recensione di Vincenzo D’Alessio
Il motivo conduttore che si stabilisce come trama della
scrittura è la possibilità, in questa condivisa esistenza, di abbattere il
dolore e raggiungere il senso
pieno della libertà/serenità.
I racconti somigliano molto a delle fiabe, poiché i
protagonisti sono sempre esseri umani, realizzate in auree sospese, senza il
peso degli oggetti. Il fine ultimo perseguito dall’autrice è raggiungere
attraverso i protagonisti la gioia: non quella effimera del possesso quanto
quella della completa negazione dell’Io in favore del dare senza chiedere nulla
in cambio. Si legga a tal proposito il racconto “La sciarpa rossa” (pag. 28)
nel passaggio che segue: “(…) Sono convinto che quelle schegge di parole bisbigliate
continueranno ad esistere, per significare esattamente ciò che significano.
Come un povero che non ha mangiato da tre giorni e i suoi abiti sono stracciati
e così egli apparve davanti al re; ha forse bisogno di dire cosa desidera?”
Il percorso narrativo poggia su esperienze personali
maturate nelle attività nelle quali Zanotto è impegnata e qualche pagina di
caldo intimo diario.
Sono questi racconti per adulti, per adolescenti, non per
bambini, anche se il bambino che è dentro di noi resta turbato dalle sofferenze
inferte agli esseri umani dal destino o dall’egoismo dei propri simili
(familiari inclusi). Si scopra il racconto dal quale la raccolta prende il
titolo: “Celestina” (pag. 47): “(…) Invidiava Leone, il gatto bigio che girava in contrada,
perché non si dava cruccio di dimenticare, si risolveva nel presente. Lei
invece stava sotto il gran carico del passato, un macigno dover ricordare
tutto. S’impegnava sia a dimenticare al momento giusto che a ricordare al tempo
giusto, perché ha sempre creduto che nella vita ci vuole l’oblio, come per il
suo orto ci vuole non solo la luce, ma anche l’oscurità.”
Lettura, questa, alla quale bisogna concedere attimi di
tregua, giuste sospensioni, per assaporare appieno il valore morale, organico,
originale, del narrato.
Concordo con l’editore Ramberti quando scrive nella quarta
di copertina sul volume: “(…) La penna di Adalgisa Zanotto è fluida, saggia, sa
vedere oltre e riscaldare i nostri cuori spesso così provati e sofferenti da
cercare rifugio in “soluzioni” effimere o nell’indifferenza. Qui invece, anche
nelle situazioni più difficili, ci vengono rivelate quelle fonti nascoste di
umanità e fratellanza latenti in ciascuno di noi e capaci di aprire inaspettati
cammini di salvezza. ”
Il nome ricorrente in questi racconti è Lucia. Come a
indicare al lettore di guardare con gli occhi del cuore, quelli giusti, per
iniziare ogni vita. Si avverte nella scrittura la presenza ricorrente della
similitudine, indice che la poesia non è nuova nelle mani
dell’autrice v. Goccia: “Come si chiama il giorno quando non ci sono / Chi sono quando guardo il presente dal
passato / Riconosco l’istante
miracoloso del presente /
Prigioniera del tempo / Ho
bisogno di una goccia ogni giorno /
La cercherò, piano, nella vita attorno / Sono acqua che scorre.
Irraggiungibile” (pag. 54).
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