconto di Gao Xingjian.
Una bottiglietta vuota di birra Peroni è stata dimenticata sul tavolino di
plastica rossa. Passa un uomo d’una certa età, muscoloso e un po’ basso. Lega a
un palo della luce un cartellone colorato con il disegno d’un clown e una
scritta grande, SALTIMBANCO, che annuncia un prossimo spettacolo serale. Due
ragazzi in bicicletta, con le gambe pericolosamente spalancate, sfrecciano in
discesa urlando di gioia.
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