“La
cosa inaudita. Un itinerario poetico e religioso negli scritti di Davide
Rondoni”
Davide
Rondoni è un autore che non ha certo bisogno di presentazioni tanto è ricca la sua
produzione poetica e artistica e tanto è qualificato il lavoro critico intorno
alla sua opera. A questo lavoro si è aggiunto, nel 2013, il bellissimo saggio
realizzato da Elisabetta Motta dal titolo “La cosa inaudita” (che riprende il
titolo di un testo dell’autore tratto dalla raccolta “Il bar del tempo”, edito
da Guanda nel 1999).
Elisabetta Motta è nata
a Seregno nel 1966. Si è laureata in lettere moderne presso l'Università
Cattolica di Milano con una tesi su Eugenio Montale. Attualmente insegna
lettere presso il Liceo Artistico Fausto Melotti di Cantù. Suoi
articoli e recensioni sono stati pubblicati su varie riviste
letterarie. Nel campo della saggistica ha pubblicato i seguenti volumi: Immagini
religiose nella poesia di Eugenio Montale, edizioni Quaderni Balleriniani,
IV, maggio 1996, Seregno; Colori in fuga (con Fabio Pusterla)
Vita Felice, 2011, Milano; La cosa inaudita. Un itinerario poetico e
religioso negli scritti di Davide Rondoni, Subway edizioni 2014
Per le edizione d’arte
Lithos di Como ha curato e scritto i testi critici dei seguenti libri
d'artista: Erri De Luca, Un esordio con topografia di
Antonello Scotti (2008); Fabio Pusterla Sulle rive, tra le foglie, sui
rami con litografia di Samoa Rémy (2008); Alberto Nessi, Le
Vecie con litografia di Mario Mondo ( 2009) Davide
Rondoni, Possiamo soltanto amare con serigrafia di Giuseppe
Vigliotti (2010); Giorgio Orelli, La buca delle lettere, Ragni con
serigrafia di Nathlie du Pasquier (2012). Per le edizioni d'arte de “Il
ragazzo innocuo” di Milano ha curato e scritto i testi critici dei
seguenti libri d’arte: Davide Rondoni, Sei un amore perché sei un
racconto con acquaforte della' autore (2013); Alberto
Nessi, Conversazione con l’angelo con acquaforte
dell'autore (2013); Luciano Ragozzino, Il dicco con incisione
di Fabio Pusterla (2014);
Giovanni
Colombo, Sguardi da Oria (2014) con incisone dell'artista; Giampiero
Neri Una storia naturale con incisione di Luciano Ragozzino (2015); Massimo
Morasso Saturnia pyri con incisione di Luciano Ragozzino (2015).
Conosco
Elisabetta da circa un anno e già dal nostro primo incontro ho capito che avrei
creato con lei un bel rapporto, basato su un’empatia e una stima reciproca, che
ci avrebbe portato a collaborare. Apprezzando poi molto la poesia di Davide
Rondoni, che considero uno dei miei maestri, dopo aver letto il saggio che
Elisabetta ha scritto su di lui, ho deciso di invitarli entrambi a Bologna per
un incontro su questo libro – che si terrà a Casa Carducci il 23 aprile, alle
ore 17.30 – e di recensire questo lavoro basandomi sulle suggestioni e sulle
impressioni che il suo scritto sul poeta ha messo in moto, in relazione alla
mia esperienza di lettura dei testi di Rondoni. Un confronto che ha dato i suoi
frutti e dal quale è nato ciò che state per leggere.
