L'ultima dimora del Re di Rosamaria Rita Lombardo recensito da Marco Scalabrino in archivio e pensamenti blog di Piero Carbone
Data: 14-ott-2015 18.46
A: "Carbone Piero"
Ogg: Reportage fotografico su Guastanella
narrabilando.blogspot.it/2015/10/eccezionale-reportage-fotografico-sul.html
Con viva cordialità, in attesa di un Suo cortese riscontro, che confido non mancherà.
Rosamaria Rita Lombardo
Con queste gentili parole Rosamaria Rita Lombardo mi segnalava un "eccezionale" reportage fotografico "con preghiera di divulgazione".
Con piacere ho condiviso il link su facebook ricevendo molti like e partecipati commenti. Le foto riguardavano una località di interesse archeologico che, in verità, da tempo la Lombardo viene decantando per i tesori finora sconosciuti in tutto o in parte di memoria storica o archeologica che conterrebbe, Monte Guastanella, situato tra Santa Elisabetta e Raffadali, nell'agrigentino. Se è stato detto che le parole sono pietre, in questo caso le pietre ambirebbero ad essere parole, dense di significati.
Belle foto, interessante sito, anche suggestivo.
Ancora più interessante e suggestivo diventa con la recensione fattami pervenire a tamburo battente da Marco Scalabrino per il suo scandaglio del libro di Rita Rosamaria Lombardo dove si ricostruisce la vicenda del re Minosse "siciliano". E siciliano non soltanto per le località, ma anche per i riflessi linguistici e le tradizioni orali connesse:
Lu re Mini-Minosse è drivucatu
intra la Muntagna di Guastanedda.
È tuttu chinu d’oru
e quannu lu scoprinu
iddu addiventa un Crastu d’oru
e unu av’arrimaniri
Anche per una maggiore leggibilità ho intercalato le foto nel testo con il vantaggio di assaporare alternativamente sensi reconditi e chiare spiegazioni del testo e delle singole foto. (P. C.)
Rosamaria Rita Lombardo
L’ultima dimora del Re
Una millenaria siciliana
“svela” la tomba di Minosse
Fara Editore – Rimini 2013
di Marco Scalabrino
“L’alone di leggenda e mistero che pervade la montagna hanno sempre mosso il mio interesse ed esercitato sulla mia mente, sin da adolescente, una forte attrazione fascinatoria. La bellezza del luogo, unita a vistose tracce di una storia passata e di testimonianze orali raccolte dagli abitanti e dai frequentatori del sito, mi hanno indotto a ricercare l’esistenza di consistenti vestigia riferibili alla fine infausta del re.” Così Rosamaria Rita Lombardo, docente nei licei e qui nelle vesti (che parimenti le si attagliano) di studiosa e di ricercatrice, la quale invero non avrebbe potuto, in termini più succinti e al contempo significativi, approntare una più efficace presentazione della sua opera.
Ampliare il rapido superiore proemio e soffermarci un po’ sugli aspetti più avvincenti del libro è l’ufficio che ci siamo oggi proposti. Ma prima una irrinunciabile considerazione; considerazione che compiutamente si cala nello spirito di quelle pagine e ci autorizza a ubicare le vicissitudini narratevi in una più vasta straordinaria cornice: il Mediterraneo, il mare nostrum, culla della civiltà occidentale, centro del mondo allora conosciuto. In questo bacino peraltro (secondo la seducente tesi sostenuta da Samuel Butler sul chiudere dell’Ottocento, in più circostanze poi ripresa nel corso del Novecento e in anni recenti recuperata da Nat Scammacca e da altri studiosi, che a Trapani nel 1990 e nel 2000 hanno organizzato due convegni di studi internazionali) si situano Le origini siciliane dell’Odissea.
Di quale montagna e di quale sito si ragiona? A che periodo risale il suo interesse? A quale sovrano si allude?
“Il feudo – scrive l’autrice – finì con l’essere provvidenzialmente acquistato dalla mia famiglia.” E puntualizza: “Monte Guastanella [venne] acquistato da mio padre nel 1947.”
