Non è una
malattia. È molto di più. È un bisogno ontologico e, insieme, biologico. Sì, un
bisogno: come l’aria, l’acqua, il pane, la luce del sole. E come accade per
tutti i bisogni primari, quando non è soddisfatto provoca tensione, stress,
malattia.
Leggere, scrivere. C’è e ci sarà
sempre qualcosa da leggere, non importa che cosa. C’è e ci sarà sempre qualcosa
da scrivere, talvolta non importa che cosa. Arthur Rimbaud è stato sin da
bambino un avidissimo lettore. Leggeva sempre e di tutto.
Come si nasce con i bisogni che
l’istinto induce a soddisfare, così anche il bisogno della lettura e scrittura
nasce con l’uomo, ma mentre in molti casi è del tutto o quasi assente, in
alcuni è predominante. Se questo non fosse vero, non avremmo avuto Oscar Wilde,
per citarne solo uno. E mentre i bisogni dell’istinto richiedono anche stimoli,
per il nostro non è necessario. Si può nascere in un ambiente privo di stimoli
intellettuali. Allora, penserà l’individuo a cercarli e trovarli in se stesso e
nei paraggi. Rimbaud trascorreva intere giornate chiuso nella biblioteca e nei
librai di Charleville.
Ci sono
stati lettori e scrittori febbricitanti. Uno tra i tanti, Giacomo Leopardi.
Insaziabili, sempre insoddisfatti. Senza pace, tregua. Leopardi non aveva
bisogno di una biblioteca esterna, questa l’aveva in casa. Ecco, anche il
perché del suo “studio matto e
disperatissimo”. Ebbe a sua disposizione sedicimila volumi. Lui fu uno di
quei casi dove non fu necessario uscire e allontanarsi di casa per rispondere
al bisogno impellente di leggere, leggere, leggere.
La biblioteca l’aveva in casa, insieme
ad altri stimoli. Ma chi non aveva né biblioteca né stimoli in famiglia non si
è disperato. È uscito fuori, è andato, ha cercato, ha trovato. Pensiamo a
Charles Dickens, a Walt Whitman. Anche per questi vale dire che il bisogno era
innato ed essendo tale andava sfamato e dissetato, pena la noia, l’indolenza.
Rimbaud così si lamenta in una delle
sue lettere a Georges Izambard: “Speravo
soprattutto in libri, giornali… Niente di niente!” (Charleville, 25 agosto
70). Meno male che… nella stessa lettera, più avanti: “Per fortuna, ho la sua stanza [...]. Mi sono portato a casa la metà dei suoi
libri”. Ma, poco oltre ancora: “Mi
son letto ormai tutti i suoi libri, tutti. […] Non restava più niente, la sua biblioteca,
la mia ultima àncora di salvezza, era esaurita!”.
Ecco perché Rimbaud, un bel giorno,
non ce la fa più e inizia a evadere, a partire, a camminare, a viaggiare: non
si fermerà più!
Dunque, una malattia? Di più, molto di
più, ovviamente! In lui, come in tanti altri, i vuoti andavano colmati. Non si
poteva lasciarli com’erano. Altri poteva lasciarli così, ma loro no. Questo,
non era possibile. Ne andava di mezzo la loro stessa vita fisica oltre che
l’equilibrio psichico. E quando qualcuno di questi si è fermato, ha smesso di
soddisfare l’innato bisogno, ecco il degrado e con questo la sua estrema
conseguenza: la morte. Due casi per tutti: Paul Verlaine, Oscar Wilde. A
questi, come ad altri, non fu permesso lasciar perdere lettura e scrittura. Eppure,
qualcuno si doveva arrendere di fronte ad una fatica insaziabile, inesauribile.
Forse, non è umana la resa e il riposo? Sembrerebbe, però, che chi è come loro
non abbia il diritto di dire: Basta!