Il
saggio della Motta parte da un’introduzione dove viene evidenziato “l’irrefrenabile
moto” che spinge i passi del poeta: un poeta che ha affidato la sua esperienza
d’uomo alla poesia che non può essere solo un’ancora di salvezza ma che diventa
un mezzo per prendere coscienza di ciò che siamo e del senso di quello che
facciamo, in un viaggio che non cessa mai di accompagnare la sua vita stessa in
quanto frutto, meta e destino di chi ha scelto di portare ovunque la parola
poetica come parola portatrice di verità, accompagnato e dentro, inevitabilmente
dentro, la parola poetica stessa che è parola di ricerca di senso, così come
tutta l’Arte in generale. In Rondoni si aggiungono a questo, dice la Motta, una
commozione e uno stupore “generati dall’avvenimento
di Cristo […] sentito come un evento centrale della propria esistenza ed esperienza
poetica” e dall’“incontro con San Paolo e con la sua opera, di cui ha colto la
straordinaria modernità”: elementi che formano l’estetica e il pensiero
dell’autore ruotando “intorno al mistero della parola incarnata”. Da qui la consapevolezza, più volte espressa, che non
sia la fede a mancare all’uomo dei nostri giorni quanto la “speranza”: ed è
questa la parola che diventa inaudita,
perché poco frequentata, quasi portatrice di scandalo, una parola chiave per un
Cristianesimo che vuole ancora essere una risorsa per l’umanità tutta. E’
quindi questa una ma, non l’unica, chiave di lettura - utilizzata nel taglio
dato al saggio della Motta - del fare poesia rondoniano: ovvero il trattare
argomenti di natura religiosa che, tuttavia, non sono mai distinti dagli altri
elementi della vita anzi, casomai, contribuiscono a dare maggiore complessità
alla sua poetica, in un andamento quasi controcorrente dove spesso, si reputa
inconciliabile l’essere cattolici e artisti al tempo stesso. Provocazione alla
quale, dice ancora la Motta, egli risponde con le parole di Flannery O’Connor:
“Proprio perché sono cattolica non posso che essere un’artista”. Un azzardo che
non possiamo che condividere.
I
capitoli in cui si suddivide il libro “La cosa inaudita” sono quattro e rispecchiano
altrettanti percorsi dentro la poesia dell’autore, sempre riconducibili allo
stesso itinerario poetico-religioso, cercando di scavare nei “gesti”, nella
“parola incarnata”, nel “movimento dell’amore”, nei “luoghi” raccontati dalla
notevole produzione poetica che parte dal 1985 e arriva ai nostri giorni,
scegliendo naturalmente i passaggi che, a discrezione della Motta, sono
risultati più significativi per il discorso intrapreso all’interno del saggio.
Dunque
“i gesti della poesia” vengono proposti dalla Motta attraverso la loro
pressante necessità di esistere e di essere messi in scena, in un excursus
puntuale dentro alcuni testi dell’autore, dove certi “gesti” - partendo già dal
gesto di scrivere che diventa “un gesto artistico a cui è affidata” una
“precisa forza di custodia” – nell’insieme infinito degli stessi gesti
quotidiani assumono valore assoluto perché consentono di mettere a fuoco la realtà, raggiungere una visione, per poi mettere a
fuoco le parole - concetto condiviso da Seamus Heaney, il quale affermava
che “la poesia è come la lente del binocolo che aiuta a mettere a fuoco il
mondo” - . Ora, se è vero come dice Rondoni stesso, che “la vita che ci capita accade,
e l’accensione delle parole è un’esperienza che fanno tutti non soltanto
i poeti” è comunque altrettanto vero
quanto afferma continuando, cioè che “quando l’esperienza eccede le parole
allora avviene l’esperienza poetica. Poi in qualcuno questa esperienza
poetica della lingua diventa un’arte per cui per metter a fuoco ciò che ti
accade ci si mette a fare poesia ed a guardare poeticamente l’esperienza
[dove] le parole non sono una forma di decorazione del mondo ma una messa
a fuoco”.
La
poesia, in questa modalità di rappresentazione dove il senso assume un valore
portante, sacro e popolare al tempo stesso, risulta così intrisa di una
componente drammaturgica che non resta disgiunta dal suo valore letterario e
che le permette di diventare “parola incarnata” “accadimento autentico” ed esperienza, di misurarsi - così come
avviene per tutta l’arte - con l’infinito.
