recensione di Vincenzo D'Alessio
Curata dall’infaticabile editore Alessandro Ramberti ha visto la luce nella collana “Nefesh” l’antologia Dove sta andando il mio italiano: il contributo offerto dai numerosi partecipanti alla kermesse che si è svolta nel monastero camaldolese di Fonte Avellana, dal 20 al 22 giugno di quest’anno.
Qual è la necessità di questi incontri? Qual è l’utilità del comporre e del pubblicare in momenti tanto difficili per la nostra povera nazione afflitta dalla voragine della recessione, dall’instabilità sociale, dalla violenza climatica? Qual è il contributo che la microeditoria apporta ad un paese che non persegue la lettura e non crede nella Cultura quale riscatto dalla povertà?
Il curatore Ramberti detta nella presentazione le ragioni che lo motivano: “Lo spirito delle kermesse fariane è quello dell’ascolto, dello scambio empatico di conoscenze ed emozioni” (pag. 7). Non sono poca cosa questi motivi premessi agli incontri, c’è molto di più e lo si avverte quando si leggono le pagine dell’antologia, i contributi dei partecipanti, le loro biografie. Sono contributi letterari che vanno al di là del semplice aspetto lirico o narrativo, mirano a dare sfogo al malessere accumulato, alla gioia di contribuire al cambiamento positivo della morale sociale in virtù di questa energia così diffamata di cui sono portatori. Ad essere civili, onesti, dignitosi, oggi si corrono dei rischi personali molto seri in tanta ressa selvaggia.
Interprete autorevole di questa energia è lo scrittore e poeta Guido Passini, trentenne, bolognese, impegnato socialmente a sollevare dalla sofferenza i malati di Fibrosi Cistica che in questo contributo offerto sul tema dell’Italiano sceglie la strada della satira arguta prendendo a modello il tricolore nazionale di cui siamo tanto orgogliosi. La sua testimonianza giornalistica riporta in una sorta di fiaba, tre avvenimenti in successione: il rosso, colore dell’amore, della passione, della sensualità, richiama all’attenzione del lettore la continua ed accentuata violenza sulle donne che nella nostra nazione ha un indice tra i più alti in Europa. Bernadette, la protagonista, semplice e innamorata di un uomo di età maggiore di lei, nel momento in cui rimane incinta diviene il bersaglio della violenza dell’uomo che ha scelto di amare. La prima parte del “c’è sempre una volta” lascia sospeso il lettore di fronte al sangue e al dolore dell’aggressione, per poi concludere nel finale posto a parte in modo gioioso.
Il verde è metafora della Speranza, benedetto e illusorio carburante della nostra esistenza, affidata al lavoratore Giannino, metalmeccanico, il quale si ritrova senza lavoro dopo trentadue anni di intensa e onesta attività di fabbrica. L’azienda chiude e mette in mobilità il lavoratore, sua moglie, i suoi figli, la sua onesta carriera: a che è valso lavorare anche con la febbre a trentotto davanti alla catena di stampaggio? Un dramma che vediamo affacciarsi nella nostra povera Italia da secoli. Non abbiamo un vero e proprio tessuto industriale. Non abbiamo protetto le nostre industrie nel tragico momento dell’Unità d’Italia e oggi paghiamo amaramente questo ritardo. In più le attività agricole sono state sacrificate al falso idolo dell’industria che viene dal Nord e campi e greggi sono scomparsi. Il turismo si è spostato verso le coste e le aree interne si sono spopolate in paesi fantasmi.
Giannino uscirà di casa, deluso, affranto, con una tanica di benzina tra le mani. Saluta la moglie con l’espressione: “Ciao amore, ti amo, mi mancherai…”. Anche qui Passini tiene sospeso il lettore sulle sorti dell’operaio. Fortuna vuole che è un saluto che si risolve anche questa volta in positivo: ha finito la benzina nell’auto e con la scorta riparte per il nuovo lavoro presso un’altra fabbrica.
Il bianco è assunto come colore della purezza, dell’infanzia. Il protagonista è un bambino di tre anni Paolino che frequenta un asilo pubblico. Accompagnato dalla mamma raggiunge il plesso scolastico e inizia a giocare con gli altri bambini: si gioca a nascondino. Tutti corrono a nascondersi in giardino. Paolino cerca un luogo diverso si avvia verso l’atrio dell’asilo: un boato assordante, la polvere, il terrore: crolla il tetto dell’asilo. Le maestre urlano ma corrono a riunire i bambini nel giardino. Manca Paolino: disperazione!
Anche in quest’episodio il protagonista si salva perché raggiunto dallo spostamento d’aria causato dal crollo e sospinto nella siepe adiacente all’edificio: poteva essere una tragedia. Come accadde, a causa del sisma nell’ottobre 2002, a San Giuliano di Puglia (CB) dove trovarono la morte bambini e maestre a causa dell’edificio scolastico costruito con strutture non antisismiche. La ditta, nell’episodio riportato da Guido che aveva realizzato i lavori, era stata denunciata per un crollo pochi anni prima ma, come capita purtroppo nel nostro paese, era stata chiamata ancora una volta a portare a termine lavori pubblici.
L’Italiano che il Nostro invoca non fa riferimento alla sola Lingua ma soprattutto a quell’imprescindibile contributo leopardiano che ha come tema: Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’ Italiani, pubblicato nel 1824 e tuttora utilissimo nelle scuole statali e private dei diversi gradi. Passini conclude il suo ottimo intervento con il disvelamento del senso anagogico: “(…) Con questo testo abbiamo voluto farvi riflettere sulla situazione dell’Italiano oggi. Sui valori che ogni giorno vengono calpestati. Il nostro Italiano è in un tunnel scavato da chi si ritiene più furbo di tutti, da chi pensa ci sia sempre una scappatoia in tutto, da chi non ha il coraggio di affrontare i propri errori, da chi si sente impeccabile e al di sopra di tutto” (pag. 130).
Noi concordiamo con Guido, constatando amaramente la quotidiana nefandezza dei “furbi” divenuta abitudine negli Italiani contemporanei.
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