di Bruna Spagnuolo
Boschi in gran parte immutati e la magnifica foresta mista di grandi faggi, abeti bianchi imponenti come sequoie, frassini e un ricco sottobosco variegato in cui campeggiano agrifogli e tassi: la Verna, teatro di eventi miracolosi che l’oblio dei secoli non ha ghermito e del connubio tra san Francesco e le creature della natura (di cui è un esempio il falco – che dalla chioma del faggio del Sasso Spicco ogni giorno “col suo canto e il suo isbattersi lo chiamava al mattutino”, poiché il santo dormiva sul giaciglio di pietra sottostante). La Verna è stata culla di miracoli e di prove per San Francesco (aggredito anche fisicamente dal maligno, che cercò persino di gettarlo giù dalla rupe, che si spaccò e gli diede rifugio). È stata la fucina della sofferenza con cui il Divin Redentore mise il santo alla prova (e saggiò, come oro nel crogiuolo, la limpidezza della sua tenace fede temprata negli abissi insondabili dell’Amore, che ogni lacerazione accoglie come seme spinoso dalle poliedriche possibilità di fioritura). L’Averna fu un tempo di buio doloroso e di accettazione lacerante del respiro di giorni fatti dei patimenti del corpo e dello strazio dell’anima, cui non giungeva la voce di Gesù, e fu il luogo in cui Cristo fece dell’uomo più mite, povero, umile, tenace e fedele (che il genere umano abbia mai generato per esserne rigenerato) un altro sé stesso, trafiggendolo (e, così facendo, magnificandolo) con le Stimmate (durante la Quaresima del 1224). San Francesco non poteva più camminare. Dovette accettare l’aiuto dei confratelli (che, a sua insaputa, conservavano l’acqua con cui lavavano le sue piaghe e la donavano ai contadini, che se la spartivano come oro, perché con essa salvavano gli armenti colpiti dalla peste).
Una storia unica al mondo
Nel maggio del 1213 il conte Orlando Cattani, di Chiusi in Casentino, donò il Monte della Verna a San Francesco, dando inizio a questa storia unica al mondo, in cui, a otto secoli di distanza, l’assenza di San Francesco si fa presenza e si dona all’umanità. Questo luogo accolse il primo arrivo del santo con brividi di gioia e festa irrefrenabile di voli e di canti, tanto da indurlo a dire è “volontà del Signore che noi abitiamo in questo monte solitario, perché tant’allegrezza e festa della nostra venuta dimostrano i nostri fratelli uccellini”. Fu dolore e fu gloria il tempo della Verna, se insieme alle immense riserve di dolore depositate nel corpo ormai allo stremo e praticamente cieco, ha posto a dimora i semi magnifici che hanno potuto produrre il Cantico delle creature (l’inno più sublime di lode e totale abbandono a Colui che è Creatore e Fonte), sorgente di sguardi pieni di stupore e di cuori umidi di commozione, richiamo all’Amore, provocazione sublime seconda soltanto alla “provocazione” della CROCE, quando San Francesco, prossimo alla fine, lasciò la Verna e passò i suoi ultimi giorni di vita, in Assisi, sul terrazzino del convento di San Damiano, in una “celletta fatta di stuoie”. La scritta sull’arco del portone che introduce al recinto conventuale della Verna dice il vero: “Non est in toto sanctior orbe mons”/ Non vi è monte più sacro nel mondo.
Non cadit folium nisi deus vult
La valenza glottologica dei detti popolari si lega inevitabilmente alla stratificazione dell’esperienza (εμπειρία) millenaria che essi contengono. L’ho appreso decenni fa, quando raccolsi, per conto della Regione Basilicata, la cultura popolare di una sua particolare area, ne catalogai i generi e li vidi (pur dovendo attribuire la paternità dei componimenti agli avvicendamenti popolari) assurgere a letteratura popolare. La kermesse fariana di quest’anno mi ha portato alla mente il detto “non cade foglia che Dio non voglia”, legandolo automaticamente alla migrazione della kermesse fariana verso questa sua ultima sede. Mi colpisce come un prodigio il fatto che, mai prima e proprio in “questo” anno, sia “caduta” nell’abbraccio (se non nel grembo) della parte meridionale della montagna della Verna/ ai piedi di questo luogo incantato che culmina con il monte Penna incombente sulla rupe rocciosa che regge la francescana meraviglia archiettonica secolare/ nelle atmosfere montane della ricchissima varietà di breathtaking essenze (conservate da otto secoli di gestione francescana, che rispettava e venerava il bosco come parte della manifestazione di Dio)/ nei silenzi-voci del connubio tra terra e cielo.
Caro Alessandro, carissimi tutti,
non so perché né per chi la Kermesse 2024 abbia realizzato una migrazione involontaria da Fonte Avellana alla Verna, ma so che non è stato per caso né per casualità che ci siamo ritrovati in questo preciso luogo, e in occasione di un evento che, da otto secoli, ricorre ogni cento anni.
Ci sono casi in cui il caso non è più di casa e questo è uno di essi. Una cosa che so è che, al di là di qualunque valutazione, la logistica giornaliera del convegno ha creato atmosfera di vicinanza, familiarità e scambio imparentati con un senso di appartenenza e con l’affetto.
Vi ringrazio tutti-tutti, dal profondo del cuore (inclusa Adalgisa, presente con la parola scritta letta da Alessandro) di aver armonizzato il chi-氣 individuale con la risultanza poliedrica del chi-氣 collettivo racchiuso nell’ampolla spazio-tempo/Kermesse e di aver fatto di questo incontro un evento da ricordare (con input a largo raggio di ramificazioni - filoni dello scibile e con letture e/o esibizioni capaci di suonare le corde della mente e del cuore).
Ringrazio, in particolare, Giorgio Antonio, perché parlando del suo Sud mi ha fatto rivivere il “mio” Sud
/ Gianni Criveller, perché ci ha trovato la sede (e “questa” sede!) e perché parlando della sua Asia, mi ha fatto rivivere la “mia” Asia e mostrando le foto della sua Cina, mi ha fatto rivivere la “mia” Cina / Giorgio Iacomucci, per la delicatezza gentile con cui ci ha dissetato, comprando l’acqua per noi, e per l’apprezzatissimo reportage fotografico / I meravigliosi coniugi Anderlini, per il passaggio fino al santuario / Valeria Raimondi, per il passaggio di ritorno in macchina e la compagnia squisita / Claudio Fraticelli, per il videoreportage fantastico.
Ringrazio, infine, te, last but not least (not at all), Alessandro, perché sei la colonna e il faro di ogni convegno e sei uno e cento, meravigliosamente attento a tutti, a ognuno e a tutto, come un angelo custode a 360 gradi, e realizzi milioni di iniziative editoriali e pubblicazioni curate, impeccabili e raffinate e belle (e perché, fra le mille e una cosa di cui preoccuparti, hai incluso i maglioni di lana per me - che non avevo portato indumenti invernali).
Ringrazio anche Mimmo, Mafalda e Orşi, di avermi prelevato a Chiusi (e aver cenato con me, come in famiglia, e Orşi di avermi fatto da guida nel mio pellegrinaggio personale al “continente” San francesco che la Verna racchiude- con annessa “scalata” del sentiero nella foresta) e, specialmente, Mimmo, per la parola illuminata e la commozione con cui mi ha parlato di San Francesco (“il Santo dei Santi”).
Grazie di nuovo a tutti e… arrivederci (alla prossima Kermesse - nel “noi” del prossimo anno, a Fonte o all’Oasi o dovunque Dio vorrà, perché, infine, “l’uomo propone e Dio dispone”).