Nel
capitolo “la parola incarnata” la Motta esamina alcuni testi che sono in parte
una sorta di dichiarazione di poetica, e di etica spirituale e artistica di
Rondoni nella quale si evince in primis l’emergere della figura guida di San
Paolo che egli prende a riferimento sia per l’esperienza umana che poetica
stessa, riscontrabile soprattutto, ma non solo, nel testo Mio capitano dove il Logos
della Croce assurge a ragione dell’esistenza, il Cristianesimo a religione
affatto consolatoria o comoda via, bensì a dimensione che permette di vivere il
dolore in una misura di prospettiva positiva del patimento, prendendo proprio
ad esempio Cristo e i suoi discepoli. Un Cristo, tra l’altro, così vicino
all’uomo tanto da poterlo incontrare in ogni angolo del mondo, in ogni
situazione giornaliera, da poterlo toccare nelle sue ferite, nella sua pena per
la condizione umana per la quale si muove con tutta la commossa passione di cui
è capace. Anche a Mario Luzi era successo di incontrare, a un certo punto della
propria esistenza, la figura di San Paolo, incontro che risultò determinante
per la sua ricerca poetica perché gli permise di capire che non si muoveva da
solo in un ambito sconosciuto ma che era, al contrario, parte di una comunità
di fedeli uniti in uno stesso cammino. Una poesia dunque che, rapportandosi con
un percorso fatto anche di figure religiose – sentite come parte integrante del
proprio agire umano e poetico – può diventare anche preghiera. Ed è in questo
contesto che, approfondendo il legame tra la poesia e la preghiera, la Motta
inserisce, tra l’altro, il commento di Rondoni in merito il quale, partendo
dalla voce dei Salmi, ritrova la poesia stessa in quegli
scritti alti e umili del Miserère, in
quel lamento che cerca la misericordia, e proseguendo da lì non sembra
difficile toccare nei suoi testi le soglie della preghiera stessa come atto
linguistico, come relazione personale con Dio in un dialogo vivace e sempre in
divenire, soglie che tuttavia non vengono varcate per lasciare al lettore la
possibilità di decidere se il testo può diventare un viatico di preghiera o
trovare altre forme di condivisione del pensiero.
Nel
capitolo “l’amor che move il sole e le altre stelle” viene approfondito il tema
del viaggio, inteso sia come viaggio reale - Rondoni è un poeta perennemente in
viaggio spostandosi giornalmente da una parte all’altra del globo - sia come
viaggio interiore di relazione con le poetiche degli suoi maestri e con ciò che
succede nel mondo che gira e nel quale si trova, per scelta, ad essere
presente, a muoversi “partecipando al moto dell’essere” e contribuendo “allo
slancio che tiene in tensione le cose nella loro natura di realtà date,
riconoscendosi come parte di qualcosa di grande, di un Tutto, secondo il grande
archetipo dantesco.” In questo viaggio, le spinte maggiori sono date dall’amore
e dalla leggerezza e passione con cui l’autore/l’uomo cercano di nutrire sia il
desiderio di concretezza per l’attaccamento alla realtà, sia l’apertura verso
nuovi orizzonti imprevedibili. Il tema dell’amore è il vero leitmotiv della poetica di Rondoni per
il quale “la consapevolezza che la vita è un dono e che occorre essere
riconoscenti per il solo fatto di essere vivi e di poter aprire gli occhi ogni
giorno alla presenza delle cose” è lo
slancio principale che deve contribuire a far vivere in letizia, in armonia con gli esseri viventi, amando. Amare implica
un coraggio e un desiderio di comunicare pazientemente con gli altri che, se
pure può sembrare un fallimento già in partenza, contiene in sé invece un
impegno che mette in tensione le traiettorie di vita di ognuno, in un quadro
dove tutto deve tendere alla tenuta, compresa la poesia che partecipa
all’unicità degli elementi e del movimento del mistero che è la vita stessa.
Questa
tematica si riallaccia, nell’ultima parte del libro “i luoghi dell’infinito”,
all’ulteriore preoccupazione del poeta data dalla necessità di “abitare la
contemporaneità, di sottrarla proprio nelle sue zone più reiette e dolenti,
all’ansia animale del vuoto”. Necessità che non può che essere accompagnata
ancora dall’amore, per affrontare l’umanità che incontra nei suoi viaggi, nei
luoghi della normalità come in quelli dell’abbandono dove vige la perdita di
dignità, dove spadroneggiano i diritti negati, domina l’orgoglio ferito e regna
sovrana la mancanza di speranza - la
parola inaudita a cui si accennava all’inizio e titolo del libro stesso -.