Quel “provvidenzialmente”, c’è da scommetterci, è messo lì a bella posta col proposito di sgombrare il campo da ogni ipotesi riconducibile a un evento fortuito, a una mera casualità e intende suggerirci, d’un lampo, il senso della predestinazione, dell’investitura, dell’ineluttabilità quanto al suo coinvolgimento emotivo, personale, professionale nella intera vicenda. L’avverbio, per di più, trova fausta sponda cronologica nell’inciso “sin da adolescente”, che rimarca le origini remote del suo slancio.
Si discorre palesemente di un possedimento, nel quale insiste un’altura (mt. 609 s.l.m.), di proprietà della famiglia della autrice sin dal 1947. Ma, contrariamente a quanto di primo acchito potrebbe apparire, non di un affare privato si tratta, non di un’opera autobiografica; le didascalie: “evento realmente accaduto” e “tradizione leggendaria testimoniata dalle fonti classiche” ci danno fondato motivo di rivolgere altrove, in una dimensione del passato allocata fra Mito e Storia, la nostra attenzione.
D’altronde tutti gli elementi disseminati nel corpo della narrazione, oltre a consentirci di avvicinarci progressivamente al clou della storia, di definirne ogni prezioso singolo carattere, concorrono in questa direzione e ne circoscrivono il perimetro dell’azione. Degli esempi: “Un lungo lavoro di ricerca condotto in un sito ubicato nell’area agrigentina, le cui risultanze inducono a supporre che esso sia il luogo di sepoltura del re”; “Alle falde della montagna denominata Guastanella c’è una piccola necropoli”; “I fabbricati e le mura creano un perimetro di circa 200 metri che include un’area di circa mq. 1.200”; “L’insediamento è inserito nelle contrade agrigentine di Raffadali e Santa Elisabetta. A nord del sito scorre il fiume Platani, che secondo gli studiosi dovrebbe identificarsi con l’Halycos delle fonti”.
Il volume consta di oltre 110 pagine ed è suddiviso in quattro capitoli: La saga di Minosse in Sicilia. Le fonti; Storicità del mito e sue implicazioni archeologiche;Revisione interpretativa del mito e nuova localizzazione dei siti dell’antica saga;Memoria mitica della tomba-tempio di Minosse e sua possibile ubicazione.Identificazione e collocazione di Camico. Gli stessi sono preceduti dai Ringraziamenti e da una Premessa e seguiti dalle Conclusioni, da una Appendice, dalla Bibliografia e dall’Elenco delle Tavole.
Sin dal sottotitolo, col verbo “svela” compreso fra virgolette, Rosamaria Rita Lombardo, benché “consapevole dell’eccezionalità dell’ipotesi avanzata”, malgrado la serietà della “indagine topografica, toponomastica, idrografica e folklorica, effettuata sul territorio in cui l’insediamento risulta inserito”, palesa a più riprese la propria prudenza (“la prudenza è d’obbligo. Saranno il vaglio, l’esame e l’approfondimento critico che la comunità scientifica vorrà riservare a questa ricerca ad emettere il verdetto finale”), anticipa le perplessità che altri potrebbero avanzare sul suo lavoro, il quale (non ha remore a dichiarare) “nasce da una vocazione archeologica romantica e irregolare, lontana dagli apparati e dai dogmi dell’archeologia ufficiale”. “Pur conscia della scientificità della conduzione di gran parte dei miei studi – ci confida – ho avvertito il disagio del lavorare in solitudine, del pervenire a conclusioni interpretative che potrebbero apparire o troppo assertive o troppo vaghe, se non addirittura visionarie.”
Questo lavoro d’altronde, nel realizzare il quale “ho seguito la voce del mito, ho sentito, scorto e visto cose dove altri credevano fosse il nulla, non ha alcuna pretesa di rappresentare un elemento inconfutabile” e si presenta piuttosto come “un contributo all’interpretazione di un passato finora avvolto di mistero”, una monografia volta a sottrarre all’oblio e al silenzio “il segreto del re cretese Minosse”, un’analisi intesa a“ridare identità storica alla leggenda che sul Monte Guastanella da millenni aleggia”.
