Lo incontrai per caso, una mattina, mentre passeggiavo, le mani nelle tasche, un po’ smarrito, senza meta.
Sedeva, le gambe accavallate, su una panchina sgangherata, a due passi da un piccolo parco giochi dove due mamme tenevano a bada due marmocchi che giocavano, e da una pista per skateboard dove un adolescente annoiato andava su e giù senza dare spettacolo.
Mi sedetti, pur non invitato. Gli diedi un’occhiata, dalla testa ai piedi, e lui per tutta risposta mi salutò: “Buongiorno! Mi permetta di presentarmi. Mi chiamo Covid. Lei, immagino, sa chi sono!”.
“So bene chi tu sia!”, gli risposi guardandolo dritto negli occhi.
Abbozzò, quindi, un mezzo sorriso, no, meglio, un allargamento delle labbra, sottili e bluastre.
Poi, aggiunsi: “Le porgerei la mano, ma… Perché ti sei seduto qui? Ci sono due bambini, un ragazzo”.
Non mi rispose, ma abbassò lo sguardo. Un anziano passò davanti a noi, passo spedito, sembrava agitato. Notai che lo seguì con lo sguardo e allargando ancora una volta le labbra che aveva inumidito.
“Sa, avrei voluto sedermi molto più in là, ma poi non ho resistito alla tentazione. Siete tutti così ridicoli!”.
“Ah, questa poi, siamo ridicoli?”.
“Avete paura”.
“Sì, è vero, abbiamo paura”.
La mia voce tremò. Deglutii la saliva.
“Paura? Perché? Avete la scienza, la tecnologia. Costruite grattacieli, andate sulla luna. Concepite in provetta, comunicate in tempo reale…”.
S’interruppe. Un violento colpo di tosse lo sconquassò. Si riprese, dopo aver messo un fazzoletto di cotone sulla bocca.
“Abbiamo paura, perché…”, ci pensai.
“Perché siamo umani! Ecco, sì, perché siamo umani!”.
“Perché, perché siete umani? Tutto qui? Perché siete umani? Non ha di molto meglio da dirmi?”.
E iniziò a ridere, a ridere. Una risata grassa, antipatica, che fece voltare verso di noi una delle due mamme. Guardandolo ridere, pensai: Si diverte, eccome se si diverte!
“Sì, perché siamo umani! Quella che vedi, è la nostra vera natura. Aver paura non è un crimine, ma una forza”.
“Una forza?”.
“Sì, una forza! Quando abbiamo paura, allora, pensiamo, riflettiamo, capiamo, ci ingegniamo, scopriamo, inventiamo”.
Mentre parlavo, mi osservava attentamente, con occhi incuriositi, indagatori, interrogativi. L’espressione del viso si era fatta molto seria. Le grasse risate erano lontane. Quel suo modo di guardarmi mi diede coraggio e proseguii.
“Sono state anche le nostre primitive paure a spingerci sempre più avanti, a costringerci a esplorare il mondo sopra, sotto e dentro. Le nostre primordiali paure sono state sempre delle sfide, sfide da affrontare, vincere e superare. A ben guardare la nostra storia, tutta la storia, non abbiamo mai avuto paura delle nostre paure”.
“Sai, ti sto ascoltando”, mi disse distendendo le gambe e rilassandosi.
“Ecco, tu Covid, sei una nostra paura, ma non abbiamo paura di te”.
Mi sorrise sgranando gli occhi di un blu irlandese difficilmente leggibile.
“E come tutte le nostre passate paure – ripresi –, anche tu ci farai fare dei passi in avanti, ci farai pensare e riflettere, studiare e scoprire. Ma, soprattutto, ci farai rientrare in noi stessi, perché devi sapere che dalla nostra parte non abbiamo solo la ragione, ma anche una sorgente inesauribile, che chiamiamo: Cuore”.
“Cuore?”.
“Sì, cuore!”.
“È il nostro cuore che ci fa vedere oggi il domani, nella notte il giorno, nel concepito l’uomo, nella tristezza la gioia. Senza il cuore le nostre ataviche paure ci avrebbero tenuto prigionieri dentro le caverne, non avremmo pellegrinato per tutta le terre, non avremmo navigato per tutti i mari, non avremmo esplorato le profondità della Terra, non avremmo spiccato il volo, non ci saremmo tuffati dentro il cielo stellato, non avremmo posato i nostri piedi sul volto della Luna, non avremmo chiamato madre la Terra, non avremmo chiamato fratello il Sole, non avremmo visto e creduto in un uomo di Nazareth Dio Padre, non avremmo riconosciuto fratello e sorella ogni uomo e donna, non avremmo costruito e abitato case, scuole, ospedali, negozi, officine, industrie, non avremmo scolpito, dipinto, scritto, poetato, composto, musicato, suonato, cantato, recitato, non avremmo cercato e trovato il senso e il fine del nostro viaggio terreno”.
Presi fiato.
Il suo sguardo divenne un sorriso amaro, quasi una smorfia di dolore.
Nel frattempo, le due mamme con i loro bambini, mano nella mano, erano andate via, così anche il ragazzo raggiunto dalla sua ragazza.
Covid si guardò attorno come per cercare qualcuno, qualcosa.
Le strade erano deserte. Il cielo, primaverile, ospitava il volo allegro di uccelli ignari. Un bus si fermò alla fermata, non scese nessuno, nessuno salì.
Covid si alzò. Alto, magro.
“Ho capito, ho capito! Qui non ci sto a fare nulla! Ciao!”.
“Addio!”.
Si allontanò flemmaticamente e scomparve dietro gli alberi del parco.
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