lunedì 14 dicembre 2020

Entrai, senza bussare…

 

 
 
Alla solitudine di un prete

 

Entrai, senza bussare, e trovai un uomo tutto solo, in ginocchio, la testa canuta tra le grandi mani da contadino. Faceva freddo, un freddo pungente. Due piccole candele e poco più in là una lampada rossa, accese, riverberavano nell’oscurità. Nulla si muoveva, ma danzavano soltanto quelle tre fiammelle quasi smorte. Ebbi timore che, da un momento all’altro, si spegnessero tanto erano fumiganti.

L’uomo sembrava come morto, ma bensì era assorto in chi sa quali di quei pensieri che qui si chiamano preghiere. Per questo, non un passo avanti e trattenni il respiro. Distrarlo, forse, sarebbe stato un gran peccato o la frattura di un incanto mistico.

Dalle palpebre serrate, dalle labbra strette, percepii uno sforzo di concentrazione, la contrazione dei muscoli, il corpo pesante e abbandonato.

Attorno, gli sguardi di gesso e di pietra di santi e sante tutti rivolti da nessuna parte in particolare. Pensai che tutti loro fossero capitati lì per caso.

Doveva essere solo, molto solo, percepii, se aveva sentito il bisogno di non aggiungere altro entro quello spazio di silenzio e oscurità. Non si porta nulla quando si è soli, se non sé stessi, ragionai.

Notai, però, che la sua solitudine l’aveva portata ai piedi di un crocefisso ligneo, molto sofferente, là, in alto, quasi nascosto. Il capo incoronato, addormentato sulla spalla che tirava il braccio e la mano inchiodata.

L’uomo inginocchiato e quel crocefisso non si guardavano, ma si dicevano qualcosa, si qualcosa. Infatti, le labbra emettevano un bisbiglio incomprensibile. Avrei voluto tanto accostare il mio orecchio, ma…

Questo canuto deve aver portato qui dei grossi pesi, pesi che prima deve aver spinto, trascinato, con chi sa quanta fatica e pena. Mi sembrava di vederli tra il suo capo e le mani, ma anche sotto le ginocchia. Avrei voluto, per questo, domandargli: Ti hanno ferito?

Preferii restare a un passo dall’uscio, a un passo dalla ferita di luce che una monofora provocava sul grigio pavimento.

Pregare come lui? Ma io venivo dai rumori e dalle luci artificiali abbaglianti. Perciò, decisi di non entrare oltre, di non superare il limite, di non sfiorare il silenzio, di non approssimarmi alla solitudine. Chi ero io per far tutto questo?

Forse, pensai, quest’uomo sta curando, medicando, fasciando il suo cuore, stanco e vuoto.

Chi lo sa? Ma altro non volli immaginare. Si chiama: rispetto.

Sollevai quindi i miei occhi verso il crocefisso, chiesi misericordia e, in punta di piedi, stando attento a non urtare, a nulla infrangere, uscii. Nel chiudere la porta notai che le due candele si erano spente, la ferita di luce era scomparsa e la rossa lampada colorava il volto dell’uomo che, nel frattempo, s’era sollevato mostrando un gran sorriso.

Era la sua risposta al termine della preghiera. Poi, non so come, ma riuscii a udire: Domani sarò di nuovo qui, in ginocchio, in preghiera!

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