lunedì 23 maggio 2022

La più ardua delle virtù

Massimo Morasso, L’obbedienza, Edizioni Feeria Comunità di San Leolino 2022

recensione di AR


L’obbedienza implica la libertà, ci ricorda Morasso in questo saggio entusiasmante a cavallo fra filosofia, narratologia, storia dell’arte, studio della Bibbia, teologia, critica letteraria e altro ancora. L’autore analizza il brano evangelico di Luca 2,41-52 in cui si parla del ritrovamento di Gesù nel Tempio soffermandosi in particolare sul versetto 49: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo stare presso mio Padre?” 

Il testo ci offre anche due drammatiche crocifissioni (e particolari) di Grünewald (quella Colmar del 1512 e quella di Karlsruhe del 1523-24), Il corpo di Cristo morto nella tomba di Holbein il Giovane (1521), Il ritrovamento del Salvatore nel tempio di William Holman Hunt (1862) e una foto di spalle: Massimo Morasso nel suo studio davanti a una riproduzione a schermo del Cristo morto di Holbein, scattata da Andrea Valcalda nel 2021, posta verso la fine del libro. Il poeta e saggista genovese dialoga a fondo con queste immagini e ci accompagna nel suo racconto filosofico in cui entrano in gioco la Leggenda del Grande Inquisitore di Dostoevskij («Perché è questo il sogno dell’uomo. Cercare sollievo, sfuggire al peso della responsabilità della scelta.», p. 21), il Siebenkäs di Jean Paul («Far dire a Cristo “Siamo tutti orfani, io e voi, siamo senza padre” nel 1796 in Germania non è cosa da poco.», p. 25), ecc.

Nella risposta di Gesù a sua madre, osserva Morasso a p. 48, si può «cogliere uno snodo esemplare della dialettica fra natura umana (quella di Maria, con tutti i suoi contenuti d’ordine psicologico, “affettivo”) e sovranatura divina (…)». E così ciascun di noi, se medita sulla condizione umana, si sente molto vicino all’autore (pp. 61-62): «Preso dalla domanda sul destino o come nulla o come eternità. (…) e la consapevolezza che l’energia psichica ha bisogno di essere orientata per diventare volontà di bene.»

Poco oltre (p. 63) Morasso ci ricorda che la ”libertà” del Tentatore implica una sapienza politica e mondana che «imprigiona la mente illudendola, [ma] si scontra con la libera decisione del cuore, predestinata all’eterna affermazione della vita». Il testo si conclude (ivi) con queste parole pienamente umane e obbedienti a un Padre sempre misericordioso, che ci ama per quello che siamo e come siamo: «(…) ci sono tante strade, a questo mondo, e non solo la via dritta, per portare a buon fine un’intenzione.»

Nella empatica e appassionata (anche se ardua per la presenza di parecchi tecnicismi filosofici tedeschi) postfazione di Roberto Celada Ballanti ci viene confermato che solo la sofferenza assoluta del Crocifisso ci offre una obbedienza vera e liberante.

Un libro di grande peso specifico, questo di Morasso, e di intensa, sublime bellezza.

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