venerdì 22 agosto 2014

Su Guido Passini in Letteratura… con i piedi

recensione di Vincenzo D'Alessio

Scrive il curatore dell’Antologia Letteratura… con i piedi (Fara 2014) Alessandro Ramberti: “Lo spirito delle kermesse fariane è quello dell’ascolto, della condivisione, della convivialità, dello scambio empatico di conoscenze ed emozioni” (pag. 7) e ci dobbiamo credere se i risultati sono quelli che leggiamo dalle pagine di questo agile volume, accompagnato come accade ai libri dell’editore di Rimini, da una significativa copertina: una strada stretta tra argini pietrosi antichi dove altri hanno realizzato il proprio cammino.
Immaginate i millenni trascorsi e i milioni di pellegrini che hanno attraversato le contrade in cerca del Dio dell’Infinito, della guarigione dell’anima e del corpo, della solitudine dialogante scomparsa nei secoli successivi. La Fede ha smarrito i suoi passi in mezzo agli uomini paghi dei loro progressi e pronti a subire il supplizio finale del fine vita. Il cammino della spiritualità è quello che gli scrittori, i poeti, i musici, i folli accolgono quando “Fara Editore” invita. L’invito di questo convito afferma la validità “dei piedi” che sostengono con forza l’insieme del corpo nel viaggio compiuto con la propria esistenza insieme agli altri.
A rendere bene l’argomento dell’incontro è valso il contributo del poeta/scrittore Guido Passini che si è misurato con la favola. Una storia raccontata ai piccoli per dare alla fine della lettura il senso gnomico agli adulti. L’apologo delle scarpe: questi calzari che da millenni ci aiutano a superare le difficoltà dei percorsi affrontanti. Oggetti antropomorfizzati si rivelano metafora dei diversi tipi umani in cammino nell’esistenza. “In via del tutto eccezionale”, a pagina 130 del libro, scatena una profonda ironia in un tempo sospeso, il kairos greco, tipico della favolistica che si ripropone a distanza di secoli.
I personaggi sono “le claquettes ” (scarpe con l’aggiunta di metallo alle punte e sul tacco); “gli anfibi” (scarpe per la montagna, le esercitazioni militari, le parate dei giovani nelle notti cittadine); “tennis” (scarpe eleganti, leggere, utili per diversi sport). Trasposizione delle classi sociali oggi quasi scomparse: ricchi, poveri, borghesi. Assistiamo ad un dialogo intonato tra passato e presente: il passato ricco di esperienze costruttive e il presente nel quale il futuro è stato cancellato dalle mani nascoste dei potenti di turno: “Ragazzi ma voi ci pensate mai al futuro?” (anfibi, pag. 132).
La voce è degli “anfibi”, il ceto una volta definito proletario, che non ha più nulla in cui sperare: non più il posto fisso, non più l’apprendistato, non più l’artigianato, non più la terra da coltivare. Chi ha un’attività tenta di lasciarla ai figli. Chi ha un posto nelle Istituzioni cerca di far subentrare in mille modi i figli. Chi è in politica cerca di far entrare i parenti. Così in tutte le altre attività sociali, senza contare quelle che vengono definite “caste” le quali convivono da secoli, silenziosamente onnipresenti, nel tessuto sociale senza mai demordere.
A lasciarci comprendere bene questo disagio vissuto dal ceto alto ci pensano “le claquettes”: “Avete mai provato la sensazione che qualcosa dentro di noi spinga, spinga, spinga e sei costretto ad aggrapparti a tutte le cuciture possibili per restare al tuo posto?” (pag. 132). I poveri invece risultano sempre perdenti perché: “Io penso spesso al futuro, penso agli errori commessi per non ripeterli, penso a cosa ci succederà quando diventeremo vecchie e usurate” (anfibi, pag. 132). Quest’ultimo pensiero è quello che viene sottratto ai giovani oggi. In alternativa viene proposto il mito del “cogli l’attimo” e consuma quello che hai, tanto devi scomparire dalla scena terrena.
Le differenze del viaggio raccontate da Passini in questa fiaba sono pungenti e intrise di morale. Riportano alla mente le belle favole degli autori antichi oggi completamente dimenticate. La necessità di riallacciarsi a quel mondo ideale costituito dal passato, anche se in parte doloroso: “(…) io sogno di vedere i piedi che ci indossano, vorrei non ci fossero limitazioni tra noi, vorrei fossimo tutt’uno, condividere tutto” (anfibi, pag. 134). Ma questo è il mondo scomparso della Civiltà Contadina, la parte gnomica della vita di quelle persone; come per “i pidocchi”: i personaggi del bellissimo film di Ermanno Olmi: L’albero degli zoccoli (1978).
I dialoghi delle tre scarpe ci offrono tanta dignità. Come nel passaggio che ci viene offerto ancora una volta dagli “anfibi”: “ Io… a volte penso di voler cambiare, (…) vorrei davvero vivere la vita di un altro? Basterebbe davvero cambiare identità per sentirsi migliori? Siamo nate così, prima accettiamo la nostra identità e prima impareremo a gustare il nostro cammino” (pag. 135). Sembrerebbe quasi una resa di fronte al destino che si genera con la nascita nella società alla quale apparteniamo. Invece no! La risposta è affidata questa volta alle scarpe da “tennis”: “Ci sono tanti piedi che non hanno il loro cammino… ma ci sono cammini che non hanno viaggiatori. Io voglio percorrere uno di quei cammini e vedere dove mi porta: sento che è giunto il momento” (pag. 136).
Morale della favola: “una letteratura… con i piedi” che ci invita a varcare la soglia di casa e di andare incontro al vero volto del Pianeta che ci ha accolto insieme agli altri.

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