di Ilaria Brandi
La collezionista è uno spaccato – a tratti esilarante – della realtà degli “umanisti” in cerca di occupazione e di una generazione con punti di riferimento (anche parentali) da ricomporre con tutta la fatica del vivere.
L'autrice Chiara De Luca è stata così gentile da rispondere alle domande che ci siamo fatti dopo la lettura del libro.
Federica
ha una grande profondità psicologica e chiaramente è stata pensata
con caratteristiche specifiche, e si sa che ogni autore mette molto
di sé nei propri personaggi. Esattamente quanto di lei c'è in
Federica?
Di
solito scriviamo soprattutto di quel che avremmo voluto o potuto
essere, o di quello che non avremmo voluto. Ho scritto La
collezionista quando avevo poco più
di vent’anni, quindi adesso –
per fortuna, altrimenti sarebbe preoccupante –
lo sento abbastanza distante da me, concettualmente e
stilisticamente. Di Federica sicuramente ho il cinismo, che maschera
un amore spesso deluso e tradito per l’umanità, un amore che ti
spinge a volerla e sperarla migliore, e quindi a colpirla e
stuzzicarla. Di Federica ho l’ironia come nascondimento, come
maschera che stempera e sdrammatizza anche il dramma, in nome della
consapevolezza che alla maggior parte della gente non importa un
cazzo di come tu stia e di chi tu sia davvero. Di Federica ho il
principio di economia della conversazione, sintetizzato nel testo
dall’uso dei corsivi per indicare i pensieri della protagonista,
che spesso contraddicono e sbeffeggiano le parole pronunciate in
tondo. I corsivi che usi tra te e te, non per ipocrisia o vantaggio,
ma perché sei convinto che non valga neppure la pena di dar voce a
ciò che pensi, di svelarsi e rivelare il proprio punto di vista a un
interlocutore che non ti potrà mai capire. Di Federica ho il sorriso
e la scrollata di spalle nella tempesta, la fede (ricca) che prima o
poi il cielo si schiarisce, forse. Di Federica ho lo sguardo
disincantato sulle relazioni e su quelle cose che chiamano amore
e amicizia,
di cui tutti si riempiono la bocca, ma che quasi nessuno ha mai
incontrato nella loro più vera essenza. Di Federica ho la forza e la
caparbia di non accontentarsi e la capacità e la gioia di stare sola
(ora molto più che allora). Come Federica anch’io m’innamoravo
di fantasmi, costruzioni della mia fantasia. Per concludere tutte le
sante volte con Rimbaud: “Così, ho
amato un porco. Non ho dimenticato nessuno dei sofismi della follia”.
Ma questo accade a vent’anni, poi, si spera, cresci e capisci che
trovare l’amore è come vincere alla lotteria di Capodanno. Quindi
è tempo sprecato cercarlo, ancor più sprecato inventarlo e far
dipendere la propria felicità da una casualità così rara e
fortuita. Così com’è tempo sprecato scrivere a Babbo Natale.
Federica lo fa, ma né io né lei abbiamo mai creduto davvero che
avrebbe risposto. Babbo Natale è quella persona che ti riconosce,
che individua in te un merito, una capacità, e decide di
valorizzarla, di darle spazio. Con il tempo impari che nessuno fa
niente per niente, che nessuno risponde alla letterina anonima di un
bambino. Non ho mai conosciuto un uomo (o una donna) di “potere”
– sia pure di poterino poetico e letterario – disposto a
riconoscere il merito di un giovane e a valorizzarlo, disposto a
trattarlo da pari a pari. Umanamente, dico, perché è ovvio che dal
punto di vista professionale un giovane ha tutto da imparare. Ma
anche le persone più intelligenti sono poi inaspettatamente
sensibili all’adulazione, desiderano venerazione, lodi sperticate,
occhioni spalancati e stupiti, approvazione acritica e bavosa.
Perfino Babbo Natale va adulato incondizionatamente. Ma per farlo
bisogna averne la stoffa: non ti puoi improvvisare adulatore
(altrimenti detto leccaculo), se non ce l’hai nel sangue. Non sei
credibile e risulti ancora più fastidioso. Come ogni creatura
indipendente. Immagino esistano eccezioni. Come alla lotteria. Come
in amore. Ma è tutta questione di culo. Nessuno è artefice del suo
destino.
Ha
avuto anche lei un'esperienza simile a quella di Federica nel campo
lavorativo?