Controversa e tutt’oggi di difficile lettura l’etimologia del nome Guastanella.
“Guastanella, volgarmente Uastanedda, Vastanedda o Guastanedda – sostiene Rosamaria Rita Lombardo – ritengo che fosse in antico Wuastanedda, etimo a mio avviso di matrice minoica che, costituito dal prefisso wa-, abbreviazione di wanax (re) owanakatero (regale), nonché da stan (dimora, luogo, città), radice del verbo cretese στανύομαι, significherebbe città del re”.
La spinta iniziale, quella “da cui hanno preso avvio le mie indagini” circa “la memoria mitica della sepoltura di un re sul Monte Guastanella”, quella desunta dalla “tradizione orale rivelatami, io allora appena quindicenne, dai miei genitori [Nicolò Lombardo e Giuseppina Gueli]”, quella sentimentale pertanto, mirabilmente si fonde con la sfera esistenziale della stessa autrice.
Quasi un obbligo morale, così, pressoché un dovere, suffragare un mito cresciuto passo passo con lei, affermare il trasporto emotivo nei confronti del sito che sente ed è della sua famiglia, suo, porre nel debito risalto quell’insediamento. La prudenza, della quale poc’anzi s’è fatto cenno, felicemente, rileviamo, si combina con l’entusiasmo e con la fierezza per l’impresa (con la pubblicazione dell’odierno volume) condotta in porto; fierezza che si coniuga con l’amore per la propria terra, la Sicilia, e per le scaturigini di essa che affondano, si permeano, si arricchiscono di mito e di storia. Il tutto corroborato da una spigliata, compiaciuta venatura di orgoglio, tanto che il libro è stato scritto in prima persona: “le mie indagini; questa mia avventura; ho intrapreso; il mio monte; ho ispezionato; le mie supposizioni”, eccetera.
È tempo adesso di entrare nel vivo del tomo e un antefatto ce ne spianerà la strada.
Esiliato da Atene e rifugiatosi a Creta, Dedalo costruì per Minosse il labirinto, nel quale il re rinchiuse il Minotauro. Questi, un mostro che aveva corpo di uomo e testa di toro, era figlio di un toro, inviato da Poseidone a Minosse, e della moglie di quest’ultimo, Pasifae, per la quale Dedalo aveva costruito una vacca di legno dentro la quale celarsi per ingannare il toro. Spaventato e vergognandosi per la nascita di quel mostro, Minosse fece costruire da Dedalo il labirinto, un immenso palazzo composto da un intrico di sale e corridoi, del quale era impossibile a chiunque trovare la via di uscita. Sappiamo, nondimeno, che Teseo uccise il Minotauro e con l’aiuto di Arianna, figlia di Minosse, e appunto di Dedalo riuscì a venirne fuori. Appreso dell’inganno, Minosse fece imprigionare Dedalo e il figlio di costui, Icaro, ma i due (è notorio) se ne volarono via. Perito miseramente nel mare Egeo Icaro, le cui ali di cera si sciolsero al sole al quale troppo si era avvicinato, Dedalo giunse sano e salvo in Sicilia.
Vale la pena, in argomento, di rispolverare qualche schematica nozione sul labirinto.
Nel mondo greco-romano di età classica, con tale termine si designava un impianto che era ad un tempo residenza reale e luogo di culto con spiccata valenza funeraria. La complessa pianta della costruzione costringeva coloro che vi entravano a tornare continuamente sui propri passi, non potendo più trovarne la via d’uscita; fuggire dal labirinto sembrava significasse reincarnarsi.
