lunedì 24 luglio 2017

Appendipanni per scimmie

di SubhagaGaetano Failla
   

Le scimmie di Akrotiri (Santorini)


   “Appendipanni per scimmie: undici lettere.”
   “Ehm…”
   “Appendicite!”
   “Ah, sì, è vero.”
   Ero finalmente giunto alla conclusione della prova, al centesimo test. Ed era andata proprio male.
   Nell’ultimo test, quello della scimmia Cita, dovevo ridere, e invece ero rimasto serissimo, scambiando la frase per un raffinato enigma di logica. Mentre nel penultimo test, dove si parlava del paradosso di Epimenide irrisolvibile con la logica tradizionale e aristotelica ma risolvibile con la logica fuzzy, in cui avrei dovuto manifestare profonda espressione pensosa, mi ero sganasciato dalle risate.
   Insomma, la prova con lo Smilemeter, il misuratore di ottimismo cioè, aveva dato un risultato finale del 65,38%.  E io avrei dovuto raggiungere per legge almeno il 75%.
   “Male, signor Radicequadrata…” Il CC, il Controllore di Conformismo, stava cercando di decifrare sul documento il mio cognome,  armeggiando invano con gli occhiali. Lo aiutai.
   “Radicequadrata Di Ics,” dissi, scandendo chiaramente il mio intero nome.
   “Grazie,” disse il CC. “L’unica nota positiva sta nel fatto che il suo Personal Smilemeter aveva dato un risultato proprio disastroso, il 47,89%. Pur nel perdurare del suo stato di anticonformismo, si è comunque registrato, in pochi giorni, un significativo miglioramento. Ma come ben sa, siamo ancora molto distanti dai valori normali. Torni tra un mese per un ulteriore controllo. E mi raccomando, signor Di Ics, ottimismo!”

   Non potevo dire al CC che in realtà il mio Personal Smilemeter non funzionava bene. Non potevo cioè confessargli di aver manomesso l’aggeggio infernale. Il mio tentativo era stato proprio  maldestro, perché, invece di conseguire valori più alti, avevo ottenuto dalla macchina il risultato opposto. La mia solita goffaggine tecnologica.
   Tornai a casa con nella testa la preoccupazione dell’altro controllo tra un mese. Se fosse andata di nuovo male, le sanzioni statali mi avrebbero rovinato.
   Di malumore, dissi alla porta:
   “Apriti, porta di casa.”
   La porta si aprì con un saluto:
   “Buongiorno, Radicequadrata. Come va?”
   “Male,” brontolai.
   “Prendi allora due milligrammi di Stobèn e una mezza pasticca di Cieloazur.”
   Non risposi. Avevo deciso di non assumere alcun farmaco. Ma non ne feci parola, altrimenti quella petulante di porta non avrebbe smesso di darmi consigli.
   Mi chinai nel vuoto, nell’atto di sedermi, e al contempo dissi:
   “Poltrona, mi siedo.”
   Immediatamente una poltrona si sistemò dietro di me. Comodamente seduto, feci un lungo sospiro.
   “Buongiorno, Radicequadrata. Un massaggio tailandese?”
   “No.”
   “Shiatsu?”
   “No.”
   “Craniosacrale?”
   “No…”
   “Rebalancing?”
   “No no no!”
   “Una carezza, dolce Radicequadrata?…” sussurrò, seducente.
   “No!” urlai.
   “Allora prendi due pasticche di Rabbiastop,” insistette la poltrona.
   “Va bene,” mentii. Era l’unico modo per farla stare zitta.
   Mi appisolai per una mezz’oretta. In sottofondo, non richiesti, si diffusero nella stanza rumori soffusi: fruscii di foglie, mormorii d’acque, lievi versi di uccelli.
   A pranzo decisi di mangiare un bel piatto di spaghetti al pomodoro.
   Come al solito, la cucina mi comunicò, con timbro gracchiante, difettoso per incuria tecnica, la giusta dose di sale, di olio e  i tempi di cottura calcolati fin nell’ultimo secondo. Infine, disse:
   “Buon appetito, Radicequadrata!”
   “Grazie,” bofonchiai con la bocca piena.
   Non erano passati nemmeno dieci secondi dalla conclusione del mio pasto che dalla mia pancia giunse una voce, emessa dal microchip gastrico, simile a quella d’un ventriloquo:
   “Il piatto di pasta appena ingerito corrisponde a 386 calorie totali, di cui 307 di spaghetti, 37 di pomodoro e 42 di olio. Se cammini a una velocità di quattro chilometri all’ora, con il tuo peso di 70 chili puoi bruciare 386 calorie in un’ora e sette minuti. Buona digestione, Radicequadrata.”
   “Grazie,” cercai di dire, ma la pronuncia del ringraziamento fu un po’ disturbata da un piccolo rutto.
  
   In quegli ultimi anni, la diffusione rapidissima della Helphome, la tecnologia domestica, aveva fatto rinascere l’antica controversia tra apocalittici e integrati, la questione sollevata cioè da un libro di Umberto Eco degli anni Sessanta del Novecento. Gli integrati consideravano un evento positivo il diffondersi dei nuovi mezzi di comunicazione di massa, gli apocalittici invece vedevano in quel cambiamento l’inizio del disastro della coscienza individuale e collettiva. Io non mi sentivo né un apocalittico né un integrato, mi sentivo semplicemente un disintegrato.
  
   Giunsi esausto alla fine della giornata. Mi infilai nel letto e ordinai:
   “Oscurità e preparazione al sonno.”
   La stanza divenne totalmente buia e insonorizzata. Le coperte si rimboccarono e il cuscino si dispose nella posizione perfettamente adeguata. Poi una voce flautata disse:
   “Buonanotte e sogni d’oro, caro Radicequadrata.”
   “Grazie,” bisbigliai.
   Ma sentii una vibrazione sottile scendere dal petto fino al ventre, e ancora più in basso.
   “Non ho bisogno d’altro!” urlai, dando uno schiaffo inutile sotto le coperte, perché colpii soltanto l’aria e il lenzuolo.
   “Scusa,” mormorò la voce della Stanza di Notte. “Pensavo che ti avrebbe fatto piacere.”
   Mi alzai infuriato e, temendo che qualche dispositivo Helphome si fosse intrufolato perfino  nei miei sogni, come talvolta accadeva, andai in cucina e ingurgitai due pasticche di Echecàz  e altre due di Blacksleep, a effetto pressoché immediato e con la sicurezza d’un sonno profondo e senza sogni.
   “Buona notte,” sentii a stento, già mezzo addormentato.
   Mi apparve nella mente un ultimo pensiero, non proprio benevolo, rivolto alla voce della Stanza di Notte e a tutta la tecnologia Helphome. Poi piombai nel sonno.
  

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