Rosse lingue di fiamma s’innalzavano dall’odoroso fuoco di legna e abbracciavano il pentolone nero. La minestra bolliva in un vivace borbottio. Il cielo era azzurro e luminoso, proprio un bellissimo mattino. Nel prato verdeggiante di erba e trifoglio, splendente dopo le ultime piogge, ruminavano tra gli ulivi alcune caprette bianche e altre marroni. Muovevano il muso in un buffo slittamento orizzontale della mascella inferiore. Si erano avvicinate alla staccionata e osservavano con sguardo quieto i preparativi del pranzo di Natale.
“Ci vuole un po’ di sale in più,” disse qualcuno dopo aver assaggiato con un lungo mestolo di legno il liquido denso e arancione che si dimenava nel pentolone.
Altri tripodi, almeno quattro sparsi per il prato punteggiato da fiorellini gialli, erano stati sistemati su fuochi in attesa di padelle, pentole, casseruole con il coperchio. Era tutto un tramestio indaffarato, nell’aria fresca da ridestare i sensi, si preparavano cibi che facevano venire l’acquolina in bocca, e dovunque scintillavano bicchieri, forchette, cucchiai, bottiglie, coltelli, e profumi deliziosi si spandevano tra cielo e campagna.
Il gran numero dei convenuti per il pranzo di Natale si scambiava rapidamente, con voci dai diversi toni e volumi, indicazioni organizzative per tagliare, cuocere, assaggiare, ravvivare il fuoco, imbandire meravigliosamente la lunga tavola di assi di abete. E nell’allegro movimento dei preparativi si condividevano i racconti delle recenti vicende individuali e collettive, e rimbalzavano tra di loro battute scherzose, e c’erano improvvisi scoppi di risate come suoni di grandine sul vetro, e una bottiglia di liquore di muschio fresco, molto alcolico, passava di mano in mano a riempire minuscoli bicchierini rosa. Insomma, una gran gioia avvolgeva tutti e tutto, e qualcuno aveva messo all’opera fisarmoniche e strumenti a corda, e canzoni e danze, in melodie, salti e volteggi, rendevano ancor più incantevole l’attesa del pranzo.
Finalmente, ognuno si dispose al tavolo. Vassoi, zuppiere, piatti ricolmi erano imperlati di vapore e il fumo si spargeva in volute profumatissime.
Poi, una grossa mano che impugnava un cucchiaio rimase titubante a mezz’aria.
“Non saremo mica troppi?” disse uno con voce un po’ cavernosa.
“Mmh… non so…” rispose una vocina sottile come uno zefiro. “Vediamo,” aggiunse la fatina che aveva appena parlato. E indicandoli di volta in volta, contò tutti i commensali pronti per il pranzo di Natale. C’erano sette gnomi di statura abbastanza alta, quattro angeli piuttosto piccoli, quattro elfi e quindici fatine compresa quella che stava contando, per un totale di trenta convenuti.
“Mi pare che il numero massimo permesso dalle autorità sia sei. C’è qualcuno in più…” mormorò la fatina in un silenzio impressionante, grattandosi un po’ un’aluccia celeste. “Però… per noi non ci dovrebbero essere problemi, il nostro pranzo di Natale sarà di sicuro consentito. E allora iniziamo! Buon Natale!”
Il chiasso allegro ritornò, moltiplicato, e brindisi, auguri, canti, musiche e risate esplosero come moltitudini di fiori in sboccio. Le caprette vicine continuavano a ruminare e a osservare con occhi quieti il pranzo meraviglioso.
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