Diodoro Siculo riferisce che Dedalo abbia visitato l’Egitto e, colpito dall’abilità ivi raggiunta nell’arte edilizia, abbia in seguito costruito per il re di Creta Minosse, a Cnosso, un labirinto, simile a quello egiziano, che presentava la triplice funzione di reggia, centro amministrativo e luogo di culto. In Egitto, ragguaglia Plinio il Vecchio, nel distretto di Eracleopoli, ne sopravvive uno (quello del quale Dedalo ebbe ad imitare l’intricata struttura, eretto molti anni prima per iniziativa del re Mendes o Marrus), che fu il primo a essere costruito. Nulla per contro rimane di quello di Creta, che fu il secondo.
“L’infelice fine del re cretese Minosse!” È questo il fulcro del libro, questa la chiave di volta della intrigante avventura (nella quale tutti noi, protagonisti, autrice e lettori, siamo stati visceralmente coinvolti) che ci introdurrà alle suggestioni che Rosamaria Rita Lombardo ha colto e ha trasferito per noi su carta. Minosse, stante a quanto tramandato, perì di morte violenta in terra di Sicilia. Fuggito, infatti, Dedalo da Creta – ci riallacciamo così all’antefatto appena esposto – e riparato in Sicilia a Camico presso il re Cocalo, Minosse allestì una ingente flotta e partì alla sua ricerca. Giunto in Sicilia e insediatosi a Makara, città chiamata poi Minoa in suo onore, Minosse si recò a Camico.
Il re di Creta escogitò uno stratagemma per fare uscire allo scoperto l’ingegnoso costruttore: portò con sé una conchiglia di tritone e promise una ricompensa a chi fosse capace di farvi passare da un capo all’altro un filo di lino; egli sapeva che soltanto Dedalo era in grado di riuscirvi. Propose al re sicano Cocalo la gara. Il re accettò la sfida e passò nascostamente la conchiglia a Dedalo che, solleticato nella sua vanità, sciolse il rompicapo. Egli spalmò del miele all’interno della conchiglia a forma di chiocciola, vi praticò un forellino in cima e vi immise una formica alla quale aveva legato un filo di lino. L’animaletto, attratto dal miele, si intrufolò nei meandri del guscio portando con sé il filo. Dedalo riuscì a far vincere la gara al re Cocalo, ma si tradì rivelando implicitamente il suo nascondiglio. Il talassocrate cretese comandò a Cocalo che Dedalo gli fosse consegnato, ma le figlie di Cocalo, non volendosi privare dell’artefice che costruiva per loro splendidi balocchi, tramarono col suo aiuto ai danni di Minosse. Dedalo introdusse un tubo nella stanza da bagno di questi e attraverso esso versò acqua bollente o, come altri sostengono, pece bollente su Minosse che stava facendo un bagno termale.
L’autentica passione per l’ammaliante materia dissertata non si creda, però, che sortisca l’effetto di fuorviare le virtù professionali dell’autrice, la sua lucidità nello schierare sul campo e mettere in relazione impressioni, deduzioni ma soprattutto fonti.
Da esigente, coscienziosa studiosa quale lei è, Rosamaria Rita Lombardo destina largo spazio alle fonti, le quali sono meticolosamente riportate allo scopo di dare man forte, di accreditare, di asseverare la bontà delle sue risultanze. Solo alcune a mo’ di esempio. Eraclide Lembo, 29, F.H.G. II: Minoa, in Sicilia, era dapprima chiamata Makara. Minosse, venuto a sapere che Dedalo colà si era rifugiato, partì con una flotta e approdatovi, dopo aver risalito il fiume Lykos, si impossessò della città; Aristotele, Politica, II B, 1271b: Minosse, avendo intrapreso la conquista della Sicilia, vi morì presso Camico; Erodoto, VII, 170: Minosse, giunto in Sicilia, alla ricerca di Dedalo, vi perì di morte violenta. Ma è di Diodoro Siculo, IV, 79, l’asserzione risolutiva per il prosieguo: Minosse, allorché informato della fuga di Dedalo in Sicilia, decise di fare una spedizione contro l’isola. Preparata una considerevole forza navale, approdò in territorio di Agrigento, nel luogo chiamato da lui Minoa. Minosse reclamava Dedalo per punirlo.
