martedì 8 novembre 2022

Il disagio esistenziale nei racconti di Renzo Vidale

Renzo Vidale

recensione di OTTAVIO ROSSANI



Sono racconti “poetici”, brevi (massimo 
due pagine), intensi, precisi nella loro dimensione filologica, pieni di colpi di scena, con metafore illuminanti o spiazzanti che poi è quasi la stessa cosa).

Sono i racconti di Renzo Vidale, poeta e scrittore con lunga esperienza nell’insegnamento, pubblicati finalmente dopo anni di letture e scrittura, con il sibillino titolo Gli occhi rossi del piccione (edizioni Prometheus, pagg. 112, euro 16). Essi ci mostrano un mondo quotidiano inquieto e misterioso e anche ambiguo in alcuni casi, con una scansione temporale lungo molti anni, in cui il vero protagonista è un “lui” anonimo - nell’impostazione narrativa della terza persona - ma che il lettore ovviamente può e intende identificare con lo scrittore. Non che questo sia importante, ma può essere complementare in quel lettore che per sua necessità ambisce identificare gli elementi auto biografici dell’autore, anche se sono quasi sempre mimetizzati.

Questo soggetto, questo “lui”, è il protagonista che vive le emozioni, i desideri, le aspettative nelle varie situazioni rappresentate, ma di più le idiosincrasie, dei personaggi dei singoli racconti. Veniamo a conoscenza di quel tanto di abitudinario, o di straordinarietà, che sedimenta in tutte le persone che nel panorama esistenziale non trovano una tranquillità, o e nemmeno un’omogeneità,  nei loro tempi e nei loro spazi.

Questo “lui”, ad ogni visione per le strade o nelle case, nei bar o al cinema, all’aperto o al chiuso, quando entra in contatto fisico, o parlato, o visivo, con i personaggi di cui racconta, diventa alternativamente scettico o deluso testimone di se stesso  e degli altri. Questo ”lui”, in quanto identificato come scrittore, ci presenta momenti, atmosfere, situazioni, circostanze, eventi, che non appartengono alla nostra attualità, ma per forza di cose attengono a periodi o giorni ormai lontani, tuttavia vivi come fossero dell’altro ieri. L’autore infatti ci regala visioni che sopravvivono al loro tempo.  Non casualmente Vidale, in esergo al libro, fa due citazioni: la prima è del poeta Giampiero Neri che dice: “il tempo cancellava la memoria”, e la seconda è di Philip Roth che ci avverte: “tenere in vita, immatricolare in un modo che semplifica e generalizza: ecco dove comincia la lotta” (della letteratura).

Vidale ci fa partecipi della sua gioia e anche malinconia di inventare un nuovo modo italiano di raccontare, breve e piacevole, con sorprese continue, le cui ascendenze non sono da trovarsi in Italia, certamente non con quelle della ”prosa d’arte” degli Anni Trenta, stirati e talvolta anche noiosi, nonostante la “bella scrittura”, e nemmeno con i racconti di Moravia, fatti di sanguigne incertezze provinciali ma, se mai, questi racconti poetici de Gli occhi rossi del piccione riportano alla memoria alcuni brani dei 15 quadri di vita vissuta, con sospensione di spazi e tempi, dei Dubliners (“I dublinesi”) di James Joyce (1915). In questo primo libro di Joyce infatti gli elementi prevalenti sono la dispersione dei protagonisti in eventi assurdi, immotivati, frutto di inquietudini e delusioni, o fallimenti e amarezze, determinati dalle situazioni noiose o di stranezze delle loro personalità. Insomma, una specie di spostati rispetto alla normalità (che comunque, da vicino,  tanto normale non è). Quindi Vidale ci confessa che il suo obbiettivo è di fissare nello scritto (i latini dicevano scripta manent) quei particolari del vissuto, labili e friabili, che rischiano di scomparire dalla memoria, cioè dal ricordo, personale o collettivo.

Queste mie note, fin qua,  potrebbero sembrare devianti rispetto ai caratteri specifici dei racconti, e invece servono come chiaro contesto in cui essi si collocano. Altrimenti si presenterebbero immotivati, e senza un filo conduttore, passando da una scena all’altra, da un luogo all’altro, con protagonisti sempre diversi e tutti “toccati” da inadeguatezze e disagi che scoprono (o coprono) manie e preferenze, rifiuti e significati, diversi e contrastanti.

*** 

Veniamo ora ad alcune osservazioni più precisamente critiche.


1) Gli incipit sono fulminanti: in genere, nell’arco di una decina di righe, Vidale anticipa il senso dei racconti. Volendo esagerare, se un lettore frettoloso volesse  stringere il tempo di lettura, potrebbe limitarsi alle righe iniziali. Quelle che seguono in fondo rimpolpano con particolari nuovi e imprevedibili il quadro iniziale di per sé già completo. Ci si può domandare: ma se gli incipit sono già completi, perché continuare ad aggiungere nuove cose, nuovi fatti, nuove situazioni? Proprio nelle citazioni riportate prima, troviamo la risposta. Sono i particolari che disegnano quella lotta della scrittura per non far svanire i ricordi, di cui parla Philip Roth, e il timore che i piccoli segni e le esili atmosfere possano sparire dalla memoria, come dice Giampiero Neri. Forse Renzo Vidale, senza rendersene conto, ha adottato il metodo giornalistico, molto diffuso quando si tratta di agganciare subito l’attenzione e la curiosità del lettore, nel raccontare la cronaca dei fatti (nera, bianca o rosa). E io lo so bene, visto che l’ho praticato per tutta la mia vita professionale come cronista di nera e poi anche come inviato speciale sugli eventi, sui personaggi, sugli incontri non programmati con personaggi e circostanze in Italia e nel mondo. Ve ne propongo due, in modo che vi rendiate conto di quello che sto dicendo.