Di questo
bisogno, che in fondo, diciamolo, è anche una malattia (perché no!), siamo un
po’ tutti debitori. Il genere umano deve molto a quanti hanno risposto a quel demone che albergava dentro di loro
rendendoli inquieti, instabili, insoddisfatti, tormentati, perennemente in
stato di agitazione. Infatti, senza di loro tutto sarebbe stato meno chiaro,
comprensibile, leggibile, tangibile. Oggi, non vi è dubbio, avremmo molte più
ombre, oscurità, paure, nebbie, notte.
Dopo aver letto, e non solo pagine
stampate, e scritto, hanno saputo interpretare la realtà (terribile), il
Secolo, il Mondo, la vita passata presente e futura. Sono stati i nostri occhi,
il nostro occhiale, i nostri sensi. Senza di loro la Storia intera non sarebbe
quella che è. Se proviamo a toglierli, anche solo per gioco, alcuni conti non
tornerebbero. Per noi hanno inteso, compreso. Sono stati intelligenti. Il
tormento è stato ripagato con la Verità, con il Sole. Hanno riflettuto per
tutti noi. Il loro bisogno ha colmato i nostri bisogni assopiti, sconosciuti,
nascosti.
Quando
pensiamo a Leopardi, come non sentire, provare gratitudine? In un mondo, il
nostro, dove dire semplicemente: Grazie! è un vero miracolo, ringraziare
scrittori e poeti sembra un lusso che proprio non ci possiamo permettere.
In quella landa desolata che è la
nostra società, dominata dai mercati, dalle economie, dal tornaconto, andare a
leggere quel che ha scritto Dickens, Whitman, appare una raffinatezza
aristocratica.
Mancanza di lavoro, alto tasso di
disoccupazione giovanile, recessione economica, nuove e devastanti povertà,
fanno vergognare quanti leggono e scrivono, sfogliano quanto altri hanno letto
e scritto. “Non si magia il pane bianco
nelle strade dei poveri!” (da un ricordo di Don Lorenzo Milani). Verrebbe
voglia di gridare, parafrasando: “Non si
legge e non si scrive nelle strade dei poveri!”.
Ma molti di noi non la pensano in
questo modo. E no, non si vergognano quanti lasciano che le pagine stampate
parlino, interpretino leggendole, come altrettanto non si vergognano di
scrivere gettando a piene mani manciate di semi di Verità, di luce. Don Milani
nella sua Barbiana ha continuato a mangiare il “pane bianco” della Cultura per, poi, darlo da mangiare ai suoi
poveri.
Per questo,
il bisogno di leggere e scrivere non avrà mai fine. Altri bisogni primari,
elementari, verranno soddisfatti, troveranno appagamento, ma questo no. No,
perché mosso da una fame e sete che nulla hanno a che vedere con l’affamato e
l’assetato. Si tratta, infatti, di un bisogno ontologico, abbiamo già detto. E
l’Essere non è mai pieno. Parliamo dell’Essere umano.
Leopardi, Rimbaud, rappresentano, sono
tra i vertici di un Essere in perpetuo divenire, di un moto permanente, di una
ricerca che nessuna pur estrema esplorazione può far cessare, fermare. Non
esiste per uomini come loro un non plus
ultra che blocchi, che scoraggi, che induca ad ammainare le vele, ad
appendere le scarpe al chiodo.
Prima di loro e dopo di loro altri,
che non hanno chiuso la loro breve giornata terrestre senza aver scritto e
lasciato da leggere le loro parole, i loro versi.
Canta Whitman: “Che tu sei qui – che esistono la vita e l’individuo, / Che il potente
spettacolo continua, e che tu puoi contribuirvi con un tuo verso” (da Ahimè! Ahi vita!). “… che tu puoi contribuirvi con un tuo verso”.
Gli fa eco, per tutti noi, Robert Frost: “Divergevano
due strade in un bosco, e io… / Io presi la meno battuta, / E di qui tutta la
differenza è venuta” (da La strada
non presa).
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