Cocalo lo invitò a un incontro e, mentre Minosse era al bagno, lo uccise. Restituì quindi il corpo a coloro che lo avevano accompagnato nella spedizione, adducendo come causa della morte il fatto che fosse scivolato nel bagno e caduto nell’acqua bollente. Costoro seppellirono il corpo del loro re con grande pompa: edificarono un duplice sepolcro e posero le ossa nella parte nascosta, mentre in quella scoperta costruirono un tempio ad Afrodite.
Sottolineato che il Lykos o Halycos dei Greci, l’Iblatanu per gli Arabi, è oggi conosciuto quale il (menzionato) fiume Platani, ancora una stimolante digressione.
Dante recupera Minosse, “orribilmente, e ringhia”, e lo piazza nel Canto quinto, secondo cerchio dell’Inferno della Commedia. Considerato un servitore della volontà divina, egli è il giudice infernale che giudica i dannati; costoro infatti gli confessano le loro colpe e Minosse, gran conoscitor de le peccata, decreta attorcigliando la coda attorno al corpo tante volte quanti sono i cerchi che i dannati dovranno scendere per ricevere la loro punizione. Vedendo Dante, Minosse tenta di farlo desistere dal proseguire, avvertendolo di guardarsi dal fatto che sia stato facile entrare nell’Inferno e di diffidare da colui che lo guida.
Virgilio prende allora la parola, lo ammonisce severamente a non ostacolare un viaggio voluto dal Cielo e proferisce i due famosi, superbi endecasillabi: Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole e più non dimandare. Sebbene descritto con i tratti grotteschi di un mostro, Minosse tiene un atteggiamento solenne e sparisce di scena compostamente.
Con tante salde premesse e con le seguenti ulteriori valutazioni: “La saga di Minosse e Cocalo, della cui storicità nessuno degli autori antichi ha mai dubitato”; “È facile individuare il possibile teatro della leggenda nel territorio agrigentino lungo la media valle del fiume Platani”. “Cretesi [furono i] fondatori di Gela e di Agrigento”, si perfeziona la scommessa di Rosamaria Rita Lombardo, tramata in anni di fervidi studi, tesa ad argomentare, documentare e comprovare la “tradizione leggendaria relativa alla sepoltura di un re, dal nome Mini Minosse, nelle viscere di Monte Guastanella”.
Si avvale lei e ci gira la tradizione orale in dialetto siciliano tramandatale, sin dalla più tenera età, dal suo compianto papà: “Lu re Mini-Minosse è / drivucatu intra la Muntagna di Guastanedda. / È tuttu chinu d’oru / e quannu lu scoprinu / iddu addiventa un Crastu d’oru / e unu av’arrimaniri (Il re Mini-Minosse è sepolto nella montagna di Guastanella. È tutto pieno d’oro e quando lo scoprono egli diventa un capro d’oro e uno degli scopritori dovrà sacrificare la propria vita)” e quanto al curioso nome Mini-Minosse, se esso non si spiega con la semplice tipicità delle lallazioni infantili e di talune filastrocche popolari (“tale nome veniva una volta usato, soprattutto dalle persone anziane della zona, per impaurire i bambini capricciosi. Si diceva loro, appunto: “Attenti ca veni Mini-Minosse!”, intendendo con ciò evocare la figura di uno spirito maligno punitore e vendicatore, una sorta di orco mitico”) o con la “corruzione linguistica prodottasi nei secoli, può comunque essere giustificato col raddoppiamento della prima sillaba che si registra sovente in taluni nomi minoici (si veda Acacallide da Acallide, figlia di Minosse)”.
La coincidenza fra testimonianze orali e storico-documentarie aveva bisogno tuttavia, ne è ben consapevole Rosamaria Rita Lombardo, di un concreto riscontro archeologico.
Diodoro Siculo descrisse il monumento sepolcrale nel I secolo a.C.; ma, quantunque ciò autorevole, alla Nostra non basta. Ed ecco, lei ne appronta per noi una minuziosa (che in questa sede, ovviamente, diverrà essenziale) descrizione, della quale ci avvarremo letteralmente, della tomba-tempio di Mini-Minosse.