“La porta si aprì. Entrò in un bugigattolo. La luce entrava da una sola apertura nell’alto della parete. Sarebbe stato improprio chiamarla finestra. La donna gli fece una buona impressione: aveva un corpo flessuoso e indossava scarpe a spillo rosse. Poteva avere tra i quaranta e i cinquanta’anni, portati abbastanza bene in un caso e benissimo nell’altro. Le sorrise e e si complimentò con lei per il suo aspetto… “ (dal racconto “Una vita”, pag.16)


Il secondo incipit, tratto dal racconto “Gli occhi rossi del piccione” (pag. 30):


“Facendo pulizia in solaio. Trovò in una cassettiera un vecchio album delle fotografie che non ricordava nemmeno più di avere. Ma continuò il suo lavoro. Non voleva più sottoporsi al rito masochista delle immagini passate, con il relativo confronto tra quei volti giovani, o giovanili e quelli sempre più disfatti del presente. Soprattutto perché con l’incalzare dell’età il masochismo procura sempre meno  piacere e sempre più dolore.“

                                      


2) I colpi di scena. Ogni racconto ha il suo: imprevedibile, divertente, talvolta irriverente, spesso disorientante. È una tecnica straordinaria per fare sorridere il lettore, ma soprattutto per rendere plausibile il senso di tutta la sequenza che fin lì appariva  (appare) gratuita e, in base al gusto del lettore, anche semplicistica, cioè “normale”, legata a quella “quotidianità” di cui ho parlato all’inizio e che “lui” non sopporta molto e vorrebbe sorpassarla con l’invenzione di cose e voci inusitate e forse innovative. Ma non si tratta solo di una trovata narrativa. Si tratta anche di un cambiamento di prospettiva, di un modo imprevedibile di dare razionalità (o, al contrario, irrazionalità) all’evento, o al quadretto esilarante o triste. Per esempio, nel brano “Un esercizio inutile”, finita la visita al cimitero (“anche tutti i sorrisi al cimitero diventano malinconici”, “lui” non ci aveva mai pensato), che già è un’inversione del racconto stimolante, il colpo di scena è l’uscita secondaria che dà sulla campagna, e “lui” si rende conto che di colpo il cielo si è riempito di “un grande stormo di uccelli… che si posano sui fili elettrici tesi tra due tralicci”. E chiude con una frase apodittica che fa (o dovrebbe) fare ridere: “Il rumore delle loro grida era assordante”, in contrasto con il silenzio che si porta dietro dal campo cimiteriale dove si trovava poco prima. Imprevedibile, anche se è un riferimento del tutto naturale.


3) La lingua. Ogni parola è lì e non poteva (non può) non essere lì. Non ne serve una in più. E nemmeno una in meno. Si potrebbe dire che questa scrittura è perfetta, anche troppo. E se il troppo stroppia, vedete voi! In un tempo in cui prevalgono frasi fatte, luoghi comuni, soprattutto parolacce inutili, quasi sempre fuori luogo, che non aggiungono altro se non oscenità, scurrilità, volgarità, e poi anche anacoluti, svarioni di sintassi, (per non parlare degli errori grammaticali che gli editor lascino quasi fossero rivoluzioni linguistiche), impensabili tra chi ha fatto lunghi studi e pensa di essere legittimato/a a fare lo scrittore/la scrittrice con quel parlato banale e alla fine noioso, con quelle frasi falsamente provocatorie, con gli inutili errori), per quanto mi riguarda, la prosa di Vidale formata da un fraseggio pulito, agile, puntuale e, perché no?, elegante, anche con un fondo di malinconica ironia, dona al lettore esigente e volenteroso un’insolita freschezza narrativa.


4) Il clima e le atmosfere. Sono racconti belli, freschi, malinconici, come ho già accennato. Sono quasi tutti (64, di cui sei di poche righe, da nove fino a quattro) racconti del disagio nel vivere, anche se pieni del desiderio di una vita piena, di sperimentare, di scoprire il rapporto tra le persone e il mondo in cui si muovono. Gli argomenti sono i più vari, quelli appunto della quotidianità spesso anche abitudinaria. Lo scenario è quello della metropoli - Milano, ovviamente, tranne rare trasferte in Maremma o a Trento o a Venezia - con i suoi quartieri periferici, ma c’è un altro filo conduttore che non appare in primo piano, ma in seconda visione, e cioè la “morte”, il timore della morte, la tristezza della morte, la malinconia del pensiero di dover morire. “Lui” comunque non ne soffre, l’accetta come un allegato naturale alla vita, che corre sempre uguale e sempre però inaspettata nei suoi risvolti apparentemente melensi. Ecco, potrei andare avanti con molti altri spunti tecnici o empatici. A proposito, prima di lasciarvi, vorrei chiarire che Gli occhi rossi del piccione, restano solo un titolo bello, ma senza enigmi né misteri. Soltanto uno dei tanti colpi di scena al di là della logica. Potrei pure farvi il rosario dei temi dei tutti i racconti, come: la donna dalla pelle liscia e senza rughe; una giostra girevole; due amanti che non sono riusciti a stare insieme; un camionista curioso ma indifferente a tutto. Però mi fermo qui. Non mi resta che dirvi: “buona lettura, e divertitevi, riflettendo”. 


                              

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