martedì 4 gennaio 2022

2021 È Natale (Oh-oh-oh-oh-oh!)

di Marco Bottoni



2021

È Natale (Oh-oh-oh-oh-oh!).

Stasera, niente TV.

Piove, e io preferisco il concerto.

È da un sacco di tempo che non scrivo.

Niente, nemmeno un rigo: mi perdonerete.

Piove, e mi piace stare ad ascoltare.


Amo la musica fin da quando ero ragazzino.

La vera musica.

Già a dodici anni, ricordo, mi procurava un piacere intenso ascoltare Mozart.

Beethoven, Verdi.

Rossini.

Senso del brivido.

E solitudine.

C’era, nella musica, qualcosa che andava oltre ai suoni.

O, almeno, io lo vedevo.

Una architettura di spazi e di profondità, fatta di forme e figure.

Dimensioni fisiche in espansione e in crescita, da riempire.

Da abitare.

Ritmo.

Volume.

Spazio.

Profondità.


Niente TV.

Brucio incenso, e ascolto la pioggia.

Il concerto che la pioggia suona per me: i temi, l’armonia.

Il ritmo, le misure.

I crescendo.

Ascolto, e guardo le figure che disegna.

Le dimensioni, gli spazi che crea.

Mi perdonerete.


È Natale (giorno quattordicesimo): “Buona sera!” “Auguri, ragazzi!”

È da un sacco di tempo che non scrivo più niente, nemmeno un rigo.

Niente TV si era detto, ma “venite, entriamo. Bevete qualcosa?”

E intanto sta smettendo di piovere, e io mi perdo il finale del concerto.

“Buon Natale anche a voi”.


Non piove più.

Se ne vanno.

Ecco, la musica è finita.

Adesso si alza un vento teso, sottile.

Fastidioso, si infila fra le pieghe della copertina di lana scozzese, sì, proprio quella dei vecchi inchiodati alla sedia a rotelle, e mi punge le cosce, le ginocchia.

Le gambe.


D’accordo che è Natale, ma mi avete fatto perdere quasi un’ora di concerto, auguri anche a voi, ma, mi perdonerete, quando uno rompe le balle rompe le balle, poteva essere il momento buono per provare a buttare giù qualche riga, sono mesi che non scrivo niente, invece “prosit!”, magari gli auguri potevamo farceli anche all’ora di pranzo e, più di tutto, si era detto niente TV, stasera.


La musica è finita.

La pioggia ha lasciato il posto a un vento teso, sottile.

Freddo.


Ma che dico: freddo?


Freddo è il bosco di betulle, nel grigio dell’alba.

Freddo è il filo spinato, duemila militari armati a difendere i confini della Patria dall’assalto di un esercito di straccioni lividi di fame, raggomitolati nelle loro coperte gelate.

Freddo è il fango ghiacciato, fredda è l’aria che ti morde le ossa, ti attanaglia le gambe e ti spacca le labbra.

E non è ancora notte.


Freddo è il mare Egeo quando il vento te lo scaraventa addosso, a ondate, e ti veste di panni gelati, te e tua moglie, te e tuo figlio, te e tutti gli altri.

Sulla stessa barca.

Freddo è quando la notte non finisce mai e tu bestemmi Dio, e tua moglie singhiozza, e tuo figlio piange forte.

Da ore.


Freddo è quando Egeo ti azzanna mani e piedi, e poi ti stringe in un abbraccio di ore.

Fino a fermarti il cuore.


Freddo è quando dura così a lungo, che nessuno piange più.


Non piove più.

Niente Tv, si era detto, ma è andata così, che “buon Natale, ragazzi!” siamo entrati a bere qualcosa.

E ho visto il bosco.

E ho visto il mare.


Non piove più.

Si è alzato un vento teso.

Fastidioso.

È Natale, io piego la copertina di lana scozzese e rientro in casa.

Al caldo.


Mi perdonerete.

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