lunedì 26 novembre 2018

Fendere la quotidianità con fine ironia

Maria Lenti, Certe piccole lune, Rimini, FaraEditore 2017, pp. 129, € 12,50

recensione di Pia Bacchielli pubblicata su Literary.it



Piccole lune e amabili orizzonti nella raccolta di racconti di Maria Lenti vincitori del concorso Narrabilando. Certe piccole lune, appunto. Narrazioni che fendono la quotidianità con finezza, ironia e perfino quel dolore che sottende comunque il vivere. Il volgersi dei giorni, dei mesi, delle lune.
Lune che vagano a ponente sui monti, lune ammalianti, bugiarde, storte, bislacche.
Come l’amica Anna Maria che perde l’ombrello e lo ritrova mentre chiacchiera di baci e camporelle. O la stazione desolata dell’Appennino calabrese che sembra un quadro di Carrà. E che dire della ragazzina in gita a Monaco che rimane incantata davanti al garage da dove è sicura che il principe Alberto, a bordo di una auto rossa fiammante, le abbia lanciato un’occhiata amorosa? Bislacco il don, insegnante di religione, che diventa livido alla sola ipotesi di aprire il culto, nei ministeri sacerdotali, alle donne. Meglio un “ognuno per sé e Dio per tutti”, e lasciarlo alle sue smanie egoiche. E poi gli amori in macchina, monovolume sedili immensi. La pasta con il pane per il Poeta e la Signora, ricchi di nascita, crescita e vivenza. Ma che chiccheria, però. Il giovane Ling che è in Italia per studiare gli ulivi, chissà se avremo pure l’olio Made in China.
Ma a volte le lune hanno anche quella dark side che non vorresti conoscere. Ecco allora, bello e struggente, il racconto a due voci di Lio e Pinella, piccolo capolavoro sul filo di un istante. O la “prova in giallo”, con quel Angelo Maria Rossi medico condotto dal sapore simenoniano, il cui finale non è dato rivelare.
E certo non poteva mancare Urbino, la urbs “bina”, la “città dell’anima” espressione felice del sommo Carlo Bo che ogni urbinate ha fatto sua, con le pie cantate della zia Metilda, le querce, il dialetto, i riti di Pasqua con i passatelli in brodo, il torrente Apsa dalle “fiumane pericolose e benefiche”, il Palazzo Ducale, le Cesane, alberi e piante che “sembrano scese da quadri rinascimentali”.
Tutti i racconti sono scritti in prima persona “con una “me” – racconta Maria Lenti – che vive nel presente e nel passato. Perché il passato è in me e costituisce il mio presente”.
“Divertimenti, suggestioni”, suggerisce lei. Racconti scritti nell’arco di cinque, sei anni a parte l’ultimo che è del ’63 ma “rivisto e corretto”.
Nessun filo conduttore “se non di me che racconto”, spiega. Ecco allora lo sguardo di una donna che è bambina, studentessa, poi prof, “che guarda ma è anche guardata”. Con libri, film, incontri a costruire un vissuto in cui spesso ritroviamo noi stessi. Riconoscendoci nelle domande che i vari personaggi si fanno: Che futuro ci aspetta? Cosa è la vita? E l’amore?
La scrittura fluisce fluida e nitida perché Maria Lenti è soprattutto una poetessa ma anche saggista e giornalista.
“La scrittura – spiega – è una parte importante della mia vita. La poesia sottrae le parole, ne dice poche per dire molto. Il racconto ha la necessità di far capire. Di far venire fuori il personaggio dalla pagina”.
In questi racconti molta “ironia, ricordi, presente, passato rivissuto ma senza nostalgia”. “No, non tornerei giovane. Quel senso della speranza e del futuro è andato a costituire quella che sono oggi. Va bene così”. Perché piccole lune vegliano, comunque, su di noi.

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