In questo luoghi - diversi ne vengono descritti in questa sezione – si potrebbe
pensare, dice la Motta, “di non trovare la poesia […] ma invece Lei è qui che
aspetta, sorprende e stupisce con il suo ritmo e il dire che si accendono di
qualcosa di sotterraneo, di celestiale.[perché] in ogni luogo dove vi è anche
solo una esile traccia di umanità la poesia fiorisce, anche se rifiutata, sempre splendida, sempre regina.” E’
così che nella Sierra Leone come nel carcere di San Vittore, o in ogni altrove
dove la verità necessita di una parola che serve, che abbia un peso e un
valore, la poesia si assume il carico di esserne portatrice, il poeta il
compito di alzare un grido che apre finestre sull’infinito, per “una fuga
d’aria, un nuovo respiro, e con il respiro [si apre, ancora] il mistero sempre
ulteriore del viaggio vivente”.
E’
quest’opera di Elisabetta Motta, in conclusione, un lavoro che porta un
contributo notevole alla conoscenza della poetica di Davide Rondoni, in una
chiave interpretativa - una tra le tante, ma forse la più sincera perché
scritta con slancio e con cuore, oltre che con consapevolezza - che mi sento di
condividere, per assonanza di contenuti. Il lavoro di ricerca e studio compiuto
dall’autrice è, senza dubbio, un generoso e pur tuttavia, viatico stracolmi di verità
indiscutibili, viatico che conduce anche alla verità oggettiva del significato
della parola poetica, del senso della sua esistenza – ora e in passato – e si
fa portavoce, oltre che della vicenda e del cammino intrapreso dallo stesso
Rondoni, anche di un vero senso umano e spirituale di necessità, di un valore e di
imprescindibile per l’uomo di incontrare e di lasciare entrare la poesia
nella sua vita, fonte se non di salvezza almeno di refrigerio, di compassione,
di amore portato per ciò che accade, che non può passare inosservato, al quale
non è possibile non attribuire un senso più alto di quello del semplice
accadimento.
A
completamento di questa recensione, ecco alcuni testi di Rondoni, inseriti nel
libro commentato:
Parla
la poesia, dice
(da: Il
bar del tempo)
Ma
non dalla solitudine
nasco,
non
dalla solitudine
riafferma,
mordendosi
le labbra,
le dita dipinte
(o
mia piccola, o tutto il mio sangue)
L’amicizia
del cielo
rompe
il mio seme,
duro
nel canto oscuro della terra
anche
quando geme l’abbandono
vita, dice,
che
fulmina in altra vita
sono
un particolare sesso
e ho
un occhio strano
che
custodisce il mondo.
ma
non dalla solitudine,
mai
da
una falsa beatitudine
(o
mia piccola, mio capitano)
*****
La
cosa inaudita
(da: Il
bar del tempo)
Come
la lasciamo
la
casa, come ci crescono dentro
la
solitudine, i bambini –
come
li guardiamo gli uomini
i
temporali
quando
le sedie sparse davanti alla tivù
e i
tavoli dei panni colorati
una
luce di pioggia li batte, ventosa
come
un ricordo –
Ricordati
di me, dico
e sono un ladro
o
una donna che non vuole essere
lasciata,
ricorda la mia vita
come
l’ho potuta.
Ai
moralisti ho sempre preferito
i
santi, i cantanti
e i baristi.
La
virtù dell’epoca
può
forse aumentare, forse
scemare.
Ma
non può quel che fa
l’essere
(o chiamalo vita)
quando
Dio stupisce gli uomini
e
germina la cosa inaudita
la
cosa di sperare.
*****
Le
stelle: segni
di
alterità infinita
(da: Apocalisse
amore)
Se
tu mi abbracci
io
richiamo tutte le vie
del
mio corpo
da
tutte le stelle in cui brucia
disseminato
se mi abbracci
mi
fai intero, ritornato
Bologna,
12 aprile 2015
Cinzia
Demi
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