Diciamo
che Federica in molti casi fa quello che sarebbe tanto piaciuto fare
a me. Ma che non ho potuto permettermi a mia volta di fare. Alla sua
età ho sempre accettato lavori di merda per quattro soldi, spesso
anche per gente che non stimavo. Non ho potuto mandare affanculo i
personaggi grotteschi che Fede incontra, voltando loro le spalle
senza rimpianto. Ma avrei voluto farlo. Così l’ho fatto fare al
mio personaggio, come spesso avviene, perché in fondo loro sono di
carta, non pagano le conseguenze delle proprie azioni, non devono
davvero pagare l’affitto delle loro “similstanze”, né
mangiare. A differenza di Federica io avevo un cv – variamente
emendato e censurato – per ogni occasione. Troppo
qualificata era spesso il verdetto e
la condanna. La gente di solito non vuole persone troppo qualificate
tra i piedi, persone che fanno troppe cose, persone curiose, che
hanno troppe idee e iniziative. Hanno paura che una persona
intellettualmente indipendente “alzi la cresta”, che sia
presuntuosa o pretenziosa. Magari che voglia pure essere pagata il
giusto. La persona qualificata è scomoda, rompe i coglioni,
diciamocelo. Rischi che ti metta in discussione. Puoi presentarti con
tutta l’umiltà del mondo, con tutta la voglia di lavorare e
imparare del mondo. Il cv ti tradisce sempre. E anche il tuo sguardo.
Anche se il cv di fatto non dice niente, almeno non tanto quanto lo
sguardo. Perché quello che so fare non l’ho imparato certo lungo i
percorsi istituzionali che ho seguito, all’Università o durante i
master e i corsi di (de)formazione. Anche perché nessuno ti può
insegnare a scrivere o a tradurre. Semmai ti possono insegnare a fare
il p.r. e a “sfruttare le occasioni”. Cosa che non ho mai voluto
imparare a fare.
Qual
è stata la scena più difficile da scrivere ?
Non
ricordo bene… probabilmente l’inizio, come tutti gli inizi. Poi
ricordo che il resto del libro venne di conseguenza. I personaggi
cominciano a perseguitarti al supermercato, mentre corri, mentre
passeggi per le strade, mentre fai la doccia. Vogliono essere
scritti, parlati: ti assillano, ti dettano dialoghi e situazioni. La
cosa più difficile è sempre il lavoro di lima successivo.
I
personaggi nel suo libro sono completamente inventati o sono
ispirati da persone esistenti ?
Tutto
ciò che scrivo viene dalla realtà e dall’esperienza. Credo che
non si possa scrivere di altro. I personaggi della Collezionista
sono nati per condensazione e spostamento. Ciascuno di loro è un
tipo,
spesso una caricatura, che condensa in sé le caratteristiche di più
di una delle persone che ho incontrato nella realtà. Nessuno di loro
è una persona sola. Altrimenti la collezione di Federica sarebbe
stata infinita e ripetitiva. Perché i tipi e le situazioni umani si
ripetono sempre senza troppa fantasia.
Cosa
direbbe ai ragazzi che si trovano nella stessa situazione di
Federica, o in una ancora peggiore ?
Potrei
dire, come fa Federica, trovati una
raccomandazione. Ma credo che molti
giovani oggi lo sappiano bene. Sono cresciuti coi talent della De
Filippi, con l’idea che tutto ti sia dovuto e che si possa accedere
alla celebrità da un giorno all’altro, senza faticare troppo per
dare forma al proprio talento. Sono cresciuti con gli youtuber e gli
influencer, persone premiate per essere mediocri, per non saper fare
nulla, per improvvisarsi. Credo siano loro
oggi gli esempi. Non certo chi si fa il mazzo per migliorarsi senza
mai accontentarsi, chi fa fatica, chi lotta ogni giorno per crescere,
chi il potere l’ha gettato dalle mani. I giovani di solito vengono
da me freschi di laurea e vogliono sapere come accedere alle “riviste
che contano”, come farsi invitare al tal festival o al talaltro,
come raggiungere questo o quell’altro. Vogliono che sia assegnato
loro un libro da tradurre e fissato un “congruo compenso”, senza
neppure fare una prova di traduzione. Non accettano consigli sulla
scrittura, figuriamoci le critiche. Quindi io mi sento sempre la
persona meno indicata per dare consigli, o almeno il genere di
consigli che la maggior parte delle persone vogliono sentire. Per
questo ci sono i tanti Pippobaudi e le tante Mariedefilippi della
letteratura, che ti mettono un microfono in mano e ti celebrano sui
social come il novello Rimbaud o il nuovo top gun della traduzione,
con la foto Durbans di te fresco di parrucchiere. Quello che posso
consigliare io è di non perdere tempo con me. Di attaccarsi alla
giacchetta di quelli che contano, di adularli e assecondarli. Di
esserci sempre, essere ovunque. Oggi poi ci sono anche i social per
raggiungere chiunque e nutrire il suo ego di like in qualunque
momento, qualunque cazzata pronunci. Così si hanno più probabilità
di essere al posto giusto, al momento giusto, con la persona giusta,
le parole giuste, ecc. Io non sono sicuramente la persona giusta. Mi
sconsiglio caldamente.
