Le scimmie di Akrotiri (Santorini) |
“Appendipanni per scimmie: undici
lettere.”
“Ehm…”
“Appendicite!”
“Ah, sì, è vero.”
Ero finalmente giunto alla
conclusione della prova, al centesimo test. Ed era andata proprio male.
Nell’ultimo test, quello della
scimmia Cita, dovevo ridere, e invece ero rimasto serissimo, scambiando la
frase per un raffinato enigma di logica. Mentre nel penultimo test, dove si
parlava del paradosso di Epimenide irrisolvibile con la logica tradizionale e
aristotelica ma risolvibile con la logica
fuzzy, in cui avrei dovuto manifestare
profonda espressione pensosa, mi
ero sganasciato dalle risate.
Insomma, la prova con lo Smilemeter, il misuratore di ottimismo cioè,
aveva dato un risultato finale del 65,38%. E io avrei dovuto raggiungere per legge almeno il 75%.
“Male, signor Radicequadrata…” Il
CC, il Controllore di Conformismo, stava cercando di decifrare sul documento il
mio cognome, armeggiando invano
con gli occhiali. Lo aiutai.
“Radicequadrata Di Ics,” dissi,
scandendo chiaramente il mio intero nome.
“Grazie,” disse il CC. “L’unica
nota positiva sta nel fatto che il suo Personal Smilemeter aveva dato un
risultato proprio disastroso, il 47,89%. Pur nel perdurare del suo stato di
anticonformismo, si è comunque registrato, in pochi giorni, un significativo
miglioramento. Ma come ben sa, siamo ancora molto distanti dai valori normali.
Torni tra un mese per un ulteriore controllo. E mi raccomando, signor Di Ics,
ottimismo!”
Non potevo dire al CC che in
realtà il mio Personal Smilemeter non funzionava bene. Non potevo cioè
confessargli di aver manomesso l’aggeggio infernale. Il mio tentativo era stato
proprio maldestro, perché, invece
di conseguire valori più alti, avevo ottenuto dalla macchina il risultato
opposto. La mia solita goffaggine tecnologica.
Tornai a casa con nella testa la
preoccupazione dell’altro controllo tra un mese. Se fosse andata di nuovo male,
le sanzioni statali mi avrebbero rovinato.
Di malumore, dissi alla porta:
“Apriti, porta di casa.”
La porta si aprì con un saluto:
“Buongiorno, Radicequadrata. Come
va?”
“Male,” brontolai.
“Prendi allora due milligrammi di
Stobèn e una mezza pasticca di Cieloazur.”
Non risposi. Avevo deciso di non
assumere alcun farmaco. Ma non ne feci parola, altrimenti quella petulante di
porta non avrebbe smesso di darmi consigli.
Mi chinai nel vuoto, nell’atto di
sedermi, e al contempo dissi:
“Poltrona, mi siedo.”
Immediatamente una poltrona si
sistemò dietro di me. Comodamente seduto, feci un lungo sospiro.
“Buongiorno, Radicequadrata. Un
massaggio tailandese?”
“No.”
“Shiatsu?”
“No.”
“Craniosacrale?”
“No…”
“Rebalancing?”
“No no no!”
“Una carezza, dolce Radicequadrata?…”
sussurrò, seducente.
“No!” urlai.
“Allora prendi due pasticche di
Rabbiastop,” insistette la poltrona.
“Va bene,” mentii. Era l’unico
modo per farla stare zitta.
Mi appisolai per una mezz’oretta.
In sottofondo, non richiesti, si diffusero nella stanza rumori soffusi: fruscii
di foglie, mormorii d’acque, lievi versi di uccelli.
A pranzo decisi di mangiare un
bel piatto di spaghetti al pomodoro.
Come al solito, la cucina mi
comunicò, con timbro gracchiante, difettoso per incuria tecnica, la giusta dose
di sale, di olio e i tempi di
cottura calcolati fin nell’ultimo secondo. Infine, disse:
“Buon appetito, Radicequadrata!”
“Grazie,” bofonchiai con la bocca
piena.
Non erano passati nemmeno dieci
secondi dalla conclusione del mio pasto che dalla mia pancia giunse una voce,
emessa dal microchip gastrico, simile a quella d’un ventriloquo:
“Il piatto di pasta appena
ingerito corrisponde a 386 calorie totali, di cui 307 di spaghetti, 37 di
pomodoro e 42 di olio. Se cammini a una velocità di quattro chilometri all’ora,
con il tuo peso di 70 chili puoi bruciare 386 calorie in un’ora e sette minuti.
Buona digestione, Radicequadrata.”
“Grazie,” cercai di dire, ma la
pronuncia del ringraziamento fu un po’ disturbata da un piccolo rutto.
In quegli ultimi anni, la diffusione rapidissima della Helphome, la tecnologia domestica, aveva
fatto rinascere l’antica controversia tra apocalittici e integrati, la
questione sollevata cioè da un libro di Umberto Eco degli anni Sessanta del
Novecento. Gli integrati consideravano
un evento positivo il diffondersi dei nuovi mezzi di comunicazione di massa, gli
apocalittici invece vedevano in quel
cambiamento l’inizio del disastro della coscienza individuale e collettiva. Io
non mi sentivo né un apocalittico né un integrato, mi sentivo semplicemente un
disintegrato.
Giunsi esausto alla fine della
giornata. Mi infilai nel letto e ordinai:
“Oscurità e preparazione al
sonno.”
La stanza divenne totalmente buia
e insonorizzata. Le coperte si rimboccarono e il cuscino si dispose nella
posizione perfettamente adeguata. Poi una voce flautata disse:
“Buonanotte e sogni d’oro, caro
Radicequadrata.”
“Grazie,” bisbigliai.
Ma sentii una vibrazione sottile
scendere dal petto fino al ventre, e ancora più in basso.
“Non ho bisogno d’altro!” urlai,
dando uno schiaffo inutile sotto le coperte, perché colpii soltanto l’aria e il
lenzuolo.
“Scusa,” mormorò la voce della
Stanza di Notte. “Pensavo che ti avrebbe fatto piacere.”
Mi alzai infuriato e, temendo che
qualche dispositivo Helphome si fosse intrufolato perfino nei miei sogni, come talvolta accadeva,
andai in cucina e ingurgitai due pasticche di Echecàz e altre due di Blacksleep, a effetto pressoché immediato e
con la sicurezza d’un sonno profondo e senza sogni.
“Buona notte,” sentii a stento,
già mezzo addormentato.
Mi apparve nella mente un ultimo
pensiero, non proprio benevolo, rivolto alla voce della Stanza di Notte e a
tutta la tecnologia Helphome. Poi piombai nel sonno.
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