giovedì 19 marzo 2020

FU UN MARZO MACCHIATO



Fu un marzo macchiato, tinto, sporco.
Doveva essere inverno e non fu inverno, doveva essere estate e non fu estate. Non fu marzo, ma né febbraio e né aprile.
L’aria non seppe chi fosse.
Le mani, camminando, gelavano, ma non perché facesse freddo, anzi.
Qualche margheritina qua e là, ma, si sa, una rondine non fa primavera! E a sera, all’imbrunire, quando il tramonto t’avvisa, stormi di uccelli tra i rami e le foglie a centinaia impazzivano e gridavano, gridavano. Perché?
Nelle case si stava soli, ma solo era anche il vicino e il micio che s’aggirava e il bastardino randagio quello che incontrandolo ti guardava con i suoi occhioni da spaventato.
Poverello fu il vecchietto, ma poverello fu anche il bambino. E ancor più poverella fu la via senza il pallone e i vecchi a passeggio.

Se marzo non è tutto e niente, ditemi voi: Che marzo è?
Chiamarlo marzo è un errore lessicale. Eh, ohibò, che parolone! Orsù, dunque, allor si cambi presto il suo nome. Sì, si faccia un Gran Consiglio e l’Accademia studi una parola nuova. Ma, geni non ce ne sono. Inventar una nuova parola, e come si fa?
Marzo, marzo pazzerello…
Che si lasci il nome marzo, scrisse un Chiarissimo battendo e ribattendo il martellone di legno. E allor, un gran baccano, poi, scoppiò. Ed eccoli i Custodi del Libro delle Parole offendersi l’un l’altro con volgarità d’altri tempi. Ci sono anche queste nel Libro?
La Gazzetta Ufficiale stampò e decretò: Marzo è, e marzo sia e marzo sarà in saecula saeculorum. Ma, par che qualche Poeta, di quelli tosti, non fu d’accordo. Oh, pazzi! son niente il cielo? e le case? e le facce della gente, son niente? si lesse, all’indomani della sentenza, sul muro bello della scuola. E un maestro, rispose: Somari, studiate!

Oh, marzo, marzo, or tu non t’infuriare perché anche il nome ti voglion cambiare.
Arrabbiarsi non fa per te. Su, via, non sei mica un critico d’arte! Credi a me, lascia dire. Che brighino e s’azzuffino. Però, tu, un po’ d’orgoglio, non l’hai? Dimmi: Sei proprio deciso a passar alla storia come l’unico mese al quale fu cambiato il nome? Di Robespierre, in giro, non ne vedo. No! E allora, datti da fare! Oh, diamine, dopo tutto, il nome è tuo mica nostro. È il tuo nome che voglion cambiare mica il nostro.
Un sussulto, allora, poi.
E marzo si disperò perché smarrì la maschera, il copione e l’identità.

Fu un marzo senza parole. Ma…
I colori sulla tavolozza si seccarono.
Morirono quasi tutte le api e anche le regine.
Si scoprì con gran clamore che le plastiche non uccidono.
Una foto scattata dal satellite Leopardi mostrò a tutti la Padana che non sembrava la Padana. Mmmhhh, è che sia un fotomontaggio?
Oh, ma che diavolo succede? Scemo, non lo vedi? Hanno spento i motori!
Nei giorni che seguirono s’iniziò a vedere qualcosa che non si vedeva da secoli.
Gl’impressionisti uscirono di casa e andarono all’aria aperta.
I romantici ripresero a scrivere esattamente dal punto che avevo lasciato in sospeso.
Nel suo anno Beethoven tornò a comporre, ma parlava la lingua di quell’italiano, un tosco, che in una settimana viaggiò dagli Inferi, dall’infima lacuna, alle stelle e al Sole.
Uno di Urbino prese ad affrescare una parete dell’Ospedale nuovo dicendo d’esser un discendente d’un certo Sanzio benemerito.
Oh, mio Dio, che rivoluzione!

Il nostro disgraziato marzo che fu, si lasciò cadere, tramortito, poi, dalla supplica di un bambino: Mamma, mamma, quando potrò uscire per andare a giocare a pallone con i miei amici?

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