Se
invece mi venisse a trovare l’ultima sperduta Federica superstite
le direi: non perdere tempo in manini e maneggi e armeggi. È così
piccola la posta in gioco. Non vale la tua libertà e onestà
intellettuale. Non la varrebbe neppure se fosse enorme e non ha nulla
a che fare con la tua felicità. Piuttosto studia, leggi, corri,
traduci, sii felice. Cerca il Sole, l’aria, la gente, gli animali.
Dedica a loro il tuo tempo, perché è da lì che arriva la scrittura
più vera. Godi come un riccio di quello che fai. Spaccati la testa
su ogni singola parola, come se da ogni tua singola parola dipendesse
la salvezza del mondo. Divora tutti i libri che puoi, studia, lavora,
non accontentarti mai. Butta 10.000 poesie prima di pubblicarne una.
Prima lasciale in purgatorio per mesi e vedi quale si salva, sempre
che se ne salvi qualcuna. Non pubblicare ovunque ti capita. Non
partecipare a cordate antologiche di poeti sul trend del momento e
accozzaglie festivaliere che non hanno il coraggio di fare
differenze. Non buttarti nel grande minestrone della letteratura per
tutti. Cerca rapporti veri, rapporti alla pari, cerca persone che
davvero stimi, anche se non hanno soldi né potere, anche se fanno la
fame. Valle a stanare. Non cercarle ai festival e alle letture e sui
giornali. Non concedere autorità e autorevolezza a chi non la merita
ai tuoi occhi. Ma soprattutto: non scrivere a Babbo Natale, non
spedirgli cv. Non sprecarci neanche il tempo e il francobollo. Babbo
Natale non sta dietro a una scrivania e nessuno sa il suo indirizzo.
È probabile che viva di espedienti, che faccia fatica a tirare
avanti. Cercalo per le strade, guardalo negli occhi. Lo riconoscerai
all’istante.
Secondo
lei, si può fare qualcosa per migliorare il fenomeno della
disoccupazione in Italia?
Penso
che ci vorrebbe una rivoluzione. Ma il ’68 insegna che chi crede
davvero alla rivoluzione finisce male. Gli altri accedono al potere,
si sistemano e perdono l’ansia di rivoluzione, diventando
esattamente come le persone contro cui protestavano. Perché in
realtà volevano essere al loro posto, avere potere. Va a finire
sempre così. Tutti i guerrafondai e i ‘duri e puri’ della mia
generazione che conosco hanno abdicato a tutti i loro bei principi,
alla loro voglia di cambiamento e ai nostri bei discorsi appena hanno
trovato un posticino al Sole nel sistema. La loro rabbia nasceva solo
dall’esclusione. Dopo anche tu diventi un fastidio. Un testimone
scomodo da eliminare.
Ora
come ora il cambiamento lo vedo impossibile. Il discorso sarebbe
lunghissimo. Prendiamo solo il campo intellettuale. Nel campo
intellettuale tutto si fonda sul commercio e sullo scambio di favori.
Faccio solo due esempi. Quando finii il dottorato, mi dissero: “non
fare quel concorso. Non è il tuo
concorso”. “Il mio
concorso? Ma siamo pazzi? Io non voglio il mio
concorso! Io voglio combattere ad armi pari!” Pensai io. Alla
prospettiva di dover attendere il tuo
concorso, che ovviamente non arriva mai se non hai un pigmalione e
non sei l’amante, il figlio, il parente di qualcuno, ho deciso che
la carriera universitaria non faceva per me.
Una
volta, il giurato di un importante concorso letterario mi disse: “Ma
tu lo conosci il presidente di giuria?”. Dissi: “sì, sì, certo!