“Un rozzo sedile di pietra, di struttura e conformazione monumentale, chiamato da sempre Il trono del re, sulla cui spalliera non integra sono in basso leggibili tracce di inquietanti grafemi, è posto all’ingresso della grotta, al piano superiore, denominata B. Grazie a una appassionata ricostruzione grafica al computer, mi è stato possibile individuare diverse interessantissime immagini. Nella parte centrale del pannello roccioso sembra notarsi una figura femminile, con elaborata acconciatura e a seno nudo, attorniata da disegni di capre e bovidi; lettura, per la verità, opinabile anche se non visionaria, per la difficoltà di focalizzazione.
Accanto a tale figura muliebre (che pare appartenere a un panorama iconografico del Mediterraneo orientale, specificatamente cretese) si scorge in alto a sinistra una figura miniaturistica in corsa che tiene fra le mani un oggetto di forma cornuta. In alto a destra, ben evidente, si staglia la figura di un uomo dal copricapo piumato, con le braccia disposte quasi a croce e il corpo tondeggiante dalla vita scoperta. La foggia del copricapo piumato sembra essere in rapporto di forte parallelismo e analogia iconografica con quella di taluni elmi tardo minoici e micenei, nonché appartenere a una particolare simbologia iconografica sacra e regale del mondo minoico”.
E rilancia: “Un altro elemento di intrigante esegesi è costituito dal reticolo tauromorfico che si trova inciso sul pianoro del monte e che contiene al suo interno una croce o un segno X vicino alla figura crucciata di un individuo.”
Affascinante! Ma, tirate le somme, a quali conclusioni, “benché con ineludibile margine di ipoteticità”, perviene Rosamaria Rita Lombardo?
“Sul piano della verità storica nonché contemporanea allo svolgimento dei fatti narrati (XIII sec. a.C.)” lei soppesa che debba ritenersi attendibile la saga del re cretese Minosse in Sicilia; il “Monte Guastanella, caratterizzato com’è da un’unica via di accesso e da un’eccelsa rupe fortificata sarebbe il sito della antica Camico, reggia del re sicano Cocalo, definita da Diodoro Siculo φρούριον (luogo fortificato)”; le “coincidenze strutturali, la specificità dell’insediamento nell’area agrigentina teatro delle vicende di Minosse e Cocalo, unita alla tradizione orale della sepoltura di un re dal nome Mini-Minosse nelle viscere di Monte Guastanella”, hanno finito col confermare e convalidaretale sito come “quello della tomba-tempio del re cretese Minosse”.
Plaudiamo al pregevole saggio di Rosamaria Rita Lombardo e ci congediamo con una strabiliante coincidenza.
“Nel corso di alcune ricerche comparative, condotte nell’ambito del presente lavoro, mi sono imbattuta in un motivo iconografico particolare e quanto mai oscuro, presente su un’anfora cipriota (anfora Hubbard proveniente da Platani presso Famagosta e conservata nel museo di Nicosia a Cipro).
L’intera scena, a tutt’oggi non identificata, appartiene, a mio avviso, a un preciso, peculiare e raro, sul piano del riverbero iconografico, ciclo mitologico: quello appunto della saga di Minosse e Dedalo in Sicilia, che ha un riflesso interessantissimo in questa creazione cipriota e trova illuminanti conferme sul piano letterario (Apollodoro, Epitome, I, 14-15; Zenobio, Proverbi, IV, 92).
Databile alla fine dell’VIII sec. a.C., potrebbe costituire una prova e un elemento discriminante e decisivo per ritenere la saga del re cretese Minosse in Sicilia non già una composizione mitica di età storica concepita per giustificare e nobilitare l’espansione greca in Occidente, bensì un evento protostorico realmente accaduto, la cui prima risonanza orale e attestazione figurativa precederebbe di molto la sua posteriore codificazione letteraria.”
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