Conosce già bene il mio lavoro”. E lui mi disse: “No, intendo:
lo frequenti abitualmente? Gli telefoni? Stacci dietro, fatti
sentire!” Ovviamente risparmiai i soldi della spedizione. Certo,
non va sempre così. Ci sono anche eccezioni di copertura, contentini
lasciati ai poveri, come briciole gettate ai cani sotto il tavolo
dopo il cenone di Natale. Che è la botta
di culo su cui conta Federica e che
di tanto in tanto è capitata anche a me.
Ma
la botta di culo non è la regola su cui contare per mangiare. È
l’eccezione. Cosa mai potrà cambiare se la gente accetta che
esistano concorsi ad personam e
si organizza di conseguenza… In fondo è molto più facile amicarsi
quelli che contano (al massimo fino a dieci), leccare culi, preparare
caffè e andare ai cocktail, che farsi il mazzo a lavorare da soli in
una stanza in silenzio. Per fare questo devi considerare la scrittura
una missione, una religione, con una sua Regola. Molto meglio
l’eterno carnevale.
Credo
che ora come ora si possa cambiare soltanto la propria situazione
individuale. A meno di miracolose quanto improbabili botte di culo,
credo che per una persona integra, non disposta a compromessi e
incapace di venerazione acritica non ci sia posto nel campo del
lavoro intellettuale oggi. Credo che quel posto se lo debba creare,
che un lavoro se lo debba inventare, reinventando anche se stesso,
acquisendo più competenze possibili, tuffandosi nel vuoto senza
appiglio. Senza nemmeno pensare al futuro, ma solo alla sopravvivenza
giorno per giorno. Anche perché le persone libere sono molto
malviste dal sistema, che ti renderà la vita molto dura. Anche
quando stai nel tuo e non rompi i coglioni a nessuno. Soprattutto in
quel caso. Perché il delitto peggiore è non chiedere, non avere
bisogno di loro.
Credo
che l’unica strada percorribile e realistica, ora come ora, sia
quella del cambiamento individuale, quella della libera professione.
Ma non ci si lasci fuorviare dalle etichette di comodo. Il ‘libero’
professionista non è affatto libero. Il libero professionista vive
senza paracadute. Il libero professionista non ha orari, né vacanze,
non conosce week end, né congedi. Non ha neppure la libertà di
ammalarsi. Non è affatto svincolato da doveri, ma tenuto a servire
il suo socio parassitario, ingordo e invadente: lo Stato. E lo Stato
è acerrimo nemico del piccolo imprenditore, cui porta via gran parte
dei guadagni senza restituirgli in cambio alcuna garanzia. Del resto
la libertà e la dignità sono i beni più preziosi. Perciò li paghi
a prezzi d’inflazione.
Ci
sono delle scene che ha deciso di non includere nel manoscritto
finale ?
No,
non ci sono scene censurate dalla Collezionista.
Ha
mai pensato di scrivere un seguito per La
collezionista?
Dopo La
collezionista ho scritto quattro
romanzi non destinati alla pubblicazione, ma che in qualche modo
forse avevano a che fare con Federica. Poi ne ho scritto un altro,
nel 2007, concepito proprio come un sequel e da me ritenuto
pubblicabile, anche se non molto gentile con poeti e letterati. Si
chiama La stagista.
Ovvero senza principi (accento
da porre a piacere). Il libro piacque ad Aldo Nove, che decise di
pubblicarlo nella collana Neon che dirigeva per Tea. Poi la collana
chiuse e non se ne fece nulla. Come vincere alla lotteria e non
trovare più il biglietto. Alla fine anche io non ne ho fatto nulla,
perché non credo che in una casa editrice (non a pagamento) ci sia
un altro Aldo Nove che si metta a leggere manoscritti di un nessuno
qualunque. E anche se per una svista ci fosse, non credo esista un
editore abbastanza coraggioso da pubblicare una satira feroce
dell’editoria e dell’ambiente letterario che tratta tutti gli
argomenti di cui ho accennato in questa intervista. E molti di più,
e molto scomodi. Anche se quattordici anni fa non avevo ancora visto
nulla.
Può
darsi che un giorno lo butti in rete come consiglio e monito a chi
vuole intraprendere questa strada. Così magari fa in tempo a
rifugiarsi in una baita sui monti dove coltivare qualche illusione
superstite. E perpetrare lo sgarbo di uno sguardo innocente sul
mondo.
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